Quanto di più grande o scientifico vi è nei religiosi sogni degli illuminati, di Jacob Bohme, Swedenborg, Saint-Martin e altri, viene dalla Cabala; tutte le associazioni massoniche devono ad essa i loro segreti e i loro simboli. Solo la Cabala consacra l’alleanza della ragione universale con la Parola Divina; stabilisce, mediante la contrapposizione di due forze apparentemente antagoniste, l’eterno equilibrio dell’essere; solo essa riconcilia ragione e fede, potere e libertà, scienza e mistero: ha la chiave del presente, del passato e del futuro.

(Eliphas Levi, Dogme et Rituel de la Haute Magie)

Giovanni Severský era nato a Padova verso la fine degli anni Trenta. Suo padre Bruno era un ebreo di Praga che trovò rifugio in Italia. Ottenuta la cittadinanza, si stabilì a Padova. Qui conseguì la cattedra di Economia Politica e conobbe una ragazza di Verona, che poi divenne sua moglie. Dopo gli studi classici e la laurea in lingue semitiche, il prof. Severský, diversamente dal padre Bruno, proseguì i suoi studi nel campo della mistica ebraica, entrando in contatto con uno dei maggiori esperti di cabbala, il massimo studioso delle grandi correnti della mistica ebraica.

Severský era un tipo solitario. Non amava stare nella mischia, né tantomeno contornarsi dei soliti cicisbei come usavano fare alcuni suoi colleghi, sempre con folto seguito alle calcagna o attorniati da un ricco corteo plastico, schierato in modalità mista tra la Scuola di Atene e il Quarto Stato, immortalato molto spesso da formose e prorompenti assistenti stipate in stretti e severi tailleur oppure da floride figlie dei fiori avvolte in tenui e vaporosi veli, profilati con timidi motivi floreali e conditi con borsette etniche e sobri sandali griffati. Tutti - s’intende - in perenne stato di cortigiano ossequio e disposti secondo un determinato rango, definito generalmente dal grado di anzianità di “servizio” o dal maggior grado di ascendenza esercitato da generosi e morbidi décolleté offerti alla vista - e chissà se non anche al tatto - secondo volubili accordi di vassallaggio.

Lui sembrava diverso. Sulla settantina, non molto alto, pochi capelli grigi sufficienti a coprire le stanghette lievemente ossidate della montatura in canna di fucile. Perennemente in abito marrone, cravattino a punta quadra in maglia di seta color caffè su camicia beige o bianca. Parlava solo se necessario. Ogni conversazione doveva avere sempre una sua utilità. Diversamente, tirava dritto con un gelido: “Mi scusi. Ho da fare”. Pochi riuscivano a catturare la sua attenzione. Quel pomeriggio io fui uno di questi. Fu allora che per la prima volta vide il libro, lo stesso che avrebbe cambiato il suo destino.

Scrutava ogni singola pagina, utilizzando all’occorrenza un piccolo righello per misurare la quadratura di alcune immagini, in particolare due in bianco e nero. Una raffigurava Adam Qadmon, cioè, l’Uomo Primordiale, il primo mondo spirituale generato dalla contrazione della luce di Dio. L’altra, invece, era l’albero della vita, la rappresentazione simbolica delle leggi che regolano l’universo, cioè, le energie creatrici emanate dal Creatore. Dopo un’accurata analisi, abbassando le vecchie lenti bifocali, secco e perentorio chiese:
— Dove l’ha trovato?
— Di cosa si tratta?
Dopo qualche attimo di silenzio, riprese:
— È una guida per attraversare un percorso tortuoso che porta al pleroma. È un rarissimo esempio di cabala estatica, un pezzo unico, direi. Alcune persone sarebbero disposte a tutto per averlo, lo sa?

Il tono della sua voce manifestava un leggero fervore e così anche il suo viso, da cui sporgevano i due occhi venosi.
— Non capisco. Una guida per cosa e, soprattutto, per chi? Chi sono gli eletti?
— È una guida per superare le barriere naturali ed entrare nella sfera del mondo sovrasensibile. Come le avrà certamente già anticipato p. Leoni, si tratta di tecniche usate per superare le porte dei cieli, le porte degli eoni intermedi, e ricongiungersi alla fonte divina. Questi cieli sono custoditi da potenze angeliche preposte dal demiurgo, al fine di non permettere alle scintille divine - cioè, gli eletti, appunto - di immergersi nell’essenza dell’essere supremo, di cui tutto è emanazione fino alla degradazione.

— Parla degli arconti?
— Esattamente, conosciuti anche come i custodi delle porte. Si trovano a destra e a sinistra di ogni porta che immette nelle sale celesti, che precedono il trono. È questo il vero oggetto di contemplazione degli eletti. Si tratta di un viaggio molto insidioso, che può condurre anche alla pazzia. Perciò è necessario procedere con molta cautela e con un particolare lasciapassare. Si tratta di un sigillo magico, su cui è riportato un nome segreto che consente al mistico di oltrepassare le porte e, quindi, gli arconti stessi. Man mano che si procede, sono necessarie formule sempre nuove e sempre più potenti, in quanto si ascende verso la perfezione e, quindi, si ha a che fare con schiere angeliche sempre più pure e forti. Questo spiega l’importanza degli amuleti con l’effigie di Abraxas inscritta nell’incantesimo. Sette cieli, sette palazzi per giungere al trono! Questa è la guida per oltrepassare il settimo palazzo. Comprende?

Sentivo che la temperatura della conversazione cominciava a salire. Non potevo certo vantare una lunga amicizia con il prof. Severský ma era chiaro che sembrava cambiato. Non so se spaventato o eccitato.
— Credo di cominciare a intuire qualcosa.
— Quattro persone entrarono nel paradiso. Uno di questi, Rabbi Aqivà, disse: «Se venite al luogo della pietra splendente di marmo, non dite: acqua, acqua! Perché sta scritto: il menzognero non sosterrà la mia vista». Nessuno può ascendere con le sue sole forze al trono, a meno che non sia guidato. Ora, in questo libro sembrerebbero esserci i nomi per ascendere al settimo palazzo e poter, così, contemplare l’etere radioso del trono.

All’improvviso tossì e si schiarì la voce.
— Che ne pensi delle iniziali? — interloquì Leoni.
— La data è molto significativa: 1866 — rispose schiarendosi ancora la voce. — Il duecentesimo anniversario della proclamazione del cosiddetto “messia mistico”, colui che osò pronunciare il Nome di Dio nella piazza di Smirne. L’acronimo N. S. S. Ṣ. sta per “Nostro Signore Shabbetày Ṣevì”. Le lettere shin, dalet e yod, stanno per Shaddai, titolo esclusivo di Dio, che ne esprime l’onnipotenza e che Shabbetay attribuì a sé. Credo si tratti di una rarissima copia del suo Raza de-Razin.

Precedendo ogni mia domanda, p. Leoni mi fissò e disse:
— Mio caro, si tratta di un libro che contiene, come ha avuto modo di constatare, nomi angelici. Ṣevì, non solo si dedicò alla cabala teorica ma anche alla cabala pratica. Spese molto tempo a studiare i nomi “santi”, che conferivano il potere di fare prodigi. In prima analisi, si tratterebbe di un manuale di teurgia. Ma secondo alcuni rabbini del tempo, Ṣevì sembrò dedicarsi anche allo studio e alla meditazione dei nomi impuri, cioè, alla magia nera. Secondo Ṣevì e il suo profeta Nathan, il messia doveva scendere negli abissi delle qelippot, cioè, le scorze del male. Doveva esserne imprigionato e liberarsene con le loro stesse armi.

Per servire Dio era necessario trasgredire la legge per confondere le qelippot e, così, sfuggire alla loro morsa, liberando molte anime pie. È il famoso tema della frode santa: per ingannare le qelippot, si mostra loro di non essere santi, compiendo atti sconvenienti e inducendo, così, i gusci del male a spaccarsi dall’interno. Una volta evocate le forze del male e abilmente raggirate, i giusti, in particolar modo il messia, dovrebbero legarle e annientarne il potere, facendo giungere il tiqqun, cioè, la redenzione. In estrema sintesi: la salvezza attraverso il peccato. È per questo che fu bandito da Smirne.

— Che cosa intende per atti sconvenienti?
— Beh, di tutto. La Legge è quel katéchon che fissa i limiti alla potenza devastatrice del male. Ora, l’obiettivo di alcune sette ispirate proprio a certe filosofie consiste nel far precipitare l’umanità nelle profondità dell’abisso, per anticipare i tempi nuovi della redenzione. Non c’è redenzione senza peccato. Jacob Frank, che si autodefinì la reincarnazione di Ṣevì, disse che era venuto per distruggere e abbassare ogni cosa nel fango dell’abisso, poiché non può esserci ascesa senza discesa. Anzi, proclamò di essere l’oscurità, da cui si sarebbe sprigionata la luce vera. Bisognava calpestare la legge e seguire solo lui! Da questo principio scaturiscono omicidi rituali, violenze e depravazioni di ogni genere. Non sorprende, quindi, che molti, tra sabbatei e frankisti, furono incriminati e banditi dalle loro sinagoghe, proprio perché colti in flagranza di reato di stupro, orge, etc. Il loro messia gli aveva anche conferito il potere di uccidere gli infedeli nel giorno di Shabbat.

— Nel Qohelet Rabba si legge che “la Torah che un uomo impara in questo mondo è vanità rispetto alla Torah del Messia”. Ciò ha prestato il fianco all’interpretazione gnostica, per cui con la venuta del Messia la Torah sarebbe venuta meno. Ma noi sappiamo che il Messia non viene ad abolire, come forse pensavano già alcuni Farisei, ma a dare compimento alla stessa Legge, come è scritto: “Lava nel vino il suo vestito”. Il Messia viene a chiarire le parole della Torah.
— È il solito walzer! — intervenne Severský. Pensa a yoredé merkavà!
— Cosa? — chiesi.

Yoredé merkavà è il nome che si davano i mistici del carro. Significa «coloro che scendono nella merkavà». L’ascesa mistica presuppone una discesa, perché per salire bisogna scendere. Ecco, quindi, la redenzione come sintesi di tesi e antitesi, superamento della disarmonia tra luce e tenebra. È la gnosi primordiale che torna alla ribalta!
— Anche lei crede che ci sia una spiegazione che risieda negli albori dell’umanità?” domandai con una leggera vena di ironia. Severský rimase qualche istante in silenzio. Chinato il capo, si tolse gli occhiali e con le dita si stirò le sopracciglia, passandosi, poi, la mano sui capelli.

— Ci sono forze che superano la nostra sfera dimensionale e che attirano gli appetiti di molte persone. Esercitare un potere sovrano sulle cose e sulle persone è il più grande sogno dell’umanità. Cosa c’è dietro a tutto ciò, se non la volontà di trasformare la teoria in pratica, la speculazione in azione? Tutto volge alla teurgia e alla magia. Il fine ultimo della contemplazione dei nomi di Dio consiste nel poterli usare per piegare il mondo ai propri piedi. Associazioni massoniche e sette segrete di ogni tipo assorbono la loro linfa dalla cabala spuria, una gnosi che affonda le sue radici proprio agli inizi dei tempi. È anche per questo che si cerca di ritornare agli inizi, per capire chi eravamo e cosa si è perso al fine di riprenderselo. Vede, nonostante l’apparente differenza tra la tradizione esoterica occidentale e quella orientale, c’è un’unica tradizione universale, un’unica sorgente.

Per questo si dice: «Tutti i mistici provengono dalla stessa terra e parlano la stessa lingua». La loro terra è Malkuth haShamaim, il Regno dei Cieli, citata in ogni libro sapienziale. È qui che scorre il latte di Binah e il miele di Chokhma. Dicono, inoltre: «Conversatio nostra in coelis», poiché parlano una lingua dall’Alto, che li rende tutti espressione di una coscienza superiore, tutti fratelli, figli della stessa Sapienza eterna. Si tratta della “protolingua”, la lingua madre del genere umano, il cui archetipo sono le ventidue lettere fondamentali che, insieme alle dieci Sefirot, costituiscono le trentadue vie della saggezza. Nel Sefer Yetsirah si legge di come Dio creò il mondo permutando e combinando tali lettere. La cabala estatica invita a fare lo stesso, usando la potenza stessa di Dio insita nelle lettere del Nome, di cui ogni lettera è un Nome.

— A prova di tutto ciò — aggiunse p. Leoni — vi è il secondo comandamento, che letteralmente dice: «Non porterai invano il Nome di YHWH, tuo Elohim, perché YHWH non lascerà impunito chi porta il suo nome invano». Questo è un divieto non tanto di pronunciare il nome divino ma di usare il tetragramma per fini magici, cioè, pretendere di incapsulare e canalizzare la potenza stessa di Dio ai propri fini, pronunciando il Nome.

— Ma il nome di Dio non è andato perduto con la distruzione del Tempio?
— Sì, ma sembrerebbe che alcuni cabalisti se lo siano tramandato segretamente. Abulafia, forse, fu uno di questi. Ritenevano che il mondo fu creato tramite le permutazioni delle lettere del tetragramma. Questo conterrebbe una forza demiurgica e teurgica ad alto potenziale che, se manipolata con prudenza, potrebbe dare addirittura vita e morte. L’uso di talismani con impresso il Nome è un classico esempio delle virtù magiche attribuite al tetragramma.
— Vita e morte!
— Basti solo pensare all’inflazionata letteratura sul golem, per esempio. È tutta incentrata sulla potenza e l’uso magico del Nome.
— Si riferisce al mostro di terracotta? — domandai.

— Per l’esattezza si tratta della fase intermedia tra il fango e Adamo, come vuole la tradizione cabalistica - riprese Severský. Vede, il mito del golem ha riattivato pratiche e filosofie che sembravano essersi assopite, soprattutto nelle nuove sette esoteriche. Non è che si voglia creare un golem, anche perché nessun cabalista sembra aver lasciato tutte le istruzioni per farlo, ma è ciò che c’è dietro, cioè, l’uso magico del Nome per influenzare la vita delle persone, fino a dare e togliere la vita stessa. Secondo alcuni cabalisti il primo a farne uso sarebbe stato proprio Mosè, quando uccise l’egiziano. Dicono che gli sia bastato sospirare il Nome e quello sia morto all’istante. Anche Caino pare che temesse di essere ucciso attraverso l’uso del Nome. Per questo il Santo, benedetto sia, prese una delle ventidue lettere, che sono nella Torah, e la incise sul braccio di Caino.

— Quale lettera?
— Molto probabilmente la vav, anche se qualcuno ipotizza si tratti della he. — Lei mi sta dicendo, dunque, che Mosè uccise l’egiziano mediante l’uso magico del nome di Dio? Uccidere con il Nome di colui che ha comandato di non uccidere?
Coincidentia oppositorum. La naturale conseguenza di ogni gnosi e, nel nostro caso, del dio/diavolo Abraxas — rispose p. Leoni.
— Mi sorprende un po’ che tali pratiche siano state trasmesse all’interno del giudaismo.

— La sorprende? Il popolo ebraico, è vero che fu consacrato da Dio come popolo sacerdotale per portare la salvezza all’umanità, ma è anche vero che rimase per secoli in Egitto, assorbendone i culti misterici e ogni pratica di divinazione, stregoneria e magia. Quale miglior organismo ospite per la propagazione delle blasfemie del grande falsificatore? L’alchimia ha radici molto antiche. La voce khem, nell’antico egizio, significa “terra nera”. Tutto parte da lì, dall’Egitto. L’alchimia, cos’è se non lo yoga dell’occidente? Allo stesso modo la cabala estatica è stata definita una disciplina yoga ebraica. La parola yoga vuol dire unione. Questa, mediante alcune tecniche di meditazione, deve essere perseguita con ciò che è allo stesso tempo fonte e fine di tutto ciò che esiste. Tale ciclo è spesso rappresentato dall’ouroborus, il famoso serpente che divora la coda, simbolo che ritroviamo su molti monumenti funebri, come, ad esempio, quello di Caterina d’Asburgo, dello scultore Canova e altri insospettabili…

— Tutto partirebbe, quindi, dall’Egitto per poi esser propagato nel mondo attraverso lo stesso canale scelto per la salvezza? Un po’ come i sistemi d’areazione usati per narcotizzare la sorveglianza?
— Esattamente. Pensi ai rotoli di Nag Hammadi. È lì che ritroviamo le conferme di quanto già riportarono nelle loro opere Ireneo di Lione, Epifanio e tanti altri. La cabala spuria è quel trait d’union che lega il passato al presente e al futuro, fin quando non si manifesterà colui che si deve manifestare, poiché il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo colui che finora lo trattiene.
— Il famoso katéchon?
— Già! — esclamò il prof. Severský. — Colui che trattiene le forze del male.
— Quindi è una persona!

— Vede — proseguì Severský — il movimento di Ṣevì continuò a fare proseliti anche dopo la sua apostasia. I dönmeh - così venivano chiamati gli apostati - abbracciarono l’Islamismo, come fece il loro messia, continuando, però, segretamente a vivere secondo i principi della cabala sabbatea. I membri della setta erano talmente ricchi e potenti che nell’Ottocento presiedevano già le più alte cariche nello Stato Ottomano. I giovani turchi, che deposero il sultano, erano dönmeh. Tra questi vi fu Ataturk, detto Lupo Grigio. Il loro obiettivo consiste nel sovvertire l’ordine con la dissimulazione, al fine di accelerare la redenzione mediante il peccato. Si tratta di un’interpretazione estrema della gnosi di Lurya, che è una premessa imprescindibile al messianismo di Shebbatay. Il 13 maggio 1981 cosa potrebbe essere stato se non un tentativo di rimuovere il katéchon? Non è un caso che l’attentatore si sia convertito al cattolicesimo e abbia, in seguito, avanzato una pretesa messianica, annunciando contestualmente l’imminente fine del mondo.

— Sta forse affermando l’esistenza di un complotto?
— La cosa è molto più complessa di quanto sembri. Non si tratta delle classiche ipotesi strampalate di soggetti paranoici, che urlano al complotto come all’untore. È molto più complessa.
Tacque per qualche istante, passandosi di nuovo la mano sui capelli.
— Il tempo dell’Anticristo si avvicina. Tutto è quasi pronto. Ormai l’abominio della desolazione sta per uscire allo scoperto senza alcuna vergogna, gridando il suo orgoglio smisurato. Gli adoratori del serpente sono tornati.
— Gli adoratori del serpente? — chiesi attonito.

— Le sette gnostiche degli ofiti non sono mai morte. E ora ritornano per preparare la venuta del loro signore. Forze occulte scavano senza sosta nelle profondità dell’abisso per trovarne le porte e aprirle, perché l’orrore, ancora avvolto nell’ombra delle sue tenebre, spalanchi le fauci e divori l’umanità intera.
— Di nuovo usciamo dal campo storico…
— Non proprio — disse p. Leoni. — Vede questo è un campo in cui il fisico e il metafisico vivono in simbiosi. Lei vede qualcosa che riflette una realtà nascosta. Il libro è la chiave per passare la porta che dà sul mondo metafisico. C’è uno stretto legame tra il libro e il mondo esoterico della setta, tra alcuni ambienti politici nostrani e i dönmeh. I giovani turchi, infatti, furono sostenuti dalla Giovine Italia mazziniana. Il nodo tra i due mondi era un giovane ebreo veneziano, massone e mazziniano, in affari con uomini chiave della finanza internazionale e italiana, come R. M. della ComBank.

Cominciavo di nuovo a non sentire la terra sotto i piedi. Cosa c’entrava la ComBank con i dönmeh? La politica dei padri del Risorgimento con superstizioni paranoiche uscite dalla bocca di un messia nevrastenico e lussurioso? E il ritorno degli adoratori del serpente? Esistevano davvero o era solo un falso mito medievale che ancora arrancava nell’era moderna? Possibile che una setta gnostica dei primi anni del cristianesimo - o addirittura anteriore - fosse vissuta nell’ombra per secoli e avesse deciso di uscir allo scoperto proprio ora? D’altronde, della fine dei tempi se ne era sempre parlato ma nessuno sembrava averci mai preso.

Forse, si trattava dell’ennesima apocalittica millenarista. I dati storici, però, mi tenevano ancora con un piede a terra. Se qualcuno agiva nell’interesse di qualcosa doveva necessariamente esistere e avrebbe potuto essere interessato al libro, anche in maniera ossessiva. Quest’ultimo aspetto non mi tranquillizzava molto. Un fatto era ricevere e-mail a seguito dei miei articoli da lettori in disappunto o, peggio, irritati per qualche pezzo irriverente scritto contro la lobby di turno. Altro era mettersi contro una eventuale organizzazione millenaria onnipresente, che agiva in maniera occulta o qualcosa del genere.

Bussarono alla porta.

(estratto da Il complotto degli Arconti. Cronache di un iniziato, cap. VI, pp. 56-67)