La nostra è la civiltà dell’immagine, fin qui nulla di nuovo, lo sappiamo tutti (chi lo approva e chi lo contrasta, chi ci vive e chi lo subisce) da decenni.
Certo, così si mette in dubbio il proverbio che disquisisce sul fatto che chiunque indossi un saio sia un religioso: in passato si veniva messi in guardia dal credere che l’aspetto (cioè l’insieme di ciò viene posto all’esterno, appunto per essere percepito) corrispondesse alla realtà, oggi invece l’abito/l’immagine sembra conferire titoli di ogni tipo, accomunati solo dal travisare la natura delle cose.
Perché oggi moltissimi -a vario titolo e profondità- si interessano del tema dell’autenticità? La risposta è facile ed univoca: proprio per quanto appena scritto, la corrispondenza tra quello che mostriamo-diciamo-ecc. e quello che siamo non è scontata. Anzi, spesso le due cose più che non corrispondersi sono proprio opposte!
Nessuno, infatti, fino a poco tempo fa avrebbe immaginato che dal far sì che l’aspetto venisse considerato (e gli venisse riconosciuto un valore importante, anche se non minimamente paragonabile a quello riservato alla “sostanza”) si arrivasse al totale sovvertimento del rapporto con “ciò che c’è sotto”.
Se piacciono i paragoni, è molto facile citare la carrozzeria di un’automobile e gli altri suoi componenti, a cominciare dal motore. In molti abbiamo riso vedendo le finte “sportive”, quelle con la carrozzeria autocostruita da qualche hobbista che l’ha piazzata sul suo autoveicolo: l’immagine di una supercar letteralmente “montata” su una vecchia berlina. Le prestazioni -e non solo- non ci sono proprio ma questo è l’ultimo dei problemi!
Teoricamente questo modo di fare, non sempre evidente come nell’esempio appena riportato ma molto più comune di quel che verrebbe da pensare, inizia dalla “non coincidenza” più o meno marcata per giungere addirittura alla vera e propria mistificazione: sempre -però- si tratta di mostrarsi diversi da quello che si è.
Grave? Forse sì, ma credo di non poter essere smentito se affermo che un conto è mostrarsi un poco migliori, un altro è dare l’impressione di essere diversi dai “veri” se stessi. Allora però che cosa ci diciamo se dell’immagine non ci interessa più se questa “forma” corrisponde o meno alla “sostanza” che gli è sotto ma è fine a se stessa? Perché? Il motivo è legato al fatto che la sostanza cui relazionarsi -ed anzi rappresentare- non c’è, pertanto non può “corrispondere” ma neanche “non-corrispondere”. È apparenza allo stato puro -solido non si può dire, sarebbe una contraddizione di termini- al punto che dà perfino noia come, per mostrare l’esteriorità, si debba predisporre qualcosa: se la cosa “fisicamente” non esiste, vi è solo non la sua immagine ma un’immagine, tanto che siamo sicuramente infastiditi dalla necessità di avere comunque un “supporto” (una tela, della carta, uno schermo, un muro su cui proiettare o altro) che consenta all’immagine -non all’oggetto- di essere visibile. Tutto ciò apre agli ologrammi, il che in questa sede ci porterebbe lontano per cui li dobbiamo ignorare, limitandoci al rapporto tra le cose e il loro aspetto.
Che basti parlarne? Potrebbe essere questa la soluzione! Sempre di più sono, non vi è dubbio, coloro che parlano (o scrivono, ovviamente soprattutto sui social network) di queste “cose”, cioè di “immagini” prive di tutto fuorché della loro “patina”. Il bello è che molto spesso questi si dichiarano contro la realtà virtuale, perché non esiste (e quindi non è degna di attenzione) mentre le loro immagini-illusioni -ed i loro discorsi- sono del tutto reali. A parer loro, io ho appena sostenuto il contrario! Vogliamo fare qualche esempio? Passare dall’astrazione di un discorso così teorico -se non altro perché affronta aspetti “inesistenti” a qualche caso reale- potrebbe chiarire la bontà dell’assunto. Proviamoci!
Facile iniziare dai mezzi di trasporto, quanto meno per i maschietti. Non generalizziamo ma quante volte avete visto le automobili sportivissime -tipo Ferrari e Lamborghini- andare veramente forte, come potrebbero ed anzi sono state fatte per quello, per dare a chi è a bordo la possibilità di spostarsi a velocità impressionanti, accelerando allo stesso modo? Il mio passato di motociclista che ha superato tutto ciò che andasse nella mia stessa direzione indica però questi bolidi come i mezzi più lenti sulle strade, dove peraltro in molti invece corrono, anche con veicoli del tutto inadeguati ed in modo del tutto evidente senza le necessarie capacità di guida.
Non serve scomodare gli antropologi -e nemmeno gli psicologi- per sostenere che quelle auto sono state acquistate solo per essere ostentate, in movimento? Ma no, da ferme! Non conta la velocità (ed il bello di muoversi così, ma bisogna saperle guidare ed è anche molto pericoloso, anche solo per il portafogli) quanto il mostrare, in questo caso di possedere qualcosa di estremamente esclusivo, perché non acquistabile dai più, cui non resta che l’invidia. E parcheggiate all’esterno di qualche bar sono molto più apprezzabili che se passassero a trecento chilometri all’ora…
Per brevità tralasciamo le moto da deserto ed i proprietari che hanno cinquanta chilometri di autonomia sull’asfalto liscio, altrimenti la schiena si fa sentire (ma fuoristrada come fanno? Ovvio: non fanno, ma perché hanno acquistato e lucidano di continuo questi mezzi).
Non consideriamo la moda, argomento fin troppo noto e comunque “confinato”, e guardiamoci invece attorno, meglio se limitando la nostra attenzione al mondo che viviamo, quello “solido”, fatto di case, uffici, scuole, strade, oggetti in generale e via dicendo.
Nessuno vuole sostenere che sia meglio avere (ed abitare) edifici “brutti-perché-solidi” ma più modestamente si intende che oggi il solo aspetto superficiale può servire all’apprezzamento (finchè non passa di moda) ma non può essere sufficiente, specie se “scollato” da ciò che gli sta sotto.
Un esempio calzante, che mi tirerà contro le ire di molti, è ben visibile nel cibo: meglio buono o bello? Chi mangia le pesche o le mele buonissime colpite dalla tempesta (quindi segnate dai colpi)? Non resta che venderle a basso prezzo. Ancora, perché nei banchi della gastronomia si usano lampade specifiche per esaltare il colore degli alimenti (che altrimenti sarebbero pallidi)? Ma perché solo così si comprende quanto sia buono il cibo in vendita! “Buono uguale bello” o “bello uguale buono”?
Oggi il metro di paragone -la risposta delle risposte- è insito in una domanda: è “instagrammabile”? Può -meglio: è degno- di essere pubblicato sul noto social network, basato ovviamente sulle immagini e solo su queste? Se la risposta è positiva siamo a cavallo, altrimenti siamo rovinati. E il sapore o la funzionalità o quello che più caratterizza l’oggetto che stiamo valutando? Ma non importa, che c’entra?
Siamo ormai giunti all’inimmaginabile, termine non casuale che -manco a dirlo- rimanda all’aspetto pensabile: nulla è dotato di vita propria, niente esiste, in barba a Cartesio (ed ai pensatori tutti, attività peraltro superata), se non nella sola funzione della propria presenza sui social, e quindi del loro attirare interazioni, cioè spingere gli inermi-ignavi a cliccare su qualcosa che ci riguardi, cosa che fanno in funzione di ciò che vedono, come volevasi dimostrare.
Guardiamo i turisti delle nostre città d’arte, passano il tempo a riprendersi col telefonino montato su un’asta, che controllano tutto il tempo, per cui vedono piazze, edifici e quant’altro sullo schermo -minimo- dello smartphone, esattamente come chi vedrà le loro riprese. Infatti, pubblicano tutto online! Essere stati presenti nel luogo è solo un dettaglio, forse addirittura una scocciatura, la vera presenza -l’esserci importante- è quello sui social.
Perfino il bullismo e la violenza fisica, sì certo anche e soprattutto quella sulle donne, non avrebbe senso (dal punto di vista dei diretti interessati) se i gruppi di balordi non potessero vantarsene con la prova-provata: il video (è tutto vero, non è la solita bugia dei codardi...)!
Quanti grafici e fotografi si sono specializzati nel rappresentare le pietanze (e tutti i produttori scrivono che l’immagine nella confezione è puramente indicativa, così da evitare le azioni legali)? I grandi cuochi sono (anche) maestri dell’impiattamento… Si dirà che è marketing, ed incontestabilmente lo è, però… Nel nostro ambiente, la cosa non cambia. Poco importa che non ci sia l’esperienza del viaggio, effimero per definizione, o che non ci siano pietanze che una volta ingoiate scompaiono per cui in qualche modo può avere senso il memorizzare l’immagine (o il ricordo?).
Il modo in cui i vani sono disposti nelle abitazioni era un tempo fondamentale, oggi non conta più, importante è il colpo d’occhio. Se non fosse così perché si investirebbe in fotografi, rendering e perfino home staging?
Vero che il prodotto da vendere può (o deve?) essere valorizzato, quanto meno mostrato nel migliore dei modi ma l’utilizzo della fotografia professionale non è legato/dovuto al far vedere “grandi” abitazioni “piccole”? Banale ma incontestabile…
L’home staging, cioè allestire lo spazio per valorizzarlo, serve sicuramente ad aiutare il compratore ad immaginare la sua casa futura. Un appartamento vuoto è sicuramente “povero” e non tutti abbiamo l’immaginazione del caso, qui però si fa leva sulle emozioni: è una tecnica di marketing, cioè di vendita, quella che una volta era detestata ed oggi idolatrata!
Il rendering poi serve a far vedere quello che non c’è, non tanto le modifiche apportabili al fabbricato per migliorarlo, quanto mostrare ad un livello inarrivabile un banale appartamento.
Passiamo a qualcosa di più “concreto”, i rivestimenti! Da molti anni utilizziamo gli impiallacciati, cioè parti in legno nelle quali solo la parte in vista è pregiata, ed infatti costituita da un sottilissimo strato, mentre la rimanenza è di materiale di basso costo, fino ad arrivare alla segatura incollata. Il materiale non è perciò quello che sembra, ma è anche vero che se tutto fosse realizzato in essenza pregiata dovremmo distruggere il pianeta, o forse, più semplicemente, molti di noi non potrebbero permettersi questi prodotti: è accettabile?
Per lo meno dovremmo evitare di usare questi elementi in modo non coerente con l’“originale”. Li ho visti solo io i laminati “finta pietra” usati per le gambe dei tavoli ed altre strutture estremamente esili e che non si potrebbero realizzare in marmo? Perfino la vista si ribella, facendoci sussultare.
E tutto quello che scimmiotta il passato, rendendolo sdolcinato, anzi grazioso? Attenti a criticarlo, va per la maggiore! Non si tratta del rigore delle strutture di un tempo, quando c’era poco e non si poteva sprecare, c’era molto da fare e doveva durare, strutturalmente e pure concettualmente, ma dell’odierno, anche se in realtà non è così nuovo, che finge a più non posso di essere altro.
Uno sguardo un poco disinibito non potrebbe non notare qualche somiglianza con le parrucche di certi personaggi ormai relegati ai film storici, in cui è ben evidente il loro essere posticci… Facevano già pena allora, figurarsi oggi! C’è di più: perché sul fronte tecnologico ci comportiamo diversamente? Nelle stesse “finte” case utilizziamo le rimesse (che chissà perché chiamiamo garages) per ospitare automobili (altrettanto recenti) il cui aspetto ne rappresenta l’esatto contrario, vogliono sembrare ancor più “nuove” di quello che sono. E lo stesso avviene con le apparecchiature funzionanti presenti nella casa: la cucina (cioè l’insieme dei mobili in cui stoccare quanto serve ed in cui preparare la nostra alimentazione) può/deve essere in muratura, come quelle di una volta ma i piani cottura ed il frigo devono essere parenti dello shuttle, e soprattutto (o solo?) nell’aspetto.
Concludendo, aggiungo di non possedere una Ferrari ma vado ovunque possono andare i possessori di questi mezzi, non vado in pista (ma neanche loro) e nella viabilità ordinaria andiamo tutti alla stessa velocità, anzi, forse io con la mia automobilina viaggio perfino più comodo.
Del resto vivere è già difficile, desiderare (a tutti i livelli, da chi non ha nulla a chi ha troppo) costa poco o niente, perchè non farlo? Personalmente più che sognare, punto su cose ed esperienze realizzabili di cui non sfoggio né l’immagine né la sostanza.
Con un poco di sarcasmo si potrebbe affermare come la falsa testimonianza sia punita nei rapporti personali, ed in certi casi (sempre meno, ed anche questo qualcosa vorrà pur dire) nei tribunali, per cui secondo molti, in ambito diverso, si pecca non solo con le parole ma pure con i pensieri, le opere e le omissioni (come sostengono alcuni riti religiosi).
Mi chiedo perciò se lo stesso valga per chi lo faccia con l’immagine (che come abbiamo visto è spessissimo una menzogna a tutti gli effetti) e/o addirittura (magari non scomodiamo il mito di Narciso) per chi menta a se stesso, comportandosi come chi bara facendo il solitario!