Per tutti coloro che come me rifiutano per inclinazione, speranza o fede l’immanenza del creato a favore della sua trascendenza, il linguaggio simbolico è sempre stato la cifra interpretativa privilegiata della natura e del mondo.
Il rituale massonico di apertura dei lavori prevede, tra gli altri riti, il posizionamento della squadra e del compasso sulla Bibbia aperta non a caso all’inizio del Vangelo di Giovanni.
L’incipit del testo recita: “In principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio ed il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. Ebbene in queste parole sta il fondamento del simbolismo, la principale forma espressiva di tutte le grandi tradizioni. Cosa significa questo?
È stato detto: “L’Intelletto divino è il luogo dei possibili e si manifesta a noi per mezzo della creazione”. Ma cosa è la Creazione se non l’insieme delle forme formate, nel divenire, di tutte le forme formanti possibili contenute in essenza nella mente divina in eterno? Quindi il Creato è realmente il linguaggio che il Creatore parla alle creature: Coeli narrant gloriam Dei (Salmi XIX 12.)
Il mondo è dunque il risultato del logos divino proferito all’inizio dei tempi, il Simbolo assoluto perché, come dice René Guénon: “Ogni cosa manifestata è necessariamente essa stessa un simbolo in rapporto a una realtà superiore”. Se è così, forse sarà possibile avere un riflesso, seppur minimo, della magnificenza dell’artefice interpretando la sua opera, risalire al creatore attraverso le creature. Tutti i più grandi mistici e i maestri di sapienza delle grandi tradizioni lo hanno a più voci affermato. “Questo mondo sensibile è come un libro aperto a tutti e legato da una catena così che vi si possa leggere la sapienza di Dio, qualora lo si desideri”, diceva Bernardo di Chiaravalle. E “la contemplazione simbolica delle cose spirituali attraverso le cose visibili non è altro che la comprensione, nello spirito, delle cose invisibili attraverso le visibili”, affermava Massimo il confessore.
Se si constata che il simbolismo trova il suo fondamento nella natura stessa degli esseri e delle cose, che esso è in perfetta conformità con le leggi della natura, e se si riflette che le leggi naturali non sono in fondo, che una espressione e come una esteriorizzazione della volontà divina, tutto ciò non autorizza forse ad affermare che il simbolismo non solo è di origine non umana o in altri termini, che il suo principio risale più lontano e più in alto dell’umanità ma anche “che la natura stessa può essere presa come simbolo della realtà soprannaturale?, come affermava sempre René Guénon? . Si potrebbe addirittura dire che l’uomo stesso, in quanto creato a immagine e somiglianza di Dio, è simbolo per eccellenza anche se a differenza delle altre creature che racchiudono in sé un significato simbolico perfetto in quanto compiute, egli, il cui fine e significato non è compiuto in questo mondo, diviene simbolo dall’interpretazione inattingibile come inattingibile è l’essenza che simboleggia.
Ma andiamo oltre. La rivelazione primordiale che accompagna la creazione è stata incorporata nei simboli che di era in era l’umanità ha tramandato nelle tradizioni dalla notte dei tempi. Questa incorporazione del Logos nel simbolo non prelude forse all’incarnazione del Verbo nel figlio? Ma questa catena che lega tutte le creature tra di loro e le creature stesse al Creatore, questa sublime corrispondenza cantata dai poeti e celebrata dai sapienti delle civiltà più remote può essere letta?
Sì. Deve poterlo essere perché non è concepibile uno spirito infinito che parli a spiriti finiti con un linguaggio senza fornir loro la chiave di lettura per comprenderlo. La sapienza del mondo antico possedeva quella chiave. Ma dall’“Età dell’oro”, che corrisponde al tempo della rivelazione primordiale nella pienezza della sua espressione, l’umanità, attraverso un lento progressivo e inesorabile cammino di allontanamento da essa è ora giunta ad un punto terminale del ciclo, e la chiave è andata perduta. Ma come è potuto avvenire tutto questo? Come si è potuti giungere a un così completo ottenebramento dell’autentica sapienza? Per lungo tempo le grandi Tradizioni hanno guidato, nei loro rispettivi contesti, le civiltà additando continuamente la Trascendenza come cifra della storia conferendo significato alle azioni umane.
A un certo punto, in Occidente, l’umanesimo e il rinascimento, riportando lo sguardo sull’uomo in quanto tale lo hanno allontanato dal suo destino divino, lo hanno incarcerato in se stesso. Poi, attraverso il razionalismo della scienza empirica - secondo cui la conoscenza può derivare solo dall’esperienza sensibile -, passando dal meccanicismo fino al materialismo più tetro dove l’uomo è proiettato in un piano di desideri e aspirazioni esclusivamente materiali, si è giunti al nichilismo della ragione sradicata, instaurando così definitivamente il “regno della quantità”.
È così che si è “smarrita la chiave” e in questo deserto io mi trovo a vivere. Il percorso umano e spirituale che mi ha portato all’incontro col simbolismo inizia quando mi capitò di leggere "Il re del mondo" di René Guénon.
L’incontro con il filosofo francese (il più autorevole studioso di storia della Tradizione del nostro tempo) fu una folgorazione perché mi permise di scorgere una via che forse, percorsa con umiltà e infinita pazienza, avrebbe potuto portarmi se non proprio alla fonte di tutti i simboli, almeno al punto di poterla intravedere.
Finalmente, dopo una lunga serie di formidabili e affascinanti distruttori, qualcuno che mi indicava una via! Ma capii ben presto che da solo difficilmente sarei riuscito a percorrerla perché la via del ricollegamento iniziatico con un’antica Tradizione, che si avvale di un complesso linguaggio simbolico, quale era quella in cui riponevo le mie speranze, non poteva essere intrapresa autonomamente. Avrei dovuto cercare un maestro, una guida e ora sono in cammino.
Non sono affatto sicuro, lo confesso, di arrivare a comprendere, di riuscire a ottenere quelle risposte che cerco da sempre, ma forse non è così importante, forse il destino non è la meta ma il percorso che ognuno intraprende nel tentativo di raggiungerla perché sta scritto, in quel testo sublime che sono le odi di Salomone: “Chi può interpretare le meraviglie del signore? Chi le sapesse interpretare sarebbe dissolto, diventerebbe ciò che si interpreta. Basti sapere e stare nella quiete, poiché nella quiete stanno i cantori, come un fiume dalla sorgiva abbondante che corre in soccorso di chi lo cerca. Lode al Creatore”. Odi di Salomone (XXVI,11-14).