Il 9 maggio 1978, in una tranquilla via di Roma, precisamente in Via Michelangelo Caetani, si consumò un sinistro capitolo della storia italiana. All’interno di una Renault 4 rossa fu rinvenuto il corpo senza vita dell’Onorevole Aldo Moro. Questo tragico evento segnò un punto culminante degli “anni di piombo”, un periodo in cui l’Italia era dilaniata dal terrorismo di matrice politica, con gruppi come le Brigate Rosse, Prima Linea, Ordine Nuovo e Terza Posizione.
Il rosso e il nero si mescolavano e sovrapponevano, simboli di una polarizzazione estrema che vedeva l’ultra-sinistra e l’ultra-destra, o meglio, formazioni extraparlamentari, affrontarsi ferocemente e combattere entrambe contro il sistema. Ciascuna di queste fazioni era animata da ideali radicali, talmente convincenti da spingerle a compiere azioni violente, tra cui rapimenti, omicidi di esponenti del governo, militari, poliziotti, docenti universitari e intellettuali, oltre a stragi su larga scala come quella della stazione di Bologna.
L’ideologia politica estrema, forgiata nel periodo che va dall'immediato dopoguerra al movimento studentesco del ’68, si scatenò in un vortice di sigle e atti terroristici, tanto che le persone preferivano restare chiuse in casa per timore di cadere vittime di imboscate armate da parte di individui che si autoproclamavano portatori di assurde pseudo-verità.
In quegli anni, la vita scorreva lentamente, e ogni notizia legata ai gruppi estremisti metteva la popolazione comune in uno stato di terrore. Gli italiani medi erano veramente terrorizzati dai terroristi, la cui principale “realizzazione” era riuscire a spaventare a morte i cittadini comuni, costringendoli a barricarsi in casa, guardando la TV in bianco e nero e cercando rifugio in programmi come Canzonissima.
Il terrorismo causò centinaia di morti, con proiettili che volavano frequentemente e bombe che esplodevano, causando eccidi di massa. Il colore non ha odore, come si dice, e in questo caso, il rosso e il nero erano solo sfumature di un unico colore: il colore della morte, causata da menti contaminate e corrotte da anni di propaganda ideologica.
Il comunismo e il neofascismo, sebbene dichiarassero distanze incommensurabili e ideali opposti, finirono per toccarsi e intrecciarsi, rappresentando le due facce della stessa medaglia. Questa medaglia fu appuntata sul petto di tutte le loro vittime, siano esse figure di spicco o individui sconosciuti alla maggior parte delle persone.
Oggi, gli “anni di piombo” sono un capitolo della storia italiana che appartiene al passato. Molti terroristi sono morti o sono stati incarcerati, mentre alcuni continuano a sfuggire alla giustizia, talvolta al di fuori dei confini nazionali. Alcuni degli individui dietro le sbarre sono diventati profeti di una nuova giustizia, portatori di una nuova pace, un fatto che lascia un amaro retrogusto.
Le pistole e gli ordigni terroristici sono ora esposti nelle bacheche dei commissariati come reliquie di un periodo oscuro, mentre le foto degli eventi di quegli anni sono diventate icone moderne che ricordano una storia che è stata scritta con il sangue di tante vittime innocenti.
Tuttavia, è importante sottolineare che gli “anni di piombo” non devono mai più ritornare. Quella terribile epoca in cui pallottole furono sparate contro innocenti e inermi per diffondere ideologie folli è solo storia, ma è una storia che deve essere raccontata con la consapevolezza di quanto sia stata oscura e letale.
Dobbiamo ricordare quella storia, ma farlo con la consapevolezza delle lezioni apprese e dell’impegno a evitare che tali eventi si ripetano. Gli “anni di piombo” devono essere relegati agli annali del passato, in modo da non dimenticare mai il dolore e la sofferenza causati da ideologie estremiste e dalla violenza. La vera verità da estrapolare da quegli anni bui è che dobbiamo impegnarci con determinazione per garantire che “mai più” diventi una promessa mantenuta.