Tante persone, non c’è dubbio, sono, anche se solo in parte lo ammettono, spaventate dai nuovi mondi virtuali. La maggior parte, infatti, non lo dice ma li teme al punto di evitare perfino di prendere in considerazione la cosa, che quindi non possono conoscere, e, se capita di finirci comunque contro, cambiano argomento. Tutto ciò deve essere compreso ed accettato, anche se non per questo giustificato, è semplicemente l’atteggiamento di chi non conosce e non riesce nemmeno ad affrontare queste novità, men che meno a rapportarsi con queste, perché siamo fatti così e poco importa se alcuni di noi si comportano diversamente e non comprendono come altri non si adeguino al “nostro” ovvio.
Non è molto ma di fronte al nuovo da sempre c’è chi ne è entusiasta -anzi spinge perché tutto cambi di continuo- e chi lo contrasta, per timore, non c’è dubbio, anche se molte volte il tutto viene mascherato da aspetti culturali o simili. Perché di veri motivi non ce ne sono? Ognuno si risponda come crede... Noia versus paura, quindi? Certo, è semplice -dirlo o scriverlo, non accettarlo- il timore è quello di essere inadeguati, di venire superati ed accantonati, di subire imposizioni esterne e così via. Non scomodiamo gli psicologi ma le paure generalmente non sono razionali: vogliamo disquisire sulla paura dei ragni, o degli spazi aperti, di volare, dei serpenti ma soprattutto dei pennuti?
Nel digitale, la cui diffusione ha ormai sulle spalle diversi decenni, abbiamo già visto lo stesso fenomeno. Sono l’unico a ricordare i primi accessi alla rete e le critiche da parte dei sapienti (a cosa serve? È del tutto inutile! Ma anche: se non si tocca non esiste…)?
E all’avvento dei social, quindi al passaggio ad internet 2.0, non è successo lo stesso? Critiche e diffidenza a non finire, peccato che gli stessi che si sono permessi di enunciare la totalità inutilità, il danno assoluto e simili profezie sull’evoluzione di internet siano gli stessi che venti anni dopo, mentre noi “criticati” ce ne stiamo andando da questi strumenti, che riteniamo abbiano fatto il loro tempo ed al confronto di altri più recenti sono diventati davvero poco, siano inchiodati sui gruppi che gestiscono nei social, la cui sola utilità è quella di far sentire importanti persone che nella loro vita passata -quella fisica, quella vera!- sono stati del tutto ignorati mentre ora ritengono -finalmente- di avere un ruolo socialmente rilevante, lasciate che ometta nei confronti di chi…
Il metaverso rappresenta l’ultima -ad oggi- evoluzione della rete, già è stato definito come “internet 3.0”, come potrebbe perciò non subire la stessa sorte? Noi tutti siamo -più o meno- gli stessi di allora. Da una parte, infatti, c’è chi ha già acquistato terreni virtuali -che prima o dopo rivenderà a prezzo maggiorato agli attuali diffidenti, che saranno convinti di fare un affarone (domani) strapagando, non oggi- dall’altra quelli che fanno a gara nel trovare difetti, limiti e principi per giustificare loro stessi ed il loro voler continuare a sopravvivere nel modo attuale che li caratterizza -autoreferenziale ed assolutamente privo della possibilità di migliorare- come se fossero perfetti e quindi non perfettibili.
I migliori tra i peggiori sostengono perfino che si stava meglio quando si stava peggio, guai però se finiscono in zone non coperte dalla rete cellulare… Evidentemente non ha alcun senso aspettare che questi si ravvedano, nel frattempo possiamo invece visionare quello che possiamo già fare ed i vantaggi che questo nuovo modo di comportarci può darci, certo considerando senza ritegno anche i limiti della cosa, di cui teniamo il dovuto conto in modo assolutamente critico e disinibito, senza fanatismi.
O c’è qualcuno che non prende l’aereo ma nemmeno il treno, l’autobus, l’automobile, la bicicletta per paura di quello che potrebbe succedere? Attenzione: moltissimi incidenti avvengono in casa, anche quelli molto gravi, quindi non è sufficiente non muoversi (leggi: stare immobili), non è nemmeno sicuro -anzi- che il cibo che inghiottiamo non sia avvelenato ed è certo ed assodato come l’aria che la maggior parte di noi respira in luoghi non isolati -come sono le città- sia tossica.
Tornando al rapporto col metaverso, il primo aspetto da considerare -è già stato accennato- consiste nell’indicibile paura di venire superati, di essere espulsi dal mondo del lavoro -ma anche da quello sociale- e quindi di diventare -in modo definitivo e senza appello- superflui. Com’è possibile? Facile, il nostro lavoro (e quindi anche noi, perché moltissimi -di sicuro non chi scrive- si identificano in quello che fanno da questo punto di vista…), dopo decenni di onorata carriera improvvisamente diventano inutili, come già successo ai molti superati da una macchina, che lavora ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette, facendo meglio di loro e costando molto meno, peraltro, lo scrivo con distaccata ironia, senza rivendicazioni di alcun tipo, comprese le ferie, le malattie ed i permessi!
La cosa grave è, ovviamente, il non essere sostituiti da un altro essere umano (ad esempio un neolaureato, fresco di studi, preparato, carico di voglia di fare e con minori pretese economiche), cosa che ci avrebbe fatto imbestialire fino a poco tempo fa, ma da un ammasso di lamiere, una misera, fredda, ripetitiva -ed oltretutto stupida- macchina, priva della capacità di esprimere un proprio parere, che si ferma azionando un pulsante e che -nello specifico- genera un mondo che non esiste in cui noi non riusciamo ad entrare e quindi a farne parte.
Il secondo è, non c’è dubbio, il cambiamento dei rapporti interpersonali. Perché, non credo serva spiegarlo, se l’ufficio diventa “virtuale”, quindi non è più fisico, legato ad un luogo, ma trasla in un ambiente (appunto) virtuale, che non esiste (concretamente) ma ci consente di fare tutto quello che facevamo prima, anzi di più, senza il limite dell’essere presenti contemporaneamente ad altri nello stesso luogo, molto diviene diverso da prima, senza la possibilità di tornare indietro.
Cambia tutto, quindi? Ma certo che no. Sarebbe come dire che nell’ultimo secolo, da quando si è diffuso il telefono le persone hanno smesso di incontrarsi perché basta utilizzare questo strumento per comunicare. E’ vero il contrario: utilizziamo questa incredibile invenzione per evitare trasferimenti inutili (quando basta una comunicazione a voce o testuale) e per trovare il modo per incontrarci di persona.
Il metaverso sarà diverso? Ma no, di certo. E’ la “semplice” evoluzione di quello che conosciamo, se proprio non siamo rimasti isolati per decenni dal mondo reale. Ed anzi per tanti aspetti risulterà più familiare di quello che già facciamo, che generalmente ha un livello di astrazione assolutamente maggiore.
Generalmente gli esempi -appunto- esemplificano le cose: vero che c’è chi ancora si reca in banca per effettuare un bonifico, pagando cifre di commissione assurde, come ci sono giovani che non hanno mai navigato sul sito della banca, utilizzando solo l’applicazione. Non è fantascienza ma la semplice realtà, oggi comodamente dal telefonino posso effettuare una serie di semplici operazioni consultando ed interagendo con il sito internet o l’applicazione della banca, utilizzando codici o altri sistemi di sicurezza e passando da una pagina all’altra secondo principi quasi sempre logicamente sequenziali.
Proviamo però ad immaginare di entrare in una banca virtuale, cioè in una rappresentazione del classico edificio, non digitando codici ma attraversando l’immagine della porta di accesso e, una volta all’interno, fare lo stesso recandoci allo sportello dove è presente un impiegato (che forse non esiste nel senso tradizionale del termine ma ci risponde e fa quanto gli chiediamo, confermandolo e/o approfondendolo con la voce) per poi inviarci reversali, attestazioni e quanto altro comodamente nella nostra casella di posta elettronica: di cosa abbiamo bisogno di più, che cosa ci viene a mancare? Forse qualcuno vorrebbe corteggiare l’impiegata?
Certo, questo è impossibile, ma se siamo un poco più seri non possiamo che comprendere come questo passaggio ci consente di liberarci, come si dice, di una serie di lacci e lacciuoli… Il passaggio è tanto semplice da essere epocale: la novità, una volta provata (non scrivo certo “esperita”), risulterà così semplice ed intuitiva da non poter che essere considerata ovvia ed irrinunciabile, salvo l’essere stata osteggiata fino al giorno prima, come tutte le cose scontate… Tutti, ovviamente, affermeranno poi di non aver mai sostenuto il contrario, perché? Ma è ovvio: perché non è possibile essere di ostacolo ad una cosa del genere, che presenta solo vantaggi!
Niente più astrazioni, come di fatto sono i siti, da navigare in modo del tutto diverso da quello che facevamo prima (perché dal reale ad internet sono stati aggiunti un sacco di artifici, logici in certi casi e per alcune persone, impossibili per altri) ed in modo affatto intuitivo, per non dire contorto (frutto probabile del lavoro di chi ha pensato solo a far girare il prodotto, non certo a chi lo dovrà utilizzare).
Il discorso sulle paure di cui si diceva è pertanto completamente privo delle motivazioni che gli danno diritto di esistere, e, se ciò è vero, e piaccia o non piaccia lo è, il metaverso è “solamente” un estensione della nostra possibilità di fare. La capacità di fare esperienze immersive non è fine a se stessa ma aumenta la facoltà di relazione con gli altri e con il mondo esterno.
Allora che fare? Provare, è scontato! Non si tratta di farsi inghiottire in mondi da cui non si esce, come nei film (e certe sostanze...), ma di toccare “virtualmente” qualche esempio. Non ci perdiamo in stupidaggini quali il peso del visore (che ovviamente diminuirà fino a scomparire) o il nostro non sapere da dove iniziare (perchè nessuno è nato “imparato”) e concretamente diamoci da fare, ecco quindi alcuni semplici consigli del tutto operativi.
Non è necessario l’uso del visore, pur se è indubbio che questo strumento -molto più complesso di ciò che suggerisce il nome, dato che consente non solo di vedere ma anche di ascoltare, di parlare, di muoversi, di afferrare gli oggetti, di agire con le dita su comandi presenti nello spazio e non solo, basta un personal computer, un tablet o, in certi casi, anche solo uno smartphone.
Per entrare in un metaverso basta attivare un account, in modo non troppo diverso da quello che facciamo per le e-mail ed i siti, la differenza consiste nel fatto che si attiva un avatar, cioè un’immagine virtuale di noi -più o meno somigliante, dipende da quel che vogliamo- con il quale percorrere, anzi vivere, lo spazio virtuale.
Se la strumentazione è ridotta ci possiamo muovere azionando i comandi con la tastiera e/o con il mouse, la percezione e l’interazione sarà limitata ma possiamo comunque interagire, senza godere appieno dell’esperienza immersiva ma lo stesso siamo -letteralmente- presenti.
Tutti i grandi marchi pressoché di tutti i settori hanno già il loro spazio (di solito enorme), non manca qualche ambasciata (ufficiale!) e così le fiere (la cui crisi qui non è tale), molti artisti (che generalmente vendono!), tante aziende (alcune hanno ricostruito in modo fedele il proprio edificio, pur se non è certo di pregio...), diversi musei (dove vi sono anche macchine funzionanti, al contrario degli originali conservati nella sede reale, qui osservabili da ogni punto di vista), ci sono gli studi professionali (compreso il mio), ovviamente le community (che tessono relazioni tra i membri in modo nuovo), per non parlare dei giochi (affatto infantili) e via dicendo.
Caso diverso è quello delle agenzie immobiliari, sia quelle che vendono case fatte coi mattoni che quelle che lo fanno con gli spazi virtuali, ma anche società che, lo scrivo a titolo di esempio, ripropongono luoghi noti, rendendoli visitabili a distanza, e magari cedendo secondo diverse modalità l’uso di negozi, uffici o altro a questi prossimi. Riuscite ad immaginare, ennesimo esempio, il centro di Milano, la visita virtuale alla Madonnina, la passeggiata sotto la galleria e magari, mentre andiamo verso la Scala, incrociamo quei prestigiosissimi negozi -ma anche la sede del notissimo cuoco- che però nel metaverso sono sedi “virtuali” di altre attività? Quale visibilità potrebbe avere la nostra attività se avesse questo tipo di sede, ad un prezzo (ed un impegno) completamente diverso da quello reale?
L’affermazione iniziale a questo punto ha perso ogni significato, chiunque provi e colga le opportunità insite nel nuovo modo di fare non può che smettere l’atteggiamento originario, augurandosi invece che aumenti la diffusione (perché vogliamo che tutto sia lì dentro, a nostra “eventuale” disposizione) e che molti degli attuali limiti vengano superati (perché questo è davvero un problema, non quello enunciato dai sedicenti scettici), vogliamo di più e - naturalmente - quanto prima.