Il cervello umano è un organo complesso, misterioso e sorprendente. Si è evoluto insieme al corpo in un processo interconnesso che ha portato la specie umana da Homo Habilis a Homo Sapiens.

È da due milioni di anni che il cervello si occupa di un’unica cosa: la sopravvivenza.

I primi uomini erano dotati di un cervello decisamente più piccolo a cui corrispondevano ridotte capacità cognitive e motorie, quali l’attenzione selettiva e la memoria episodica. Grazie a questi tratti predominanti, l’homo habilis riconosceva le minacce e le opportunità, oltre a imparare dai propri successi e dai propri fallimenti.

Fin dall’alba della nostra specie, il cervello era plastico.

Ogni nuova scoperta veniva registrata, categorizzata, immagazzinata; ogni nuova esperienza diventava punto di riferimento per quelle successive e il corpo seguiva l’evoluzione del cervello portandoci a stare su due piedi, usando le mani per creare e utilizzare strumenti e così via.

Una storia lunga milioni di anni che ci porta fino ai giorni nostri e a un cervello capace di portarci fin su Marte.

Benché complesso, conosciamo molto del nostro cervello: quali sono le principali aree, come si connettono attraverso sinapsi, neurotrasmettitori, neuroni e il loro funzionamento. Abbiamo ben chiara la stretta connessione tra corpo e cervello, che si influenzano reciprocamente in un continuo scambio di informazioni che regolano i processi cognitivi, emotivi e corporei per garantire la sopravvivenza.

Per rendere semplice qualcosa che semplice non è, il funzionamento del cervello è predittivo, si basa su pre-giudizio, pre-visione e pre-occupazione.

Questo tre principi hanno reso possibile l’evoluzione della nostra specie e, tanto quanto sono stati vantaggiosi per l’homo habilis, nascondono qualche insidia per l’homo sapiens.

Il pre-giudizio è una scorciatoia mentale che permette di analizzare l’ambiente e le situazioni e di prendere decisioni rapide attingendo alla vasta biblioteca del nostro cervello. Ad esempio, quando mi trovo di fronte a una porta richiamo le caratteristiche e le funzioni comuni a questa categoria, indipendentemente da forma, colore, dimensione, ecc. Senza questa abbreviazione, sarei costretta a ricominciare da zero di fronte a ogni porta.

Questo vantaggio nasconde l’insidia dell’automatismo. Certo è garanzia di sopravvivenza saper riconoscere un nemico a prima vista, tuttavia quando mi affido ciecamente al pilota automatico corro il rischio di perdermi in giudizi affrettati, superficiali e limitati dalle esperienze del passato. Situazioni complesse possono richiedere valutazioni più approfondite.

La pre-visione è la capacità di vedere prima cosa potrebbe accadere per potersi adattare con rapidità al contesto. Di nuovo l’obiettivo del cervello è quello di garantire la sopravvivenza. Quando l’uomo era un raccoglitore/cacciatore era fondamentale riconoscere e anticipare le situazioni di pericolo per non essere vittime dei predatori.

Questa capacità risiede nella corteccia prefrontale che è in grado di farci immaginare ciò che ancora non esiste e di elaborare le migliori soluzioni possibili. È come se ci fosse un database delle esperienze passate che permette di anticipare il futuro. Ad esempio quando il cielo si riempie di nuvole nere mi aspetto la pioggia, quindi valuto dove e come ripararmi.

Quel grande deposito fatto di vita vissuta è costruito grazie alle emozioni che permettono di registrare gli eventi più importanti per poter tornare a consultarli per le valutazioni future. Qui si nasconde la trappola della previsione: quando guardo il mondo che mi circonda con le lenti di traumi passati, emozioni negative e paure irrazionali, finisco per prevedere quasi esclusivamente eventi catastrofici.

Ancora una volta vantaggio e svantaggio sono la faccia della stessa medaglia.

La terza caratteristica è la pre-occupazione. È strettamente connessa sia al pregiudizio che alla previsione e pone l’accento sulle possibili minacce. È come una previsione sotto steroidi perché immagino scenari, situazioni e conseguenze che potrebbero non avverarsi mai. Nella sua declinazione stoica della premeditatio malorum è molto utile perché con essa non solo posso pianificare le strategie migliori, ma posso anche costruire un piano d’emergenza.

La preoccupazione ferisce come il fuoco nemico quando si trasforma in ansia, stress cronico o paranoia. Il cervello predittivo è dicotomico nel senso che è come una lama a doppio taglio che può trasformarsi da strumento utile a pericoloso se maneggiato senza consapevolezza.

Il confine è sottile e percorribile con la stessa concentrazione di un equilibrista che mette un piede davanti all’altro con lo sguardo alto, rivolto all’orizzonte.

L’insidia si nasconde nello stesso vantaggio competitivo: la velocità di lettura, di valutazione e di azione.

L’uomo moderno, il sapiens, ha bisogno di imparare a padroneggiare quella piccola zona di confine tra troppo e troppo poco, tra pilota automatico e pilota professionista, tra tanto-so-già-come-va-a-finire e vediamo-cosa-può-succedere.

La consapevolezza è quel filo su cui cammina l’equilibrista e separa ciò che è successo da cosa succederà tracciando la linea del momento presente al di là di ogni pregiudizio, previsione e preoccupazione.