Il programma spaziale Apollo che portò allo sbarco dei primi uomini sulla Luna, fu concepito durante la presidenza Eisenhower nei primi anni 60 del secolo scorso, e poi realizzato dopo che il presidente John Kennedy lo indicò come un “impegno nazionale” nel 1962. Obiettivo che fu raggiunto nel 1969, con Apollo 11 e lo sbarco di Armstrong e Buzz Aldrin, sotto la presidenza Nixon.

Certamente, gli otto anni di tempo dati da Kennedy alla Nazione per mettere un uomo sulla Luna, fu una sfida temeraria e impossibile da ripetere, ma allora, in piena Guerra Fredda, prestigio, rivalità e competizione strategica permisero alla NASA di essere supportata da finanziamenti federali considerevoli, tali da consentirgli di raccogliere il guanto di sfida lanciato nel 1957 dall’Unione Sovietica e, a lungo termine, vincere la gara per la Luna. Prima di arrivarvi però, vi furono molte missioni preparatorie, volte a comprendere meglio la natura del nostro satellite, e a sperimentare le tecnologie necessarie per scendervi in sicurezza, e poi ripartire e tornare sulla Terra.

Dall’ultima missione Apollo del 1972, non siamo più scesi sulla Luna fino al 2013, anno dal quale ci sono stati undici nuovi tentativi di scendere sul nostro satellite. Queste missioni Lunari sono state realizzate da Cina, India, Giappone, Israele, Russia e Stati Uniti, ma solo quattro sono riuscite con successo, tre delle quali cinesi. A molti appare strano come con le attuali tecnologie, e con l’esperienza dei vecchi programmi, ci sia ancora un così alto numero di fallimenti. Sembra quasi che ci si sia dimenticati di come si fa a scendere sulla Luna, attività nella quale USA e Unione Sovietica hanno speso centinaia di miliardi di dollari e rubli per decenni.

La realtà è che dopo Apollo, per oltre cinquant’anni la Luna è sembrata uscire dagli interessi delle principali organizzazioni nazionali, sebbene nello stesso periodo l’esplorazione dello Spazio non sia rallentata. Infatti, dopo la Luna furono lanciate le prime stazioni spaziali, le russe Salyut e lo Skylab statunitense, mentre l’entrata in servizio dello Space Shuttle, avvenuta nel 1981, ha contribuito in modo decisivo alla presenza umana nell’orbita bassa (orbita attorno alla Terra tra 300 e 1000 km) con il lancio di satelliti e del telescopio spaziale Hubble, fino a realizzare insieme ai russi l’assemblaggio della Stazione Spaziale Internazionale, per poi essere dismesso nel 2011.

Nello stesso periodo l’esplorazione automatica dello Spaz allargava gli orizzonti alla scienza. Sonde robotiche sono state lanciate all’esplorazione del Sistema Solare fino a Plutone, e alcune di queste, le Pioneer e le Voyager, sono in viaggio da più di cinquant’anni, e dopo essere uscite dal nostro Sistema stanno ancora trasmettendo dallo spazio interstellare. Di tutti i pianeti visitati Marte è il più affollato. Sono state lanciate da Russia, USA, Cina, Europa, India ed Emirati Arabi Uniti, missioni orbitali e di superficie. La sola NASA controlla due rover atomici, Curiosity e Perseverance, l’ultimo dei quali ha portato con sé un piccolo elicottero sperimentale, Ingenuity, che sul pianeta ha realizzato 72 voli, coprendo una distanza di quasi 18 km, prima di fermarsi per la rottura di un rotore.

Un interesse elevato e comprensibile, considerando che negli anni la priorità degli scienziati è scoprire se in passato Marte è stato un pianeta abitabile, e se vi sia vita ancora oggi. Non contenti abbiamo mandato satelliti in orbita intorno al Sole, facendogli addirittura attraversare la parte più bassa e caldissima della sua corona, mentre altri emissari robotici sono andati su comete e asteroidi, riportandone a Terra dei campioni, per comprendere la loro natura, e studiare il modo migliore per proteggere il nostro pianeta, in caso qualcuno fosse in rotta di collisione.

Tutto questo è andato di pari passo al raggiungimento di una grande affidabilità dei vettori, come dimostrano i Falcon realizzati dalla SpaceX. La loro caratteristica di essere recuperati e riutilizzati, infatti, ha consentito di abbassare notevolmente il costo dei lanci, permettendo l’accesso allo Spazio e alla Luna anche ai privati. La presenza sul mercato di questi vettori ha favorito economicamente anche la NASA, che ora può commissionare a questi fornitori i lanci dei suoi satelliti, e grazie alle Crew Dragon di SpaceX e Starliner della Boeing, anche il “servizio taxi” alla ISS. Sollevata da questi impegni, l’Agenzia si è così potuta concentrare al completamento dell’astronave Orion, il cui Modulo di Servizio è fornito dall’Agenzia Spaziale Europea, e del relativo super vettore SLS, che proietterà la nuova astronave nello spazio profondo verso la Luna.

Ma gli Stati Uniti non sono i soli ad aver messo nuovamente al centro dei suoi interessi il nostro satellite. Anche la Cina, la Russia e l’India hanno presentato programmi in tal senso. Inoltre, a questi contendenti, si deve aggiungere anche il multimilionario Elon Musk, proprietario di SpaceX, che con l’astronave Starship, lanciata da un Super Heavy Booster, la cui potenza e pari al doppio di quella del Saturno V che portò i primi uomini sulla Luna, ha dichiarato di voler colonizzare Marte.

Eppure, nonostante tanto interesse e gli enormi i progressi fatti nel campo dei materiali e della tecnologia, dei motori e delle comunicazioni, della elettronica e dei software, le ultime missioni Lunari sono fallite, a eccezione di quelle cinesi che hanno dimostrato una grande abilità tecnica, la Luna sembra essere tornata come negli anni Cinquanta del secolo scorso, una sfida quasi impossibile. A fronte di queste difficoltà, è naturale chiedersi come sia possibile che nonostante i grandi successi del passato, sia oggi così difficile tornare sulla Luna. Cinquant’anni fa la gara spaziale era una disputa con due soli protagonisti: Unione Sovietica e USA, e la sfida alla Luna era diventata il traguardo di una competizione fra le due superpotenze, guidate dall’orgoglio nazionale e differenti ideologie politiche. Per raggiungere il nostro satellite, entrambe i contendenti spesero cifre enormi, ebbero vittime da entrambe le parti durante i collaudi, e impiegarono moltissimo tempo per rendere affidabili le proprie astronavi. Il solo programma Apollo è durato una decina d’anni, e mediamente è costato ai contribuenti il 2,5% del prodotto interno lordo per ogni anno. Una spesa che rapportata alla valuta odierna corrisponde alla cifra impressionante di 300 miliardi di dollari. Cifra che però era abbondantemente minore di quanto il governo federale investì nello stesso periodo per Istruzione, Sanità e Difesa.

Ma quella che stavano affrontando russi e americani non era una gara facile. Tutto ciò che si progettava, costruiva e sperimentava, era una assoluta novità, perché in quegli anni le conoscenze in campo spaziale erano molto limitate, e non esistevano basi certe dalle quali partire. Per fare un esempio, al tempo non si conosceva nulla sulla natura della superficie Lunare. Era pensiero comune fra molti scienziati, sia russi che americani, che la polvere della superficie fosse così soffice e profonda, che qualsiasi oggetto vi si fosse appoggiato sarebbe sprofondato, finendo inghiottito come nelle sabbie mobili. Pertanto, prima di far scendere un equipaggio sulla Luna, si doveva conoscere la consistenza della sua superficie, e capire se fosse in grado di sostenere il peso di un’astronave. L’unico modo per avere questa certezza era inviare dei veicoli automatici in grado di saggiare il suolo lunare, ed è ciò che fecero gli statunitensi con i Ranger e Surveyor, e i sovietici con i Lunik.

Il programma Ranger era stato pensato molto prima di Apollo, infatti, era stato pianificato dall’amministrazione Eisenhower nel 1959, e consisteva in una serie di missioni destinate a cadere sulla superficie lunare, trasmettendo immagini durante l’avvicinamento. Il programma non ebbe grande successo, e delle nove sonde solo tre completarono la loro missione. Fallimenti che in buona parte dipesero dall’esplosione dei vettori di lancio, e dal mancato funzionamento delle telecamere. Il primo lancio avvenne nel 1961, e l’intero progetto venne a costare più di un miliardo di dollari (in valuta 2024). I Media statunitensi attaccarono duramente il Governo, accusandolo di incapacità a restare al passo dei sovietici, e non ebbero altrettanta comprensione delle difficoltà della NASA, soprannominando sarcasticamente i Ranger come The program “shoot and hope” spara e spera.

Ciò nonostante, i Ranger furono utili anche se certamente non determinanti. Spettò ai successivi Surveyor risollevare le sorti della NASA, diventando decisivi per l’invio di un equipaggio sulla superficie Lunare. Il programma consisteva in una serie di sette veicoli, il primo dei quali partì il 30 maggio 1966, mentre l’ultimo si posò nelle vicinanze del cratere Tycho il 10 gennaio 1968. In totale, il costo delle emissioni Surveyor fu di 469 milioni di dollari, corrispondenti oggi a 4,4 miliardi di dollari.

Inizialmente, nell’intenzione degli statunitensi, i due programmi dovevano essere il tentativo di pareggiare i conti con i sovietici, che con Luna-9 avevano raggiunto con successo la superficie lunare il 3 febbraio 1966. Ma quando il presidente Kennedy annunciò il programma Apollo nel maggio 1961, la loro “mission” cambiò radicalmente, andando a unirsi al programma di cartografia Lunare dei Lunar Orbiter, cinque satelliti che dal 1966 al 1967, orbitarono la Luna mappandone il 99% della superficie, alla ricerca delle migliori aree di sbarco per le Apollo.

La realizzazione di queste missioni preparatorie richiesero molti anni e moltissimo denaro, ma erano necessarie. Infatti, oltre agli strumenti scientifici e alle telecamere, questi veicoli, russi e americani, furono il banco di prova di tutte le tecnologie che più tardi sarebbero state utilizzate per scendere sulla Luna. Si dovevano collaudare elettroniche, sistemi idraulici e di comunicazione, radar di avvicinamento e motori. Tutto nell’ambiente dove avrebbero dovuto funzionare, e cioè sotto la costante pioggia di radiazioni cosmiche e solari, e alle differenze di temperatura e gravità che ci sono sulla Luna.

Test impossibili da farsi sulla Terra, specialmente per i motori. Sebbene supercollaudati in fabbrica, questi ultimi dovevano raggiungere il massimo grado di affidabilità, per garantire al veicolo e al suo equipaggio di posarsi sulla superficie senza danni, e poi riaccendersi e ripartire. Si trattava di propulsori di nuova generazione, in grado di dosare la propria spinta e di essere orientati, grazie a un sistema radar capace di misurare la velocità e l’altitudine del veicolo.

Con tanta esperienza alle spalle potrebbe sembrare facile tornare sulla Luna. Basta copiare quello che è stato fatto. Al contrario, i progettisti hanno incontrato un ostacolo inatteso e sotto certi aspetti sorprendente: il progresso della tecnologia avvenuto in questi ultimi decenni. Se pensiamo a un’automobile degli anni 60, e la paragoniamo con una vettura odierna, apparentemente sembrano simili, ma sotto la carrozzeria tutto è cambiato.

Se prima vi era un motore alimentato a benzina tramite un carburatore, che si metteva in moto al semplice scoccare di una scintilla, gli odierni motori ibridi ed elettrici hanno rivoluzionato le tecnologie di un tempo. L’elettronica poi la fa da padrone. Non più tachimetri e pedali del gas e freni comandati da fili, sostituiti da impulsi elettrici provenienti da sistemi elettronici drive by wire, come negli aerei. Un’invasione di microchip in grado di gestire qualsiasi stato dell’auto, dall’apertura alla chiusura delle porte, al funzionamento corretto del motore, al controllo del nostro stato fisico quando ci mettiamo alla guida, solo per citarne alcuni. Un cambiamento enorme e impensabile negli anni ‘60. Certo esistono vantaggi e svantaggi. Infatti, se un tempo un’auto si fermava per un guasto, anche se non eri un vero meccanico, magari con un po' di ingegno, filo di ferro e un cacciavite potevi ripartire. Oggi no, se ti fermi sei costretto a chiamare un carro attrezzi, e in seguito il riparatore per capire cosa sia successo, collegherà un computer al sistema intelligente dell’auto.

Naturalmente, come le automobili anche i mezzi per esplorare lo Spazio si sono evoluti, così come tutta la tecnologia che ci circonda. Un’evoluzione costante e progressiva che ha coinvolto i vettori di lancio, i satelliti e le astronavi. Ma scendere sulla Luna non lo si tentava da decenni. E le esperienze fatte con Apollo, con tecnologie degli anni ’60, e in aree equatoriali relativamente prive di ostacoli e costantemente illuminate, non possono aiutare in alcun modo, specie se pensiamo che l’obiettivo ora è il Polo Sud, una zona molto accidentata e ricoperte di crateri, che si trova per buona parte in ombra. Le nuove tecnologie, quindi, dovranno essere nuovamente testate, esattamente come si fece negli anni ’60 del secolo scorso.

Tutto da allora è cambiato. I motori, per esempio, non sono più gli stessi. Quelli impiegati durante il progetto Apollo utilizzavano combustibili ipergolici, che non dovevano essere accesi da un innesco, poiché bastava che venissero a contatto fra loro per sprigionare la loro potenza. Un sistema ideale quando si naviga nello spazio profondo o si deve scendere sulla Luna, ma altamente pericoloso e tossico, oltre ad avere lo svantaggio di non poter essere ricavato dal ghiaccio che troveremo sul nostro satellite, dal quale invece sarà possibile estrarre ossigeno, idrogeno o metano, propellenti utilizzati nei motori attualmente sperimentati. Questi motori però oltre ad essere più complicati, devono essere accesi da una scintilla. Per questo devono essere assolutamente affidabili, perché se per qualche motivo non dovessero accendersi durante la discesa, o peggio ancora non lo facessero una volta arrivati, impedirebbero il rientro degli astronauti dalla Luna, con potenziali tragiche conseguenze.

Anche il sistema di controllo avvicinamento e discesa, che nel programma Apollo era costituito da onde radio riflesse (radar), che però avevano il difetto di segnalare anche falsi riflessi, non sarà più lo stesso. I nuovi lander lunari lo hanno sostituito con uno a guida laser chiamato LiDAR (Light Detection And Ranging). Simile al sonar, il LIDAR utilizza la luce invece delle onde radio, calcolando il tempo che un raggio laser impiega ad andare e tornare dalla superficie illuminata. In questo modo, oltre a misurare la distanza, restituisce immagini tridimensionali sull'ambiente sottostante. Informazioni, che rendono possibile il controllo della discesa. Inoltre, grazie al confronto con un database d’immagini fotografiche ad alta risoluzione della zona, si potrà trovare il posto migliore dove atterrare, evitando pericolosi ostacoli, il tutto sotto la supervisione di una Intelligenza Artificiale integrata.

Prima di affidare vite umane a questi nuovi apparati, si dovranno collaudare nel difficile ambiente lunare, tenendo presente che i punti d’atterraggio delle future missioni sono tutti al polo sud, dove esistono grandi depositi di ghiaccio cometario, indispensabile se si vorrà sostenere in modo duraturo un avamposto lunare. Si tratta di un’area molto pericolosa, parzialmente in ombra, con avvallamenti, buche e macigni. Una ulteriore difficoltà rispetto alle missioni passate, che sono scese nella fascia equatoriale, ampiamente illuminata e relativamente priva di ostacoli.

Diversamente dagli anni di Apollo, quando la NASA faceva quasi tutto “in casa”, per collaudare in modo economico e veloce i prototipi per Artemis si è affidata all’industria privata. Piccole e agili start up capaci di costruire lander con grandi capacità di carico, che oltre a sperimentare i sistemi che andranno a comporre il veicolo lunare HLS (Human Landing System) del programma Artemis, saranno disponibili sul mercato anche a privati e industrie interessate ad accedere allo Spazio. Grazie ai contratti stretti con queste Compagnie, il risparmio economico per l’Agenzia permetterà in caso di fallimento, di ripetere il test con un altro lander, come è accaduto con la missione lunare Odysseus della Intuitive Machine, che ha segnato il ritorno sulla Luna della NASA dopo cinquant’anni.

Partito il 15 febbraio 2024 e arrivato il 21 dello stesso mese, Nova C – Odysseus è stato il primo lander statunitense a sperimentare un motore metano-ossigeno per l’atterraggio. Fra i vari strumenti a bordo vi era anche un sistema di atterraggio sperimentale LIDAR, progettato dalla NASA, che ha quasi salvato la missione, quando i tecnici della Intuitive Machines si sono accorti che quello di bordo aveva smesso di funzionare correttamente. Lo scambio fra i due apparati però è avvenuto in ritardo, quando si era troppo vicini alla superficie e la velocità impostata dal LIDAR difettoso era troppo elevata. Le conseguenze sono state ovvie. Picchiando duro sulla superficie una delle cinque gambe di appoggio si è rotta, facendo cadere il lander di lato, che però è sopravvissuto all’incidente. Ma la missione ormai era compromessa. Semisdraiato, con uno dei pannelli fotovoltaici in ombra, e con l’antenna principale posta orizzontalmente invece che essere verticale, si è avuto giusto il tempo di ricevere i dati degli esperimenti in funzione durante la discesa, poi più nulla.

Se consideriamo la spesa dell’intera missione, scopriamo che è costata 118 milioni di dollari, una cifra economica se consideriamo che la spesa per il lancio di Artemis-I, è stata 4,2 miliardi di dollari, e solo per fare un volo senza equipaggio attorno alla Luna. Un vantaggio finanziario per la NASA, che grazie all’affidamento a Compagnie private, potrà ripetere le missioni in tempi brevi. Per questo, la Intuitive Machine ha già in programma altri due veicoli: l’IM-2, che tenterà di raccogliere il ghiaccio sepolto sotto la superficie Lunare tramite una perforatrice, e lo IM-3, che sbarcherà due piccoli esploratori autonomi, uno su ruote e uno capace di saltare (Hopper), che potrà operare in zone impossibili da raggiungere per veicoli dotati di ruote.

Nel frattempo, fervono i lavori in casa SpaceX e Blu Origin, le due aziende scelte dalla NASA per la realizzazione dell’HLS (Human Landing System), confermando la strategia “due è meglio di uno” già applicata per le astronavi traghetto Crew Dragon e Starliner. Naturalmente anche questi veicoli dovranno essere testati sulla Luna, prima di essere dichiarati adatti a portare un equipaggio umano. Un traguardo che prudentemente si allontana sempre più, e che ora è previsto per il 2027. Ma non si sa mai: la Cina incalza.

In conclusione, la risposta alla domanda “perché è così complicato tornare sulla Luna”, è semplicemente “perché abbiamo lasciato passare troppo tempo dall’ultima volta”. Cosa ben diversa sarebbe stata se avessimo continuato ad andarci dopo Apollo. Infatti, tutti questi cambiamenti sarebbero avvenuti in modo graduale, un po’ come lo è stato dalle auto degli anni 60 alle automobili elettriche e di oggi, e probabilmente avremmo già delle basi permanenti sulla Luna e su Marte. Inoltre, possiamo essere certi che avremmo speso molto meno di quello che spenderemo ora per raggiungere gli stessi risultati. Ma tutto questo, in fondo, lo giudicherà la storia.