L’ingordigia è un peccato capitale per i cristiani, ma non solo per loro, le cui origini risalgono al mondo degli animali, soprattutto ad alcuni a noi molto vicini: le scimmie, cercopitecidi in particolare, tutte fornite di tasche guanciali (Saccus paraoralis), cioè di membrane molto elastiche che si trovano all’interno delle guance tra le labbra e l’arcata dentaria inferiore. Perché proprio le scimmie? A dire il vero altri mammiferi manifestano l’ingordigia, così come degli uccelli e dei rettili, ma l’evoluzione di questo comportamento ha raggiunto l’apice con gli esseri umani, nei quali, sebbene non siano provvisti di tasche guanciali, assume però altre declinazioni, per esempio la ricerca sfrenata della ricchezza materiale dei beni (cibo incluso), del lusso e del potere che spesso, in verità, si concentra nelle mani di pochi a scapito di molti.

Come sappiamo, l’ingordigia, o più esattamente il peccato di gola, insieme alla superbia, all’avarizia, all’ira, all’invidia (uno dei più diffusi), alla lussuria e all’accidia, fa parte dei sette vizi capitali dell’umanità e il modello animale potrebbe essere molto utile e interessante per indagarlo, soprattutto per la sua pericolosità sociale. Si pensi per esempio che la Rivoluzione francese più che per i dissapori politici della classe media e per le tasse molto alte, è iniziata semplicemente a causa della fame diffusa tra la popolazione più umile.

Un punto importante però è che, nonostante molti animali siano ingordi, hanno generalmente dei limiti che gli uomini spesso non si pongono e non travalicano mai quella pericolosità sociale che potrebbe mettere in pericolo il gruppo e conseguentemente la specie. Gli animali, soprattutto quelli dominanti e che rivestono ruoli importanti nella società, ai loro compagni sottomessi e deboli non lasciano mai solo le briciole, ma cibo a sufficienza per la loro sussistenza, non li affamano. In sostanza gli animali sono coscienti della pericolosità di un comportamento di questo tipo, fondamentalmente egoista. Cercano sempre di non esagerare. Capiscono che una società si regge fondamentalmente sul senso di comunità e sulla solidarietà. E cosa succede tra gli esseri umani? Non va proprio nello stesso modo e come vedremo abbiamo molti esempi che lo confermerebbero.

Tornando agli animali dobbiamo però aggiungere che molti di loro, come bovini, capre, pecore, koala, tutti i roditori, cammelli eccetera, pur non disponendo delle tasche guanciali, ingurgitano continuativamente più cibo possibile. Prima di ingoiarlo lo ruminano e poi lentamente lo portano allo stomaco vero e proprio, l’abomaso. In fondo si tratta di un processo che consente una conservazione più lunga del cibo all’interno dell’apparato digerente. Gli uccelli sono dotati del ventriglio, uno stomaco masticatore che ha fondamentalmente lo stesso scopo. Si tratta di una sorta di anticamera che garantisce la nutrizione e uno sfruttamento costante delle energie anche in funzione di un’eventuale scarsità di cibo a causa di carestie, disastri naturali o altro del genere.

Per questo, se ci facciamo caso, l’attività principale di tutti gli animali, oltre a quello del perseguimento del successo riproduttivo, è la ricerca del cibo dal momento in cui si svegliano al mattino fino a quando vanno a dormire la notte (a meno che non siano animali notturni) o a quando si riposano durante il giorno. Non si tratta però di un’ingordigia vera e propria ma di un processo evoluzionistico che ha consentito loro di vivere bene in questo modo. Così è andata la loro evoluzione ed è stato un grande successo, almeno per gli animali che sono sopravvissuti fino a oggi, perché non bisogna dimenticare che milioni di specie animali di tutte le dimensioni, dalle più piccole fino a quelle dei dinosauri, nel corso dell’evoluzione si sono estinte.

Che cosa è avvenuto nell’uomo? Se guardiamo bene, molto prima che diventassimo dei sapiens e anche molto prima dell’avvento delle nostre lontane e dirette antenate, le specie australopitecine (per esempio Australopithecus africanus, Australopithecus afarensis e Ardipithecus ramidus, quest’ultima risalente a più di 4 milioni di anni fa), abbiamo perso le tasche guanciali, non ne abbiamo mantenuta la benché minima traccia, così come le persero le specie antenate delle scimmie antropomorfe, quelle a noi più prossime, cioè l’orango, il gorilla e lo scimpanzé, più di 10 milioni di anni fa.

Le tasche guanciali hanno invece continuato a esistere in molte scimmie antropoidi, le Scimmie del Vecchio Mondo, in particolar modo macachi, babbuini, mandrilli e cercopitecidi che hanno mantenuto un’alimentazione molto variegata costituita da frutta, foglie, tuberi, insetti, piccoli rettili eccetera, ma soprattutto cereali di varie specie. Le tasche guanciali hanno certamente favorito il consumo di questi ultimi alimenti perché i cereali potevano essere tenuti per diverso tempo all’interno delle tasche guanciali prima di essere masticati, ingurgitati e poi digeriti.

Un altro fatto non secondario è che gli individui con la bocca piena mentre spingono lentamente con il dorso delle mani il cibo dalle guance ai denti sono a riposo, non manifestano nessun comportamento agonistico e i leader non hanno nessuna ragione per aggredire o allontanare i sottomessi. In questi momenti tutti vivono in una sorta di pace sociale.

Che cosa ha comportato quindi la perdita delle tasche guanciali? Quali sono state le conseguenze di un percorso evolutivo di questo genere? La principale è stata che il cibo avrebbe dovuto essere sempre a disposizione e sufficiente per tutti, cosa che ovviamente non era e non è sempre possibile.

I nostri antenati, i primi ominidi, oltre ad alimentarsi di carne animale avevano già da molto tempo iniziato a raccogliere cibo di vario genere, soprattutto granaglie selvatiche, molto più energetiche di tutti gli altri alimenti, ma ovviamente non possedendo più un posto in cui allocarle provvisoriamente, cioè l’interno delle tasche guanciali, dovevano provvedere diversamente. Ma come? Da parte di qualcuno semplicemente nascondendo le fonti alimentari agli altri membri del gruppo, soprattutto quelli non imparentati, oppure raccogliendole velocemente o appropriandosene con violenza lasciando a bocca asciutta i più deboli, quindi con la forza e la prepotenza. Allora gli uni entrarono in conflitto con gli altri e a volte purtroppo sopprimendosi vicendevolmente.

Non dobbiamo mai vedere il mondo dei nostri antenati idilliaco, spensierato, senza competizioni, in pace, come in un paradiso terrestre, tutt’altro. La salvezza della nostra specie probabilmente è stata che alcuni gruppi umani cominciarono a emigrare e lasciare l’Africa, la nostra terra originaria, per andare alla ricerca di fonti alimentari alternative e in luoghi lontani (Europa e Asia e poi anche in Oceania), luoghi meno popolosi o addirittura ancora disabitati o popolati solo dall’uomo di Neanderthal che però i sapiens hanno subito fatto scomparire dall’Eurasia insieme ad altri ominidi come l’Homo di Denisova e l’Homo floresiensis.

L’accaparramento delle risorse alimentari di pochi a scapito dei molti ha sempre costituito uno dei problemi fondamentali della nostra esistenza. Ai nostri tempi è difficile pensare che una competizione tra gli uomini possa scaturire a causa di una scarsità di cibo ma solo perché, soprattutto noi occidentali, ne abbiamo talmente tanto a disposizione che abbiamo difficoltà a pensare che un giorno possa drasticamente diminuire o che potremmo non averne più il dominio o il controllo produttivo.

Però il pericolo c’è e sussiste. È come se l’avidità nella nostra specie, o meglio di alcuni uomini, avesse subito una transizione metaforica dalle tasche guanciali, che non possediamo più, al cervello, purtroppo non solo per il cibo, ma per molti altri beni materiali del mondo.