La pelle è l’organo più esteso e il tatto è il più interattivo di tutti i sensi. La sensibilità tattile consente di rilevare con straordinaria precisione la presenza di stimoli dovuti al contatto della superficie cutanea con oggetti esterni. Il tatto non può peraltro essere inteso esclusivamente in termini neurofisiologici. Gli esseri umani sono creature sociali e il contatto è la forma più primitiva di relazione sociale.
Il tatto si sviluppa già durante la vita la vita fetale e nel periodo neonatale è uno dei canali più importanti di comunicazione. Il tocco gentile crea connessioni personali ed è una componente essenziale nello sviluppo delle emozioni, una forma di comunicazione umana così benefica che la pelle è stata definita “organo sociale”.
Uno studio di alcuni anni fa ha utilizzato la risonanza magnetica funzionale per osservare il cervello di donne sposate sottoposte a stimoli dolorosi. I ricercatori hanno studiato le persone quando erano sole, quando tenevano la mano di uno sconosciuto e quando tenevano la mano del marito. I livelli più alti di attivazione del dolore si manifestavano quando le donne erano sole. Quando tenevano la mano di un estraneo, la risposta al dolore era diminuita.
I livelli di attivazione erano i più bassi quando tenevano la mano del marito. Quanto più alta era la qualità dei matrimoni, tanto più attenuate erano le risposte al dolore. Diversi studi sui neonati hanno dimostrato che il tatto è una componente fondamentale dello sviluppo fisiologico, emotivo e cognitivo. I bambini prematuri aumentano di peso se massaggiati leggermente dalla testa ai piedi mentre la mancanza di contatto può avere conseguenze devastanti.
Il tatto come legame tra medico e paziente
Il tatto è una delle componenti più importanti dell'interazione medico-paziente. Mediante il rilascio di ormoni innesca una serie di eventi che si traducono in rilassamento, fiducia e cooperazione. Il tatto rafforza inoltre il sistema immunitario, abbassa la pressione arteriosa, diminuisce i livelli di stress, riduce l'ansia e svolge un effetto antidolorifico.
L'imposizione delle mani è da sempre una parte essenziale delle arti curative. Le prime forme di medicina si basavano sul bisogno umano di toccare ed essere toccati. Dal papiro Ebers del 1550 a.C. circa ad Asclepio, il dio greco della guarigione, che curava le persone toccandole, ai “guaritori delle mani” della Grecia classica, i kheirourgos, dal greco mano (kheir) e lavoro (ergon), da cui origina il termine moderno “chirurghi”. I guaritori dei nativi americani si affidavano al tocco per curare le malattie, e per molto tempo si è creduto che i re e le regine possedessero il “tocco regale” attraverso il quale la semplice imposizione delle mani poteva guarire.
Nel contesto tradizionale della visita medica il tocco, la palpazione, è indispensabile per diagnosticare o sospettare patologie. Ma non è soltanto un problema di semeiotica. La capacità del medico di esaminare un corpo attraverso le proprie mani è il fulcro della relazione medico-paziente. Si tratta di una sorta di rituale, un messaggio chiaro che i medici trasmettono ai pazienti per creare una connessione da uomo a uomo che rassicura e solleva.
Purtroppo si assiste da molti anni al progressivo retrocedere dell’esame obiettivo nella pratica clinica. Prima l’obsolescenza dell’interazione con il malato a causa del richiamo della tecnologia diagnostica, poi il “distanziamento sociale” da Covid-19 e, infine, l’espansione della telemedicina hanno contribuito ad allontanare i curanti dagli assistiti.
Come preservare il tatto nella cultura digitale
Chi scrive non pensa, come L. Sanders, che “l’esame obiettivo, quello che era un tempo il nostro strumento più affidabile nel capire e diagnosticare una malattia, è morto e sepolto”. La mano del medico rimane uno degli strumenti diagnostici più preziosi e la sua fine sarebbe una grande perdita per l’arte della medicina.
La ricerca più avanzata e i dispositivi ad alta tecnologia non possono sostituire l’interazione umana. Gli esseri umani, almeno per ora, preferiscono l’assistenza di altri esseri umani. La vera domanda non è quindi se la scomparsa del contatto fisico possa danneggiare la relazione medico-paziente ma cosa possiamo fare per preservarlo. Come sempre, la consapevolezza è il primo passo: la tecnologia ci separa dai pazienti ma non è il vero problema. È solo quando diventa un fine anziché un mezzo che rischiamo di perdere secoli di tradizione medica, il che sarebbe dannoso non solo per i pazienti ma anche per i medici.
È pertanto necessario trovare un equilibrio tra l’utilizzo della tecnologia e la garanzia che gli operatori sanitari umani mantengano un ruolo centrale nel fornire supporto emotivo e comprensione ai pazienti, che l’interazione umana rimanga una parte essenziale della professione sanitaria.
L’esame fisico non è uno strumento a basso costo: richiede tempo, pazienza, professionalità. Un recente editoriale ha suggerito che modi più “coinvolti” di praticare la medicina potrebbero essere emotivamente faticosi, ma in definitiva più gratificanti. Tali questioni dovrebbero essere introdotte precocemente nella formazione dello studente di medicina. Nel corso degli studi dovrebbero essere insegnati non solo i meccanismi delle malattie, ma anche come affrontare l'assistenza con compassione, empatia e "tocco umano". Si può iniziare ricordando l'originale scopo dei medici: essere testimoni della sofferenza degli altri, dare conforto e offrire cura. Quello rimane il vero privilegio della professione medica.
In ogni caso, anche se alla fine la medicina digitale, nel senso “ossimorico” del termine, dovesse prevalere, è necessario praticare almeno il “tatto” come sensibilità interpersonale, delicatezza, capacità di intercettare lo stato d’animo dell’altro e rispettarlo.
L’innovazione più importante che arriverà in medicina nei prossimi dieci anni sarà il potere della mano umana di toccare, confortare, diagnosticare e realizzare cure.
(Abraham Verghese)
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