Lo studio comparato dei modelli culturali umani con quelli animali è fondamentale per capire l’origine e il significato di molti comportamenti di cui ora parleremo. Certo, studiare i fenomeni culturali umani è complicato in quanto l’uomo è l’animale con la storia evolutiva più complessa, sebbene più breve. Il tentativo però non è vano, anche se molti ritengono che non sia da farsi perché pensano che la cultura umana, per principio, non debba essere mai messa a confronto con quella animale. Si tratta infatti di un errore perché le due culture non operano mai su piani separati. In sostanza, la cultura animale e quella umana hanno le stesse radici biologiche e psicologiche.

La polemica tra le due posizioni, cioè tra chi dice che si possa fare e chi no, si accese quando dei ricercatori giapponesi, dei primatologi, più di 70 anni fa cominciarono a parlare di comportamenti “pre-culturali” nei macachi del Giappone (Macaca fuscata), come il lavaggio delle patate e la decantazione del grano, che avevano osservato in queste scimmie mentre vivevano libere nel nelle montagne del Giappone e molto spesso a contatto con l’uomo. Le scoperte sulle scimmie non finirono qui: dopo alcuni decenni anche la famosa ricercatrice inglese Jane Goodall parlò senza mezzi termini dell’esistenza dei comportamenti pre-culturali nei suoi scimpanzé (Pan troglodytes) osservati al Gombe Stream Reserve in Tanzania.

Come conseguenza, a valanga, furono fatti altri studi su differenti animali: non solo primati non umani (noi esseri umani apparteniamo all’Ordine dei Primati umani) ma anche altri mammiferi (elefanti, delfini, licaoni) e persino uccelli. Questo venne fatto anche su di un piano psicologico, un aspetto che forse mancava nei primi studi svolti sulle scimmie sebbene non sia stata solo la psicologia nei suoi vari aspetti mentali a determinare il valore scientifico di queste ricerche.

In un primo tempo infatti, l’uso del linguaggio articolato nell’uomo, che tutti gli altri animali non posseggono, ha ostacolato la comparazione uomo-animale. A ben vedere, però, questo strumento unico e solo a nostra disposizione non è determinante ai fini della comunicazione ovvero del passaggio di informazioni da un individuo all’altro.

Si può benissimo comunicare con i propri simili con altri strumenti altrettanto efficaci. Certo, la comunicazione verbale facilita i compiti, le informazioni possono passare più velocemente, ma questo non cambia la sostanza delle cose. Per esempio, gli scimpanzé osservati da Jane Goodall avrebbero sicuramente accelerato i tempi nel costruire dei bastoncini da infilare nei termitai per estrarre le termiti, se qualcuno fosse stato lì a dirgli a parole come fare così da rendere il tutto più facile e proficuo e per fare meno tentativi per raggiungere il loro scopo.

A un bambino, al contrario, posso dire a voce come può risolvere la Torre di Hanoi (un test in cui dei dischi con dei buchi al centro devono essere infilati in un piolo secondo un ordine, il disco più grande alla base e gli altri più piccoli in progressione l’uno sopra l’altro), ma potrei anche farlo mostrandogli senza suggerire a voce come può essere raggiunta la soluzione, rispettando sempre delle regole, solo che ci vorrebbe più tempo. Il bambino dovrebbe prima imitare tutti i movimenti e i comportamenti dell’istruttore per raggiungere lo scopo, essere mentalmente molto attento, pensare, ragionare, ma alla fine ce la farebbe lo stesso, anzi potrebbe migliorare nella tecnica e accelerare i tempi, come d’altra parte è stato osservato nei macachi, nei cebi e negli scimpanzé durante la risoluzione di alcuni problemi di questo genere.

Questi animali sono dei bravi imitatori ma anche dei grandi emulatori. La pressione selettiva ha favorito lo sviluppo di un’intelligenza e di una cultura che hanno prodotto nuovi e più sofisticati strumenti fino ad arrivare nell’uomo alle tecnologie attuali: si pensi per esempio a quelle che ci consentono di volare da Roma a New York in cinque ore, a quelle informatiche che ci consentono di inviare in tempo reale un messaggio da un capo all’altro del mondo, e così via.

La cultura è il bagaglio delle conoscenze e delle tecniche che un individuo acquisisce nel tempo con l’esperienza e la possibilità che poi queste conoscenze passino ad altri individui della sua comunità. L’uomo, da semplice raccoglitore, è diventato cacciatore perché ha inventato, più velocemente di tutti gli altri animali, inclusi gli scimpanzé che sono quelli a noi più prossimi, gli strumenti e la tecnologia per migliorare la vita sociale, facendola passare da competitiva a sempre più cooperativa.

Noi esseri umani, nonostante non ci rendiamo conto di questo fatto essenziale, siamo animali cooperativi per eccellenza. La cooperazione umana va al di là del nostro gruppo di appartenenza, della nostra comunità, dei nostri valori etici, in sostanza è una predisposizione di tutti gli individui del mondo.

Certo, ci sono delle eccezioni come possono essere le guerre, i tradimenti, le invidie, gli sfruttamenti e i sotterfugi, ma se ancora il mondo riesce ad andare avanti è perché la cooperazione supera di gran lunga la competizione. I nostri lontani parenti hanno sviluppato dei modelli culturali che hanno consentito loro la sopravvivenza: una caccia ben organizzata, una difesa cooperativa del territorio e soprattutto una spartizione equa del cibo. Questo è successo anche in diverse specie animali, ma l’uomo rispetto a esse è passato attraverso un itinerario culturale operativo e proficuo molto più velocemente di tutti gli altri. Negli ultimi 150 mila anni siamo diventati degli uomini sapiens, al contrario degli scimpanzé, che sono così come sono da circa 7 milioni di anni!

I fenomeni culturali nascono dalle esperienze dell’individuo, dal suo patrimonio genetico e da un volume del cervello che, nell’uomo, come sappiamo in relazione al peso del corpo, è più grande di quello di tutti gli altri cervelli animali. Lo è sempre stato, anche quando non eravamo ancora dei sapiens. Un nostro lontano antenato, l’Homo erectus, vissuto tra 1,5 e 2 milioni di anni fa, aveva un cervello di circa 750 centimetri cubi, in sostanza il doppio di quello di uno scimpanzé.

Allora, già che l’evoluzione ci è venuta incontro, il nostro cervello utilizziamolo bene!