Chissà perché, fino a un certo punto gli storici hanno associato le fasi di sviluppo dell’umanità ad una tecnologia. Così abbiamo un'era della Pietra (Paleolitico, Mesolitico e Neolitico) seguita da un’era dei Metalli (Rame, Bronzo e Ferro). Stranamente, non abbiamo l’era del Fuoco, eppure deve essere stata la prima tecnologia umana. Poi apparve la scrittura, e gli storici smettono di marcare lo sviluppo delle comunità umane con le tecnologie emergenti. La conseguenza è che la storia appresa sui libri di scuola è storia politica e sociale, fatta di regni e di conquiste. Un certo valore viene accordato alla storia delle idee (storia della filosofia e della letteratura), ma la storia delle innovazioni tecniche è inesistente o relegata a una nota a piè di pagina.
Eppure, collegare lo sviluppo umano alla disponibilità di nuove tecnologie aiuterebbe molto a chiarirci le idee sull’epoca che stiamo vivendo. Per non andare troppo indietro nel tempo, si potrebbe caratterizzare il periodo dal Settecento in poi come l’era delle macchine, di cui la seconda metà del Novecento è il periodo delle macchine digitali e gli ultimi decenni il periodo delle reti tecnologiche. L’era che sta iniziando potrebbe essere battezzata come l’era dell’Intelligenza Artificiale (AI). Ciò permetterebbe di evidenziare che con l’Intelligenza Artificiale tutti, prima o poi, dobbiamo fare i conti, individualmente e collettivamente, e ognuno dovrà porsi la domanda “che impatto avrà l’AI sulla mia vita, sulla mia attività?”, e tentare una risposta, sapendo che non sarà né quella definitiva né quella giusta, perché al momento nessuno ha la risposta vincente, nemmeno quelli che l’AI l’hanno progettata e realizzata.
Oggi siamo abbagliati dalle prestazioni dell’AI Generativa (GenAI), ma è opportuno sottolineare che l’AI comprende una vasta gamma di tecnologie, ciascuna con specifiche capacità e utilizzi. Vi sono sistemi per il riconoscimento vocale e l'analisi di immagini, cruciale per la diagnostica medica e la guida di veicoli autonomi, come i droni che senza intervento umano pianificano percorsi e prendono decisioni. Un altro campo è la robotica che combina l’AI con l'ingegneria meccanica ed elettronica per costruire robot industriali, capaci di operare su dati sensoriali. Invisibili ma onnipresenti sono i sistemi di raccomandazione che, analizzando i comportamenti dei consumatori, forniscono suggerimenti personalizzati. Un altro campo di applicazione è l'analisi predittiva, utilizzata in finanza e marketing. Infine, ultima nata, c’è la GenAI, in grado di analizzare linguaggio naturale per partecipare a conversazioni, rispondere a domande complesse, scrivere codici e produrre contenuti testuali coerenti.
Mi riesce difficile porre la GenAI sullo stesso piano delle altre tecnologie AI, perché essa possiede una qualità che la differenzia dalle tutte le altre. Mentre le altre tecnologie AI sono incapsulate in sistemi e prodotti e agiscono in modo invisibile, la GenAI interagisce con ognuno di noi senza barriere, utilizzando col linguaggio naturale. Ciò cambia tutto, così come ha cambiato tutto il telefono, allorché da oggetto di un luogo (un appartamento, un ufficio, una strada) si è trasformato nell’appendice tecnica del corpo e della mente. Con il cellulare in mano è cambiato il mondo e sono cambiati i nostri comportamenti. Non c’è dubbio che avverrà lo stesso con la GenAI a portata di voce.
Quando appare al mondo una tecnologia dirompente, soprattutto quando essa è alla portata di tutti, l’umanità varca un confine invisibile ed entra in un paese sconosciuto: ciò che davamo per scontato, asserito, certificato come salda verità su cui appoggiare comportamenti e decisioni, comincia a dissolversi in una nebbia sempre più fitta. Contemporaneamente, a poco a poco, la nuova tecnologia comincia a costruire intorno a sé una propria ecologia, col risultato che i vari aspetti del nuovo mondo cominciano a saldarsi tra loro e a catturare senso dalle nuove connessioni. Ciò che porta avanti la costruzione del nuovo mondo è la continua frequentazione della comunità umana con la nuova tecnologia. Attraverso prove ed errori gli utenti intravedono nuove possibilità, sperimentano nuove soluzioni, selezionano i comportamenti appropriati e costruiscono le impalcature sociali ed istituzionali per dare solidità e permanenza al nuovo che nasce. Qualcosa di simile deve essere accaduto al nostro antenato con la tecnologia del fuoco: quante volte si è scottato e ha corso il rischio di incendiare la savana, prima di imparare a padroneggiare la potenza della nuova tecnologia.
Da diversi mesi uso una applicazione di GenAI, a cui ho dato un nome suggerito dall’acronimo Gen-Ar-I, cioè Genarì. Non c’è voluto molto per capire che con Genarì la Trappola della Facilità è sempre in agguato. Mi spiego meglio. La prima sorpresa per chi usa Genarì è che basta una richiesta di un paio di righe per indurre il solerte Genarì a mettersi all’opera, producendo un risultato inaspettatamente buono. Non si può sfuggire al senso di potenza che deriva dall’avere a disposizione un servitore tecnico che comprende al volo le tue intenzioni. Genarì mi ricorda Jean Passepartout, il fedele assistente di Phileas Fogg, protagonista de “Il giro del mondo in 80 giorni” di Giulio Verne. Passepartout ha una risposta per ogni problema e riesce a tirare sempre il padrone fuori dai guai.
Poi, continuando a usare Genarì, senza volerlo, sono spuntate alcune domande: non è che la facilità d’uso di Genarì mi illude di poter fare grandi cose con poco sforzo? Se le risposte che dà a me le dà anche a tutti gli altri, quale vantaggio distintivo ne ricavo? Non è forse vero che un campione vince il Giro d’Italia non perché possiede la bicicletta ma perché affina le proprie abilità con caparbia determinazione e duro allenamento?
Ho capito che con Genarì non devo cullarmi nella facilità d’uso. E come se il mio antenato avesse utilizzato la tecnica del fuoco solo per riscaldarsi, trascurando di apprendere altri possibili usi: tener lontano le bestie feroci, cuocere i cibi, forgiare i metalli, e così via. Insomma, per utilizzare bene Genarì devo sperimentare nuove abitudini comportamentali e cognitive e guardare il mondo nuovo in modo diverso da come osservavo il mondo vecchio. Devo, cioè, sviluppare la dote più preziosa che possediamo: l’immaginazione. Cosa non facile, perché richiede uno sforzo non indifferente, lo stesso che la Regina chiedeva ad Alice che ha attraversato lo specchio:
"Questo non lo posso credere" disse Alice.
"No?" disse la Regina in tono di compatimento.
"Provaci. Fa un respiro lungo, e poi chiudi gli occhi."
Alice si mise a ridere. "È inutile che ci provi" ella disse "non si può credere alle cose impossibili."
"Forse non hai la pratica necessaria" disse la Regina.
"Quando io avevo la tua età, m’esercitavo per mezz’ora al giorno. Ebbene, a volte credevo nientemeno che a sei cose impossibili prima della colazione…"(Lewis Carroll, Attraverso lo specchio)