Questa è la quarta parte di un’intervista, direi di un dialogo tra me e Sergio Bellucci, giornalista, saggista, rappresentante italiano dell’Upeace - l'Università per la pace dell'ONU - e autore del libro AI - un viaggio nel cuore della tecnologia del futuro. Chi ha perso le parti precedenti le può trovare qui. Vi anticipo che da questo dialogo ne trarremo un libro scritto a quattro mani, visto l’interesse che l’argomento sta suscitando in voi lettori e di cui vi ringrazio.
Come hai già sottolineato l’IA ci sta dando la possibilità di guardarci dentro, come uno specchio che ci mostra chi e come siamo. La differenza di pensiero tra Oriente e Occidente non è un evento che si sta verificando negli ultimi anni, bensì è antichissima; il modello di pensiero orientale (cinese come indiano) ha delle divergenze, perlomeno apparenti, rispetto a quello occidentale. Differenze che sono rimaste assopite e probabilmente qualcuno pensava che attraverso la globalizzazione, che io amo chiamare occidentalizzazione, queste divergenze addirittura si ricomponessero, che tutto si uniformasse anche il modo di interpretare il mondo e la realtà.
Invece l'intelligenza artificiale ci sta mettendo di fronte a quella che è una realtà di fatto, cioè il mondo orientale e il mondo occidentale partono da presupposti alquanto diversi.
Sono d'accordo. Ovviamente ci sono dei risvolti interessanti in questo processo che attengono al fatto che, se è vero che le intelligenze artificiali possono palesare questo divario, costruiscono, allo stesso tempo, il ponte tra le due sponde. Ovviamente la forma del ponte non è neutra perché la tipologia di connessione di queste differenti strutture di analisi ne definisce i risultati.
Ma le nuove intelligenze artificiali, quelle che stanno superando i modelli di ChatGPT di cui abbiamo parlato fino adesso, prefigurano uno sviluppo che per alcuni versi potrebbe essere positivo e per altri inquietante. L'aspetto positivo è che ci mettono a disposizione molte soluzioni allo stesso problema e quindi ci offrono una gamma di relazioni, anche tra i due mondi o i molti mondi che esistono, che probabilmente noi come esseri umani non eravamo in grado di produrre.
E questo è un aspetto molto positivo perché ci offre delle possibilità di relazione che probabilmente ci sfuggono, come ci sfuggono quelle potenziali forme tumorali che l'intelligenza artificiale riesce a vedere mentre l'occhio umano ancora non è in grado di percepire.
Dall'altro lato prefigurano la possibilità che emergano delle letture che non poggiano più sulle forme dell'umano, ma che ipotizzano una forma neutra tecnica basata sulla potenzialità di una tecnologia.
Proprio per quello che dicevamo precedentemente, e cioè che tra oriente e occidente ci sono delle differenze culturali, nei confronti di queste diverse letture ci si deve collocare geograficamente con la propria cultura.
Per esempio, in occidente la soluzione basata su una forma neutra tecnica rischia di diventare una soluzione oggettiva, cioè una soluzione che non è messa in discussione in quanto prodotta da un sistema macchinico e noi il rapporto col sistema macchinico l'abbiamo introiettato come giusto e scontato.
Questo è un pericolo che va ovviamente messo sotto osservazione, dato che queste nuove strutture di intelligenza artificiale che stanno per vedere la luce - soprattutto quelle che si prefigurano nei prossimi mesi, non anni, mesi - cominciano ad avere una potenza al cui confronto ChatGPT 3.5, che quando è uscita ci ha fatto sgranare gli occhi, ci sembrerà ridicola. Quindi abbiamo bisogno di digerire, di comprendere, di analizzare e di introiettare la potenza di questo passaggio e sviluppare consapevolezza.
Personalmente rimango dell’idea che l'umano è in grado di gestire questo salto, però c'è bisogno di un cambio di paradigma; cioè le forme, i modi con i quali abbiamo affrontato l'analisi sociale, politica, culturale ed economica fino ad oggi non sono più in grado di reggere il terreno, abbiamo bisogno di fare un salto. Questo è il punto.
Significa che dobbiamo metterci tutti quanti a studiare, comprendere, analizzare e sperimentare forme nuove sia di conflitto sociale che di organizzazione politica, di sviluppo, di consapevolezza e anche di formazione.
L'umanesimo, di cui molto spesso ci riempiamo la bocca nelle nostre discussioni, rivalutava il tipo di essere umano che rompeva con la struttura aristotelica tolemaica, che era ciò che impediva all'umano di conoscere. L'umanesimo ha riconosciuto, anche nel dibattito filosofico e umanistico, le nuove acquisizioni della scienza che avevamo prodotto nei secoli fino alla rottura galileiana, che in qualche modo esprimeva una nuova consapevolezza della presenza dell'umano nell'universo.
Quindi che cosa ha fatto l'umanesimo? Non ha messo l'uomo al centro di tutto, ma l'esatto contrario: ci ha innalzato al livello delle conoscenze scientifiche che avevamo raggiunto.
Oggi abbiamo bisogno di un nuovo umanesimo: abbiamo prodotto un nuovo livello di conoscenza, penso alla relatività di Einstein, alla meccanica quantistica, a tutto quello che la tecnoscienza ci ha messo a disposizione in questi anni, fino all’IA, e abbiamo bisogno di spostare il livello umanistico e filosofico all'altezza di queste conquiste scientifiche.
Questo è l'umanesimo! Se noi restiamo con l'impianto filosofico precedente, mentre queste conoscenze tecnoscientifiche vanno velocemente per la loro strada, impediremo la ricongiunzione di queste due culture che devono tornare a essere una commistione tra l'umano e le conoscenze acquisite.
In sostanza, per essere dei nuovi umanisti dobbiamo capire che cos'è questo tipo di trasformazione e non rifiutarla come fecero gli aristotelici tolemaici che non volevano riconoscere le acquisizioni di quel tempo. Oggi più che mai c’è bisogno di una nuova funzione storica, quella che ricongiunge questi due aspetti dell'umanità e l'innerva in un nuovo salto, in un nuovo rinascimento come fu a quel tempo.
Credo profondamente che quello che la scienza e la tecnologia ci stanno dicendo negli ultimi cento anni - hai citato la fisica quantistica, per esempio - sono temi che alcune culture sostengono da millenni e scienza e filosofia hanno già trovato questo punto di unione tra di loro. C'è un libro molto bello, che sicuramente conoscerai, degli anni ‘70 “Il Tao della fisica” di Fritjof Capra, che mise in relazione questi due modi di vedere, di pensare e di interpretare il mondo, l’universo e il nostro ruolo al loro interno.
È stato un guru per tutti noi.
E come sai è stata sancita l’unione, il punto d’incontro tra queste due culture ponendo all'ingresso del CERN una statua di Shiva Nataraja, Shiva che attraverso la sua danza crea e distrugge allo stesso tempo. Alla base della statua è stata posta una targa dove viene ripresa una frase del libro di Capra dove si mette in relazione l’intuizione che ebbero i mistici di circa 5.000 anni fa con quella della fisica quantistica: tutto è un eterno divenire. Per quello prima ho parlato di “divergenze apparenti” tra Oriente e Occidente.
Ma vorrei tornare su un punto, a mio modo di vedere, molto delicato che hai toccato prima, quando prospettavi la possibilità che in occidente avendo, sostanzialmente, accettato quello che definisci “il sistema macchinico” siamo propensi ad accogliere anche le sue eventuali decisioni, le “soluzioni basate su una forma neutra tecnica”.
Non sappiamo bene come funzioni questa nuova tecnologia, ma siamo disposti ad accettare decisioni prese da lei al posto nostro? Sinceramente la cosa mi inquieta alquanto.
Questa è una domanda importantissima perché tratta, appunto, dei modelli di sviluppo di cui accennavo prima. Modelli sui quali le religioni hanno trovato un punto in comune su come devono essere le linee guida di sviluppo di questa nuova tecnologia, cioè sull'algoretica. Ma siamo sempre al solito punto del normare l’utilizzo di uno strumento, che come abbiamo visto, dipende comunque dal suo uso sociale.
Ti faccio un esempio per me incredibile.
Oggi chi compra una macchina compra centinaia di computer che svolgono migliaia di funzioni e noi neanche ce ne accorgiamo che stiamo utilizzando dei computer. L'idea che avevano in Google e che poi è stata incarnata anche da Elon Musk con la sua proposta di Tesla, è che invece di mettere i computer sulla macchina dovevano mettere le ruote ai computer.
Questa era l'idea di fondo cioè costruire un computer con le ruote che fa tutto quello che fa una macchina, oltre alle funzioni di un computer. Oggi di fatto le cose sono così, noi lo accettiamo, utilizziamo questi nuovi tipi di macchine senza neanche renderci conto che non sono più automobili nel senso che siamo abituati a dare a questo termine.
Ma se poniamo attenzione a tutto quello che può fare una macchina oggi, con tutti i supporti informatici al suo interno e quello che è l'uso sociale della macchina, ci accorgiamo che la distanza è enorme.
Ieri pensavo questa cosa tornando a casa e vedevo una signora che guidava un macchinone gigantesco. Una cosa, tra l'altro, dal punto di vista energetico enormemente dispendioso, perché saranno state due tonnellate di macchina che trasportavano una persona di 50/60 chili, che è una cosa che non ha senso dal punto di vista logico. Questa macchina sul posteriore aveva l’elenco di tutte le sue prestazioni (quattro ruote motrici, e-tech, rs, full hybrid, …) e la signora si è comprata questo macchinone probabilmente per andare al supermercato.
La 500 di una volta svolgeva le stesse funzioni con una semplicità tecnologica molto più bassa. Oggi sviluppiamo tutta questa roba per fare esattamente lo stesso utilizzo. Questo ha senso? Però l'accettiamo tranquillamente.
Quindi, accogliamo di buon grado, senza porci molte domande e senza mettere in discussione tutto quello che ci viene proposto dal mondo tecnologico, fino al punto di delegare a uno strumento, a una tecnologia un potere decisionale.
L'intelligenza artificiale ci potrebbe aiutare molto non solo per andare al supermercato come nell’esempio, ma anche a riconoscere quali sono le nostre esigenze, quali sono le gerarchie che ci spingono a comportarci come stiamo facendo da decenni, per non dire centinaia d'anni, nella rincorsa sfrenata di un cosiddetto progresso, che poi forse diventa un regresso dal punto di vista della coscienza umana e del nostro modo di rapportarci con gli altri e l’intorno nel suo complesso.