Il dibattito sulla “terza ondata” della Intelligenza Artificiale sta diventando sempre più complesso e affascinante, data la rapida evoluzione della tecnologia. Una ricognizione della letteratura di fantascienza e filosofia sull'IA mostra però come tra la letteratura classica (pre 2000) e i lavori di oggi (post 2000) non ci sia sostanzialmente molta differenza, ma solo una differenza di focus: da interessi più teorico-speculativi e etico-giuridici si è passati a interessi sociologico-economici. Possiamo ricavare da questa letteratura contemporanea una serie di cluster entro i quali si dipanano le discussioni sull’IA.

La questione della coscienza e dell'intelligenza artificiale

Ci si interroga se sia possibile che un IA possa sviluppare una forma di coscienza o autocoscienza. Alcuni filosofi e scienziati ritengono che la coscienza sia un fenomeno strettamente legato alla biologia, mentre altri pensano che, con sufficiente complessità, un sistema artificiale potrebbe diventare cosciente.

Tra gli autori che sposano questa tesi abbiamo D. Dennett (il quale, in Consciousness Explained (1991), sostiene che la coscienza è un prodotto di processi cerebrali complessi e che non esiste un "io" centrale o un'anima indipendente dalla biologia), A. Damasio (che in L’Errore di Cartesio (1994), ha esplorato come le emozioni e la coscienza emergano dalle strutture e dai processi neurali nel cervello), Patricia Churchland (figura prominente della neurofilosofia, ha esplorato, in Neurophilosophy: Toward a Unified Science of the Mind-Brain (1986), l’ipotesi che la mente e la coscienza siano funzioni emergenti dei processi biologici) e Francis Crick (padre del DNA, ha anche ipotizzato che la coscienza possa essere spiegata interamente attraverso la biologia e la fisica, noto come la "ipotesi del sorprendente" (The Astonishing Hypothesis, 1994).

Gran parte delle ricerche odierne ruotano intorno a queste ipotesi, che si oppone a visioni dualistiche, come quella di Cartesio (ripreso in parte alla fine del Novecento da K. Popper e J. Eccles, in The Self and Its Brain: An Argument for Interactionism (1977), con l’idea del dualismo interazionista), che postulano una separazione tra mente e materia (oppure anima e corpo), o a posizioni idealistiche che vede la coscienza come qualcosa di separato o superiore alla realtà fisica. Questa posizione viene oggi proposta da due autori di estrazione completamente diversa: David Chalmers, un filosofo contemporaneo, ha proposto che la coscienza potrebbe essere una proprietà fondamentale dell'universo, simile a spazio e tempo.

Pur non sostenendo un dualismo tradizionale, Chalmers, in The Conscious Mind: In Search of a Fundamental Theory (1996), vede la coscienza come qualcosa che potrebbe non essere completamente spiegabile attraverso i soli processi fisici. D’altro canto, Federico Faggin, il padre del microchip che è alla base dell’informatica odierna, sostiene, riprendendo concetti della fisica quantistica (comparabili a certezze della antica filosofia indiana) e, supportati, da esperimenti da lui compiuti, che la coscienza e il libero arbitrio devono essere fenomeni quantistici che esistono sin dall’inizio dell’universo.

Faggin ha cercato di capire come funzionasse il cervello umano: "Per anni ho inutilmente cercato di capire come la coscienza potesse sorgere da segnali elettrici o biochimici, e ho constatato che, invariabilmente, i segnali elettrici possono solo produrre altri segnali elettrici o altre conseguenze fisiche come forza o movimento, ma mai sensazioni e sentimenti, che sono qualitativamente diversi… È la coscienza che capisce la situazione e che fa la differenza tra un robot e un essere umano…

In una macchina non c'è nessuna 'pausa di riflessione' tra i simboli e l'azione, perché il significato dei simboli, il dubbio, e il libero arbitrio esistono solo nella coscienza di un sé, ma non in un meccanismo" (Irriducibile, 2022). Faggin si chiede se “il profumo di una rosa, il sapore della cioccolata, l’amore per un figlio, sono solo impulsi elettrici del cervello replicabili?”. Essi non sono replicabili, in quanto “Mancava un passaggio tra gli impulsi elettrici e quello che proviamo dentro di noi: la coscienza”. Una piccola storia racchiude il senso del lavoro di Faggin: “Ci sono due monaci che guardano un ruscello, uno dice “come vorrei essere quel pesciolino rosso nell’acqua così felice”. L’altro monaco risponde “come fai ad essere sicuro che sia felice se non sei il pesce”.

La risposta, “come fai tu a sapere che io non lo sappia visto che non sei me”. Siamo tutti sicuri di possedere coscienza ma è impossibile dimostrarlo. Beethoven quando scrisse la quarta sinfonia, trasformò i suoi sentimenti in bit, la musica. Noi siamo in grado di ascoltare quei bit ma quali sentimenti provava Beethoven mentre ha composto la sinfonia? Impossibile saperlo. Ecco che si pone il problema della replicabilità dell’esperienza cosciente.

L’argomento di Faggin sulla coscienza, quindi, può essere comparato all’argomento sul linguaggio privato di L. Wittgenstein (Ricerche Filosofiche, 1953, pp.243-315). In particolare, Wittgenstein argomenta che un linguaggio interamente privato, in cui le parole si riferiscono a esperienze o sensazioni accessibili solo a una singola persona, è impossibile. Questo perché, secondo lui, il significato delle parole dipende dall'uso pubblico e condiviso all'interno di una comunità linguistica. In modo simile, Faggin conclude che, “invece di essere separato dal mondo come credevo e come la scienza ci definisce, ero sia l’osservatore che l’osservato”.

Quando parliamo della “coscienza” non possiamo dimostrare cosa essa è (non è replicabile) ma il modo con cui parliamo della coscienza dipende da regole dal loro uso pubblico; ma diversamente da Wittgenstein, ciò mostra che la mia coscienza non è separata dal mondo, bensì è parte del mondo e per questo motivo sono osservatore ed osservato. Le conclusioni di Faggin ricordano la differenza nei Veda tra Atman e Brahman: l'Atman è il concetto di “Sé” o “Anima”, è considerato la vera essenza dell'individuo, immutabile e eterna, che trascende la vita e la morte. L'Atman è spesso descritto come identico al Brahman, l'assoluto o la realtà ultima dell'universo. Infatti, Il Brahman è il principio universale e assoluto (in modo molto simile all’assoluto di Hegel), la coscienza cosmica o l'essenza divina che permea tutto. È la causa e la sostanza dell'intero universo e, secondo la filosofia vedica, ogni cosa è una manifestazione di Brahman.

Il dibattito contemporaneo sulla coscienza ricalca più o meno il classico dibattito classico sulla realtà che prende piede da Parmenide e viene quindi oggi declinato in senso psicologico e biologico e applicato alla IA. La posizione monistica, in particolare, che cerca una fonte unica alla divisione tra mente e materia, tra reale e virtuale, tra aleteia e doxa, non necessariamente può sfociare in una posizione puramente mistico-idealistica come in Faggin.

Una posizione monistica più raffinata e complessa è stata proposta da B, Russell (in The Analysis of Mind, (1921)), il monismo neutrale di Russell afferma che esiste una sola realtà fondamentale e che tutte le apparentemente diverse categorie di esistenza (come la mente e la materia) sono aspetti di questa realtà unica; la distinzione tra mente e corpo, secondo Russell, non riflette una separazione ontologica fondamentale, ma piuttosto una distinzione nella nostra percezione e descrizione della realtà.

Questa prospettiva permette la replicabilità della coscienza in agenti artificiali laddove l’accelerazione esponenziale delle scoperte tecnologiche in questi agenti artificiali avranno un impatto così profondo che diventeranno incomprensibili e imprevedibili per gli esseri umani attuali (Kurzweil, The Singularity Is Near: When Humans Transcend Biology, 2005).