La memoria diminuisce se non la tieni in esercizio.

(Marco Tullio Cicerone)

Se la mente è quella preziosa facoltà che ci distingue dagli altri animali, “perdere la mente” (de-mentia) è di sicuro una grande sventura.

Le Demenze, di cui la Malattia di Alzheimer rappresenta la forma più nota e diffusa, sono la più comune causa di perdita della mente: un processo regressivo che ci fa tornare indietro a cominciare dai ricordi e dalle esperienze quotidiane più vicine.

Il declino cognitivo coinvolge naturalmente anche la famiglia perché, in questo processo regressivo, gli affetti e le relazioni primarie del nucleo familiare costituiscono il primo baluardo chiamato a farsene carico. Affrontare i problemi connessi a questa malattia, sempre più diffusa nella nostra società a causa del progressivo invecchiamento della popolazione, vuol dire pensare e organizzare un ventaglio di risposte e interventi capaci per affrontare al meglio la sfida che abbiamo di fronte. In questo senso vogliamo ricordare il punto 3 della Dichiarazione Finale dei rappresentanti del G8 riuniti in uno storico incontro a Londra l’11 dicembre 2013 “Lavorare insieme, condividere le informazioni sulla ricerca e identificare aree strategiche prioritarie”. Tale indicazione è stata fortemente ribadita lo scorso anno nell’analogo G7 di Tokyo.

È perciò necessaria un’organizzazione integrata e coordinata di più professionisti, una vera e propria “task force” che si faccia carico della diagnosi precoce, del trattamento farmacologico, del sostegno psicologico alla famiglia e dei caregiver, del trattamento riabilitativo delle funzioni cognitive per mantenere il più a lungo le capacità funzionali e le autonomie della vita quotidiana per proteggere e rafforzare la dignità della persona malata e la qualità della sua vita quotidiana e infine di diffondere a livello sociale strategie preventive.

È necessario che gli operatori che si occupano di questo problema siano motivati, sempre più preparati e culturalmente aggiornati per avere a disposizione tutti gli strumenti conoscitivi per rispondere a tutte queste necessità così complesse.

Nell’ambito della prevenzione particolare rilevanza assume da questo punto di vista un concetto neuro-epidemiologico abbastanza recente, la cosiddetta “Riserva Cognitiva”.

Il concetto di Riserva Cognitiva nasce alla fine degli anni 80 dall'osservazione che spesso non esiste una relazione diretta tra l’entità del danno cerebrale e la gravità dei sintomi clinici.

Questo modello suggerisce che il cervello tenta attivamente di far fronte ai danni causati dall'età o da una patologia, utilizzando processi cognitivi preesistenti o compensativi. Si presuppone che, anche se due pazienti hanno la stessa quantità di riserva cerebrale, il paziente con più Riserva Cognitiva, rispetto a quello con minore riserva cognitiva, tollererà più a lungo una lesione anche molto più grave, prima che siano evidenti i segni della compromissione clinica. La Riserva Cognitiva può essere pensata come il modo flessibile ed efficiente con cui l'individuo utilizza la riserva cerebrale a sua disposizione e resiste alla fisiologica o patologica alterazione dei processi cognitivi.

Le differenze individuali non sono pertanto strutturali, nell’anatomia, ma nelle modalità con le quali vengono elaborate le informazioni. Tali modalità permettono una migliore capacità di far fronte al danno cerebrale. Tra i fattori ambientali che entrano in gioco nella costruzione della nostra Riserva cognitiva annoveriamo: una corretta alimentazione (la dieta mediterranea è tra le più protettive); una corretta igiene del sonno; l’astensione dal consumo di sigarette; il quoziente intellettivo (QI); un alto livello di scolarizzazione; il livello di occupazione e realizzazione professionale; lo status socioeconomico; l’impegno nel sociale/volontariato; la pratica di attività spirituali/religiose; l’impegno in attività stimolanti/hobby.

Particolarmente rilevante questo ultimo punto. Indipendentemente dalla professione svolta o dal livello di scolarizzazione, comunque influenti, sembra che più di ogni altro fattore sia fondamentale per fortificare e accrescere la nostra Riserva Cognitiva stimolarsi durante la vita “normale” in modo ripetitivo e variegato sia a livello cognitivo che emotivo.

Più ci gratifichiamo, più ci coinvolgiamo con passatempi piacevoli e diversificati, più elaboriamo in modo emotivamente positivo le nostre esperienze, qualunque esse siano, più il nostro cervello si accresce e si potenzia. Un’evidenza non da poco in un mondo dove lo stress e più in generale la disfunzionalità emotiva sembra siano diventati una regola.

È impossibile trasformare le tenebre in luce e l'apatia in movimento senza emozione.

(Carl Gustav Jung)