Il tema della intelligenza artificiale (IA) è di estrema attualità. Ognuno di noi ha una quotidiana interazione con sistemi che ci supportano in numerose attività (assistenti vocali integrati negli smartphone, motori di ricerca sul Web, social network, condivisione di foto, ascolto di musica, filtri anti-spam, profilazioni commerciali, gadget domotici…) le cui tecnologie si basano sull’IA. Negli anni Ottanta erano considerate intelligenti le calcolatrici, successivamente i computer (in italiano calcolatori) hanno determinato un’elevazione del valore dell’asticella, con una velocità operativa sempre più elevata. Infine l’IA ha prodotto nuove tipologie di applicazioni, automazione delle attività di percezione, classificazione e predizione oltre le possibilità umane. Per una sintesi di queste tematiche abbiamo pensato di intervistare il dottor Giampaolo Collecchia che ha scritto molti articoli sulla IA su questo sito.

Ormai tutti parlano di intelligenza artificiale. Dal mondo della finanza alle aule scolastiche, dai giornali ai banconi del bar, in ambito medico e nello sport, ma si capisce poco. Quindi, per cominciare, ci può dare una definizione di intelligenza artificiale?

In realtà non abbiamo una singola definizione di IA, perché ce ne sono tante: è una sorta di arcipelago, che raccoglie molte discipline scientifiche e tecnologie. Si va dalla robotica ai grandi modelli linguistici, come il famoso ChatGPT, che ha reso l'IA accessibile al grande pubblico, spostando la discussione da un ambito strettamente tecnico a una più ampia comprensione sociale. La stessa intelligenza umana è peraltro un mosaico dalle mille sfaccettature.

Secondo H. Gardner esistono almeno otto forme di intelligenza: linguistica, matematica, spaziale, fisica, musicale, interpersonale, intrapersonale (comprensione di se stessi), naturale (nel senso del rapporto con la natura). Per semplificare possiamo definire la IA come una disciplina scientifica che mira a definire e sviluppare programmi o macchine che mostrano un comportamento che verrebbe definito intelligente se fosse esibito da un essere umano. Questi compiti includono apprendimento, ragionamento e risoluzione di problemi.

Che rapporto esiste tra intelligenza umana e artificiale?

Un importante informatico olandese, E.W. Dijkstra, ha affermato che “La domanda se un computer può pensare non è più interessante della domanda se un sottomarino può nuotare”. Il sottomarino infatti naviga ma non ha coscienza del fatto che si muove nell’acqua. Allo stesso modo se facciamo analizzare da un sistema di IA la foto di un gatto, la risposta, utilizzando tantissimi calcoli, è giusta ma senza una reale comprensione del concetto (gatto). È come se dicesse “non so cos’è questa cosa che tu chiami gatto, però questi puntini colorati formano una figura che è molto simile a tutte quelle finora etichettate con la parola gatto. Secondo me quindi è un gatto, probabilmente”.

Come afferma il filosofo L. Floridi, abbiamo creato una tecnologia che non ha l’intelligenza neppure di un topo, ma che tuttavia ha una capacità straordinaria di agire e risolvere problemi, portare a fine compiti, e di imparare, migliorando la sua performance. Questo non è mai successo nella storia umana.

Ci può descrivere le possibili applicazioni della IA in ambito medico?

L’approccio algoritmico può supportare soprattutto i professionisti che basano il loro lavoro sull’interpretazione di immagini digitali, radiologiche, retiniche, istologiche, oculistiche, dermatologiche, endoscopiche o provenienti dai vari dispositivi. Sono numerosi gli studi che hanno confrontato la IA con gli umani nella interpretazione di radiografie, ecografie, TAC, risonanze magnetiche, elettrocardiogrammi, elettroencefalogrammi. Nella maggioranza dei casi, in contesti ad elevata specializzazione, i sistemi digitali hanno ottenuto risultati pari e a volte superiore a quelli di professionisti esperti.

Peraltro talvolta gli stessi risultati non sono stati riprodotti su immagini meno ideali, provenienti dalla pratica medica quotidiana, ad esempio in ambito dermatologico. L’IA può inoltre aiutare i medici a prendere decisioni cliniche e a definire il migliore trattamento per un dato paziente, interpretare e analizzare in tempi brevissimi dati strutturati e non strutturati, ad esempio gli appunti, raccogliere, elaborare e fornire informazioni ai pazienti (chatbot e assistenti virtuali), implementare modelli predittivi, informare-formare i professionisti (chatbot tutor per gli studenti), identificare nuovi farmaci (o scoprire quali riutilizzare tra quelli esistenti), realizzare nuove metodologie di ricerca.

Qualcuno afferma che la IA potrebbe sostituire i medici. Pensa che possa succedere veramente?

Molti paventano il rischio che una sorta di “assistentato algoritmico” provochi la disintermediazione/detronizzazione del medico, rendendo obsoleta e inutile la fase della consulenza. si assisterebbe alla progressiva messa al bando delle competenze dei medici e delle loro facoltà cognitive a beneficio di dispositivi chiamati a svolgere non una funzione complementare ma esclusiva. In realtà è pericolo improbabile, il medico avrà sempre un ruolo. Forse non farà più diagnosi o non impugnerà il bisturi, però potrà fare qualcosa di molto più importante: comunicare e accompagnare il paziente nella scelta sul “cosa fare”, ciò che sicuramente per ora la macchina non può fare adeguatamente.

La IA può anche aiutare i cittadini e i pazienti?

È stato detto che il XX secolo è stato il secolo del medico, il XXI è il secolo del paziente. La prima cosa che i cittadini e i pazienti fanno abitualmente in presenza di un sintomo è pensare “cosa posso fare da solo?”, la seconda è “chiedo un parere di amici e parenti”, e negli ultimi venti anni, “chiedo ad Internet”. Poi cercano un aiuto professionale. La IA si propone come una specie di nuovo medium con cui il paziente può direttamente interfacciarsi, soprattutto con i cosiddetti grandi modelli linguistici come ChatGPT.

Questi infatti possono essere utilizzati per fornire risposte alle domande comuni dei pazienti e aiutarli a navigare nei sistemi sanitari, per esempio generando informazioni comprensibili su argomenti come la prevenzione delle malattie e la gestione dei sintomi e generare una lista di domande frequenti e risposte per aiutare i pazienti a trovare rapidamente le informazioni di cui hanno bisogno. Possono inoltre aiutare nella gestione dei farmaci, dando raccomandazioni, ad esempio, sulla corretta conservazione. Modelli come ChatGPT possono essere utilizzati per generare modelli di comunicazione tra pazienti e medici, ad esempio per produrre messaggi di follow-up per i pazienti dopo una visita medica o un esame. Purtroppo non è tutto oro quello che luccica.

Un limite attuale a queste possibilità è per esempio il fatto che questi sistemi, in quanto generativi, hanno la caratteristica di dare comunque una risposta, anche se sbagliata: in pratica quando non sanno qualcosa se lo inventano. Si parla in questi casi di allucinazioni. Occorre pertanto avvertire le persone di questi possibili errori, potenzialmente anche molto gravi, e rafforzare l’esigenza di consultare sempre anche il proprio medico.

Ci piacerebbe approfondire la questione etica. Quali sono le sfide legate per esempio al diritto alla privacy?

Le sempre più avanzate implicazioni della tecnologia digitale sono divenute forze ambientali, antropologiche e sociali, in grado di cancellare la separazione tra sfera privata e sfera pubblica. I dati personali, le attività quotidiane, la condizione di salute/malattia, la vita intera sono diventati una risorsa da sfruttare, una merce che noi stessi produciamo diventando lavoratori-produttori di dati personali, in una sorta di schiavitù (in)volontaria. Il concetto di dato personale e anonimo è ormai sparito in una sorta di far web di schedature e profilazioni ossessive, fuori controllo, nel quale la violazione della privacy sembra sistematica.

Oggi è normale avere telecamere nelle proprie abitazioni, gli spazi pubblici sono video sorvegliati, le tecnologie del riconoscimento facciale si stanno sempre più diffondendo, i siti web archiviano e recuperano informazioni intime sul nostro conto. Sono ormai realtà progetti per l’installazione di interfacce cervello-computer in grado di potenziare le percezioni, salvare i ricordi, amplificarli e cancellarli in maniera selettiva. La protezione della riservatezza richiede una risposta soprattutto culturale, in grado di allineare gli attuali contesti, prodotti dalle sempre più avanzate intelligenze computazionali, con il recupero e la promozione dei diritti delle persone, compreso quello di rinunciare, consapevolmente, alla fruizione del diritto alla privacy, per chi voglia comunque partecipare al flusso dell’attualità tecnologica ed essere costantemente on line.

Quali possono essere le conclusioni di questo viaggio all’interno del mondo digitale?

L’ introduzione in ogni ambito della vita di sistemi intelligenti, in grado di apprendere e di decidere, dischiude nuove entusiasmanti frontiere ma nel contempo muta radicalmente la relazione tra l’uomo e la tecnologia. Il futuro peraltro non è determinato, non è qualcosa che capita inevitabilmente. Siamo noi a crearlo. È possibile intervenire sul suo sviluppo, per cercare di reintrodurre a livello culturale una dialettica esplicita, un confronto di pensieri, metodi, obiettivi, necessario per entrare nel merito dei processi, della gestione della progettualità, della difesa dei cittadini/pazienti.

Di fronte alle nuove tecnologie dobbiamo tutti porci domande radicali per prevedere/evitare i possibili rischi, attrezzarci a “vedere” la nuova realtà, tenerci pronti a gestire le nuove tecnologie, per noi, i nostri pazienti, la società attuale e futura. La medicina non può (potrà) mai essere soltanto virtuale né affrontabile unicamente con algoritmi. L’auspicio è che non tanto la tecnologia cambi la Medicina ma che il sistema valoriale della Medicina (uguaglianza, bisogni reali, accessibilità, continuità di cura…) possa “modulare” la tecnologia, allineando la IA con i valori dei diritti umani. Questa sarebbe la vera innovazione, ad alto valore aggiunto, flessibile, potente ed economica, orientata ai bisogni veri delle persone.