Apollo 15 è stata la nona missione lunare con equipaggio della NASA, e la quarta a scendere sulla Luna il 30 luglio 1971.

L’equipaggio, composto dal comandante David R. Scott, dal pilota del modulo di comando Alfred M. Worden e dal pilota del Modulo Lunare James B. Irwin, tutti dell'Air Force, completò la prima missione scientifica di tipo “J” (delle ultime tre del programma Apollo), che prevedeva un soggiorno lunare di lunga durata, con una prevalenza dell'attività scientifica su quella tecnologica e propagandistica. Inoltre, Apollo 15, è stata anche la prima a portare sulla superficie della Luna un fuoristrada elettrico. Costruito dalla Boeing, allora una sussidiaria della General Motors, il Lunar Rover Vehicle (LRV), era un mezzo di trasporto all’avanguardia, che per semplicità d’uso e praticità, non sfigurerebbe neppure se messo a confronto con le odierne auto elettriche.

La missione lunare è ricordata per aver trovato la “roccia della genesi”, una delle più antiche raccolte dagli astronauti Apollo, con non meno di quattro miliardi di anni di età, e per aver convalidato in modo spettacolare la teoria sulla “caduta dei gravi” di Galileo Galilei. Per la sua dimostrazione, il comandante Scott, utilizzando un martello e una piuma, provò che in assenza di resistenza dell'aria, gli oggetti cadono alla stessa velocità a causa della forza di gravità, proprio come aveva predetto lo scienziato italiano.

Sebbene la missione abbia completato con successo tutti i suoi obiettivi, e si possa annoverare fra le più importanti della serie Apollo, quello che al tempo ancora nessuno sapeva, era che alcuni mesi prima del lancio, durante un party a Cocoa Beach, Donald Slayton, Direttore del Flight Crew Operations e come tale Capo degli Astronauti, aveva presentato a Scott, un certo Horst Eiermann, un imprenditore americano di origini tedesche, che lavorava come appaltatore per la NASA.

Sapendo che l’Agenzia aveva autorizzato gli astronauti a portare nello Spazio 250 buste filateliche commemorative, per celebrare il primo utilizzo di un’automobile sulla Luna, Eiermann propose a Dave di portare oltre a quelle autorizzate, altre 400 buste affrancate da dividersi in parti eguali fra lui e l’equipaggio. L’accordo era che le buste “clandestine” sarebbero state messe in vendita a progetto Apollo concluso, e che Eiermann avrebbe ripagato gli astronauti istituendo un fondo fiduciario per i loro figli.

L’imprenditore tedesco però non rispettò gli accordi, e quando al ritorno dalla missione Scott gli consegnò le sue 100 buste, questi le vendette a Herman E. Sieger, un commerciante di francobolli di Stoccarda, che pochi mesi dopo le mise all’asta sul mercato filatelico, ricavandone la considerevole somma di $150.350, pari a $1.167.681 in valuta del 2024.

Normalmente, le regole della NASA consentono agli astronauti di portare alcuni oggetti personali in missione, a condizione che questi non vengano utilizzati per scopi commerciali o di raccolta fondi. Ne è un esempio lampante la targa in miniatura del rover lunare, di 3 x 2 cm, contrassegnata con il numero di registrazione "LRV 001", con "MOON" come stato di origine, l'anno 1971 e i loghi della NASA e della Boeing negli angoli, che Dave Scott portò nella tasca della sua tuta spaziale nelle tre EVA lunari, per farne un ricordo personale da regalare agli amici. Ma quando si venne a sapere della vendita, e quindi dell’utilizzo della missione a scopi personali, ne nacque un finimondo politico.

Quando i tre astronauti appresero la notizia dai giornali, ormai era troppo tardi per fermare l’iniziativa. Ciò nonostante, consapevoli delle conseguenze, presero immediatamente contatto con Eiermann, con il quale ruppero l’accordo rifiutando ogni compenso. Ma ormai i Media si erano impadroniti della vicenda, che finì su tutti i quotidiani con contenuti in buona parte falsi ed esagerati, che screditarono i tre astronauti, spinti solo dalla volontà di mettere da parte un po' di denaro per le proprie famiglie. E non avevano poi tutti i torti, se si considera l’esiguo stipendio che ricevevano mensilmente come ufficiali dell’Aeronautica, certamente non all’altezza dei rischi che il proprio lavoro di astronauta comportava.

Sottoposti a una severa inchiesta da parte della NASA e del Congresso degli Stati Uniti, gli astronauti, pur riconoscendo di aver agito in modo sconsiderato nel non dichiarare le buste postali, affermarono di non essere a conoscenza del fatto che queste sarebbero state utilizzate per scopi commerciali. Ma la polemica sui francobolli, fece pensare all’opinione pubblica americana che la NASA non sapesse cosa facessero i suoi stessi astronauti, né cosa venisse esattamente portato a bordo delle astronavi. Per questo motivo, più che cercare la verità, la NASA fu interessata a condannare severamente l’accaduto, e così evitare ulteriori danni al prestigio dell’agenzia governativa. Dopotutto, si trattava di viaggi nello spazio estremamente costosi, e pagati con denaro pubblico, che oltre a essere al centro dell’attenzione generale, servivano politicamente a costruire un’immagine sempre più positiva degli Stati Uniti nel mondo.

Le ripercussioni per i tre furono immediate, e dopo aver ricevuto un rimprovero ufficiale e consegnato tutte le “buste della discordia” alla NASA, Slayton li rimosse da ogni volo operativo, destinandoli al peggior posto dove può finire un astronauta: dietro una scrivania.

Seguirono anni di testimonianze, indagini e revisioni da parte del Dipartimento di Giustizia, e fu solo nel 1978 che il Governo riconobbe che la confisca delle 298 buste (due, nel frattempo, erano andate perse) non era lecita, e che pur contravvenendo alle regole interne della NASA, erano destinate a essere regalate e non vendute a scopo di lucro. Il verdetto, quindi, assolse gli astronauti da ogni accusa di speculazione, ma le buste rimasero chiuse nei “cassetti” della NASA.

La sentenza sembrò finalmente chiudere definitivamente questo brutto capitolo, ma non fu così, infatti, nel 1983 la disputa venne nuovamente a galla. Questa volta fu Alfred Worden, pilota del modulo di comando dell’Apollo 15, a farsi avanti facendo causa alla NASA, quando venne a conoscenza del progetto del Servizio Postale degli Stati Uniti, di far volare migliaia di buste nello spazio. Voleva che le buste di Apollo 15 fossero restituite a lui e ai suoi colleghi, e quando vinse la causa, non furono rese solo le buste, ma simbolicamente restituita dignità ai nomi dell’equipaggio dell’Apollo, almeno agli occhi del pubblico.

Tuttavia, gli astronauti soffrirono anni di sofferenze e pregiudizi da parte delle nuove leve, così come dai più anziani appartenenti al corpo astronauti a tempi precedenti all’Apollo 15. La loro immagine era stata macchiata dalla venalità e dal modo ingenuo in cui ne avevano tratto profitto, anche se in piccola parte, poiché tutto questo strideva con l’idea virtuosa dell’astronauta.

Nel 2009, a testimonianza del suo innegabile contributo alla conquista dello Spazio, Al Worden fu premiato con l’Ambassador of Exploration Award, un riconoscimento che la NASA concesse alla prima generazione di esploratori nei programmi spaziali Mercury, Gemini e Apollo, per aver realizzato l'obiettivo dell'America di andare sulla Luna.

NOTA

Le 232 buste autorizzate non atterrarono mai sulla Luna, ma rimasero in orbita a bordo del Modulo di Comando con Worden. Tutte le buste erano state portate a bordo del veicolo spaziale nelle tasche delle tute spaziali degli astronauti, e furono autenticate solo dopo il loro ritorno sulla Terra, e quindi mai timbrate sulla superficie. Di queste con l'approvazione ufficiale dell'agenzia una sola fu effettivamente timbrata sulla Luna.