Il nostro sistema visivo consente di distinguere le caratteristiche più importanti degli oggetti che ci circondano, la forma, i movimenti, la localizzazione nello spazio, gli orientamenti (verticali, orizzontali e obbliqui), di cogliere il significato delle espressioni facciali dei nostri interlocutori, come la tristezza, il disgusto, la felicità, la sorpresa e la rabbia, che sono le emozioni fondamentali della nostra specie e degli scimpanzé.

Permette inoltre di distinguere i colori, quelli dello spettro elettromagnetico che va dal rosso al violetto, con una lunghezza d’onda che oscilla tra 400 e 700 nanometri (nm): 437 nm per il blu, 533 nm per il verde, più di 564 nm per il rosso eccetera. In natura esistono molti altri colori e per i pittori così come per gli imbianchini esiste un catalogo di colori, detto Pantone (palette di colori), che standardizza le loro varie armonie che sono moltissime, e che consente di riconoscerli, di costruirli artificialmente e di potergli dare anche un nome.

Ne sappiamo qualcosa quando dobbiamo decidere di pitturare una stanza con un colore diverso da quelli classici, bianco, verde o violetto. Esistono, per esempio, varie sfumature o valori tonali del rosso che possono essere distinte, più che fisicamente, secondo la ricchezza o la povertà linguistica della gente che li osserva e che deve nominarli; ecco perché per noi occidentali è facile capire senza problemi la differenza tra un rosso porpora, o scarlatto, o corallo o chiaro, molto meno lo è per altre sfumature.

Lo stesso ragionamento potrebbe valere per il colore verde per una popolazione, per esempio quella amazzonica, abituata a vivere nella foresta dove esistono diverse tonalità di questo colore o per il bianco per una popolazione che vive tra le nevi della Groenlandia o al di sopra del Circolo Polare Artico a nord e di quello Antartico a sud del mondo. Per noi europei, ma in generale per coloro che vivono nell’emisfero boreale e australe, la neve è bianca e basta, ma per un groenlandese o per un lappone potrebbe assumere sfumature molto diverse, per esempio bianco latte, avorio, fumo, aranciato eccetera.

Tornando allo spettro elettromagnetico, una grave lesione della corteccia visiva, la V4, non ci consente più di distinguere i colori: tutto appare grigiastro, confuso, scolorito, sostanzialmente indistinto. In questi casi nei circuiti del cervello si verificano dei cambiamenti nelle connessioni sinaptiche che sono miliardi e quindi nei segnali che non vengono più distinti adeguatamente e che nemmeno consentono più di nominare in modo appropriato i colori. In questi individui esiste la possibilità di pensare di vedere e quindi dire che una banana o un limone maturo non sono gialli ma blu.

Questo fenomeno si chiama acromatopsia cerebrale (cecità cromatica) e i soggetti che ne sono colpiti a causa di un ictus, di un trauma commotivo o altro di questo genere, oltre a non distinguere più i colori degli oggetti, vedono tutto in bianco e nero; in compenso, come amara consolazione, questa patologia implica lo sviluppo di una risoluzione maggiore del normale, aumenta l’acuità visiva, cioè consente ai soggetti che ne sono colpiti di percepire maggiori dettagli di un oggetto complesso rispetto agli individui sani.

Dobbiamo però sempre pensare al dramma esistenziale, alla disperazione, allo smarrimento che questo deficit può provocare, per esempio in un artista, soprattutto un pittore; pensiamo a Vincent Van Gogh: se non avesse più potuto distinguere i colori, se dal suo campo percettivo fosse scomparso il giallo? Probabilmente avrebbe continuato a dipingere in bianco e nero, come hanno fatto alcuni pittori che hanno subito questo trauma corticale o forse sarebbe passato a un’altra forma di espressione artistica, per esempio alla scultura in cui i colori non assumono ruoli di rilievo o esteticamente importanti. Nessuno può sapere che cosa avrebbe deciso di fare Van Gogh con i suoi noti disturbi psichici e con la sua personalità molto singolare. I colori, soprattutto quelli più accesi, hanno sempre suscitato l’interesse di tutti gli artisti, ma anche di alcuni filosofi (a dire il vero pochissimi). Per esempio, nell’ultima opera scritta dal famoso filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein nella fase terminale della sua breve vita, intitolata, appunto, Osservazioni sui colori, egli parla del concetto del colore tra esperienza e immaginazione e all’uso che se ne fa nel linguaggio comune. Fantastico! Anche Goethe nel 1810 pubblicò un’opera dal titolo La teoria dei colori che contiene una visione molto romantica dei colori e quindi non scientifica.

Naturalmente stiamo parlando di un fenomeno, quello visivo, in un individuo normale, che si manifesta sotto la luce del sole o di una illuminazione artificiale, mai al buio, nell’oscurità o in penombra, anche se, a dire il vero, sembra che Caravaggio abbia dipinto alcuni dei suoi quadri più famosi, ricchi di suggestivi chiaro-scuri, giocando con le luci riflesse nella semioscurità. Nel buio totale i colori scompaiono così come gli oggetti circostanti con tutte le loro proprietà fisiche -intensità dello stimolo, lunghezza d’onda, sensibilità di contrasto – o, dette più precisamente, “frequenza spaziale”: una determinante fisica fondamentale per la risoluzione visiva (sensibilità di contrasto) che ci consente di distinguere oggetti molti simili tra loro, per esempio un pianoforte a coda da uno verticale o le facce dei nostri amici da quelle dei nostri nemici!

In ultimo la domanda è: cosa suscitano i colori quando li percepiamo, per esempio quelli di un bel quadro del Giorgione o del Tiziano, di un paesaggio di Claude Monet, di un tramonto di William Turner o del mare in estate della Grecia dipinto ad acquarello da Bruna Cerutti Felugo? Chi conosce le isole della Grecia chissà quante volte avrà visto le sue riproduzioni e copie dipinte da artisti locali nei negozi e nelle bancarelle, per esempio di Kos, Naxos, Santorini e di molte altre isole. Ciò che suscitano i quadri degli autori appena citati, ma anche di molti altri, anzi, di moltissimi altri, potremmo chiamarle tutte insieme “suggestioni psicologiche dei colori”, infatti i colori possono essere percepiti, a seconda dei casi, come dei fattori stimolanti e ci trasmettono emotivamente un senso di calma e serenità.

Al riguardo, purtroppo, non esiste una vasta letteratura ma, senza arrampicarci sugli specchi, potremmo dire che i colori hanno sempre suscitato delle emozioni molto forti, soprattutto quelli utilizzati dai grandi pittori nei loro quadri più famosi. Qui entrano in campo più che la pura e semplice percezione dei colori nella corteccia visiva, il luogo in cui queste informazioni vanno poi a finire, cioè in quali aree corticali, per esempio quella prefrontale, sensoriale, motoria o temporale, e soprattutto come queste prime impressioni vengono elaborate cognitivamente, con tutto il coinvolgimento del nostro cervello e quindi come possono suscitare dei sentimenti in ognuno di noi, perché i colori possono farlo. Dal momento che l’amore è un sentimento ecco perché a volte diciamo di amare più Monet di Manet o Giorgione più di Tiziano eccetera.

Ma sappiamo realmente il perché? Il fatto è che nel cervello non esiste un’area specifica dell’amore, ovviamente, soprattutto di quello artistico o di un altro sentimento simile. Io credo che una spiegazione scientifica non potrà mai essere trovata ma che il tutto abbia probabilmente a che fare con l’affettività più che con gli ormoni dell’amore come l’ossitocina, il testosterone e gli estrogeni.

Noi esseri umani, e probabilmente anche alcuni animali, sin da piccoli ci affezioniamo alle cose e ai loro colori, anche inconsapevolmente, che poi, in condizioni normali, rimangono nella mente fino alla nostra morte o nella lucidità dei nostri pensieri e quindi indelebilmente nella nostra memoria, come un imprinting: infatti non esiste solo l’attaccamento a persone e cose, ma anche quello ai colori (pensiamo solo per un attimo a quelli di un prato in fiore a primavera).

In sostanza il mondo che ci circonda non è fatto solo di chiari o di scuri, ma di tanti colori con i quali fantastichiamo e ci lasciamo suggestionare (appunto, come fece Van Gogh) come realtà neurologiche che accadono all’interno del nostro cervello: il potere dei colori.