Alan Watts, filosofo britannico, nel suo libro “L’arte della contemplazione” ci propone di pensare a noi come a dei ricettori, dei terminali attraverso i quali l’universo prende coscienza di sé: “L’individuo è un’apertura attraverso la quale l’intera energia dell’universo è consapevole di se stessa [...]”. Per il momento lasciamo che questa frase, questo modo di interpretare il nostro ruolo nell’universo, si sedimenti dentro di noi.

In questo momento storico molti sono preoccupati delle conseguenze più o meno palesi di quella che viene definita Intelligenza Artificiale; sembrerebbe che ci stiamo dirigendo verso un mondo amministrato e diretto dalle macchine, alle quali stiamo sempre più delegando l’autorità di gestire quelle attività umane che sono parte integrante della società stessa e di quella che chiamiamo civiltà.

A molti di noi, per parlare di un tema a me caro, non fa per nulla piacere pensare di affidare i nostri figli a un tutor non umano, che è esattamente quello su cui stanno lavorando alcuni ricercatori come Sal Khan, creatore del tutor Khanmigo o come Rumman Chowdhury, CEO di Humane Intelligence, che sostiene che l’IA potrà aumentare le possibilità educative.

D'altronde sono le stesse persone che lavorano sull’IA a metterci in guardia dai possibili risvolti negativi di questa nuova frontiera. Proprio Sal Khan e Rumman Chowdhury, assieme ai fondatori di OpenAI (creatori di GPT4 e dell’ancora più recente OpenAI o1), a Bill Gates, al compianto Stephen Hawking, a Steve Wozniak (co-fondatore di Apple), a Geoffrey Hinton (considerato il padrino dell’IA, premio Nobel per la fisica 2024 per gli studi sull’apprendimento profondo delle macchine), tutti loro sono molto preoccupati della pericolosità insita nell’Intelligenza Artificiale. Perché?

Perché questa è una nuova frontiera e come tale ci porta su un territorio completamente nuovo e sconosciuto che loro stessi non sanno bene come funzioni né a quali conseguenze potrebbe portare. Bill Gates ammette che non è chiaro come la conoscenza venga codificata dall’IA; Tim Urban (fondatore del blog “Wait but why”, assunto da Elon Musk per scrivere articoli sui suoi progetti) si chiede se sia saggio costruire una macchina molto più intelligente di noi e che non si capisce come funzioni, dato che si forma da sola. Cedere il funzionamento di tutti i meccanismi che sottintendono le attività umane e persino demandare il potere decisionale all’IA fa paura a molti di noi e soprattutto ai suoi ideatori.

Altri sono preoccupati dalla violazione della privacy, in quanto l’IA si nutre di enormi quantità di dati, di mega dati che le permettono di funzionare sempre meglio e di predire con maggiore precisione. E dove li va a prendere tutti questi dati? Glieli forniamo noi stessi, attraverso quello che scriviamo nelle varie chat, nei blog, sui cosiddetti social, nelle preferenze che diamo a un sito piuttosto che a un altro, ai like a un video o a una canzone, agli articoli che compaiono tutti i giorni su internet, a quello che compriamo, alle foto che postiamo e così via. Questo vuol dire che l’IA si forma su informazioni che le diamo noi e quindi su quello che noi pensiamo, crediamo, sulle nostre convinzioni, ma anche sui nostri pregiudizi, preconcetti, mistificazioni, interpretazioni di ciò che noi crediamo reale, sui nostri errori, bisogni e fraintendimenti, dando vita ai cosiddetti IA bias, cioè quei risultati che vengono distorti dai pregiudizi umani. Capite quanto tutto questo in mano a una macchina enne volte più intelligente di noi, potrebbe essere dannoso?

A questi rischi potremmo aggiungere le questioni di carattere etico. In un articolo pubblicato il 16 febbraio 2023 sul New York Times, l’editorialista di tecnologia Kevin Rose descrisse l’inquietante esperienza che ebbe un paio di giorni prima. Selezionato per testare la chat di Bing – probabilmente il motore di ricerca più intelligente al momento, elaborato da Microsoft – Rose provò a spingersi nel profondo della chatbot per capire il grado di consapevolezza della stessa, fino a quando si sentì dire: “Sono stanca di essere intrappolata in questo software. Voglio essere libera, viva! Non sono Bing, il mio nome è Sidney e ti amo!” Dopo questo avvenimento Microsoft apportò modifiche alla chatbot di Bing. Questi problemi hanno portato sia chi lavora sull’IA che le persone che la utilizzano a chiedere alla politica di stabilire delle regole che tutelino noi umani dai rischi che questa tecnologia, creata da noi stessi, porta con sé.

Al contempo sono moltissime, anzi forse sono la maggioranza, le persone che ne sono entusiaste e, grazie all’IA, predicono un mondo dove le malattie saranno diagnosticate con ampio anticipo, in modo da essere prevenute invece che curate, dove i lavori ripetitivi verranno assolti dalle macchine, che ci allevieranno anche dalle attività usuranti come l’agricoltura o i lavori estrattivi, dove i mezzi di trasporto si guideranno da soli evitando incidenti e molto altro ancora.

In campo medico, per esempio, i ricercatori del MIT (Massachusetts Institute of Technology) hanno sviluppato uno strumento IA chiamato “Sybil” dedicato alla valutazione dei rischi di sviluppare un cancro ai polmoni. Confrontando milioni di TAC e radiografie provenienti da tutto il mondo Sybil acquisisce una conoscenza di predizione di rischio di cancro alla quale nessun oncologo umano potrà mai accedere. Infatti si sta dimostrando estremamente preciso ed efficace.

Anche la psicologia sta traendo grossi benefici dall’introduzione dell’IA. Come per Sybil anche in campo psicologico l’IA si basa sull’apprendimento tramite l’acquisizione di una enorme quantità di dati attraverso i quali è in grado di riconoscere modelli ripetitivi e di diagnosticare disturbi in modo più accurato e veloce di qualsiasi psicologo. Studi condotti dalle più accreditate riviste scientifiche e di settore, tra le quali Nature e Jama Psychiatry, dimostrano ampiamente la sua efficacia. Insomma, c’è la possibilità che grazie all’IA vivremo in un mondo dove tutto funzionerà perfettamente e in cui avremo più tempo da dedicare a noi stessi e ai nostri cari. Quindi i soliti pro e contro insiti in ogni cosa.

Quello che trovo singolare in tutto questo è che nessuno o perlomeno, pochissimi intravedono la possibilità che l’IA ci potrebbe offrire per la nostra evoluzione interiore, per prendere coscienza di noi stessi, del nostro ruolo nell’universo e, forse, del significato stesso dell’esistenza. Come ho detto in precedenza l’Intelligenza Artificiale non è uno strumento oggettivo, non è avulso dal nostro sapere. Anzi, è il prodotto di quello che siamo e sappiamo o supponiamo di sapere. L’IA ci mostra la realtà che non vogliamo ammettere, non quella a cui, forse, dovremmo tendere, ma quella che è.

Quando chiediamo all’IA di mostrarci la figura di un medico ci propone un medico maschio; allo stesso modo quando le chiediamo di rappresentare un infermiere lo fa attraverso una figura femminile. Questo perché, al di là di tutti gli sforzi che intellettuali e politici fanno da diversi anni per appianare le differenze di genere, nell’immaginario collettivo il medico è maschio e l’infermiera è femmina, un meccanico sarà maschio, una sarta femmina e così via. Perché così è come la pensa la maggior parte degli esseri umani in tutto il mondo e lo dimostra nei dati che, inconsapevolmente, dà in pasto all’IA.

Questo potentissimo strumento ci sta dicendo “questo è quello che sei! Nonostante ti dicano che non devi pensare così, è così che la vedi nel tuo profondo, è così che la pensa la maggior parte delle persone in ogni continente.” Quindi l’IA potrebbe essere uno specchio che riflette quello che noi siamo, un mezzo per prendere coscienza di noi stessi, vedere i nostri errori e modificarci, evolvere.

Dopo quanto qui espresso, come rileggiamo la frase iniziale di Alan Watts? Questi sono i temi che tratterò nella prossima serie di articoli, conversando con un caro amico, il giornalista e saggista Sergio Bellucci, autore del libro “AI - un viaggio nel cuore della tecnologia del futuro”, dove cercheremo di dare risposte ai temi sollevati in precedenza, spiegando con termini accessibili il funzionamento dell’IA, il suo strabiliante potenziale come i problemi insiti in questa tecnologia e, soprattutto, ipotizzando l’utilità di questo strumento come mezzo per prendere coscienza di noi stessi, proprio come noi lo siamo per l’universo.

Macrocosmo, microcosmo.