Le barriere coralline, meravigliose e gigantesche strutture subacquee, autentiche cattedrali naturali, frutto della vita stessa di milioni di microorganismi in un arco sterminato di milioni di anni sono al tempo stesso il punto più alto della vita del mare e il punto più critico di essa, sentinelle spesso disarmate contro i mutamenti climatici e l’impatto scriteriato delle attività umane.
I nemici di queste spettacolari costruzioni naturali sono certamente le reti da pesca, le eliche dei motori e le emissioni inquinanti di ogni genere, ma l’agente più insidioso è l’acidificazione delle acque marine dovuto al riscaldamento globale e alla massa di inquinanti sversati ogni giorno e che rischiano di condannare questi autentici miracoli naturali.
L’effetto della sola vista di queste sculture subacquee, i colori inimitabili che queste formazioni assumono nella loro crescita e nel ciclo della loro esistenza e il risultato finale del loro esistere sono qualcosa di difficile descrizione ma che lasciano senza parole e carichi di ammirazione coloro che vi si trovano dinanzi senza altro scopo che ammirarne la magnificenza.
Diverso il discorso se si parla di razzia o di insensati prelievi “turistici” frutto di ignoranza e di arroganza come se si trattasse di qualcosa di eterno ed immodificabile.
Per questo in molte parti del mondo dove le barriere sono a rischio conclamato ed in generale si prendono sempre più decisioni di protezione e di conservazione di questo patrimonio unico ed insostituibile.
Le costruzioni coralline sono da decenni e forse più al centro degli studi sul mare e sui suoi delicati equilibri in una sfida titanica contro i nemici della loro stessa esistenza. Da un lato la crescita termica delle acque marine porta con sé una sempre più accentata decolorazione e dall’altro l’inquinamento indiscriminato può costituire la minaccia letale per la stessa vita così come si è evoluta nel corso del tempo, rallentando e compromettendo la crescita, la formazione e il rinnovamento. Senza dimenticare l’azione distruttrice delle reti da pesca sempre più ampie e profonde.
Lo studio di quanto sta accadendo nei nostri mari oltre al monitoraggio costante dell’evoluzione in atto consente anche di capire meglio come queste strutture reagiscano alle molteplici minacce che le sovrastano. Di questo particolare aspetto fa parte una ricerca in corso da diversi anni che ha permesso di comprendere meglio i meccanismi di calcificazione di questi preziosi organismi, e acquisire informazioni cruciali sulla risposta che sono in grado disattivare rispetto al riscaldamento globale e all'acidificazione degli oceani. I risultati di una di queste spedizioni, quella della Tara Ocean Foundation nell’Oceano Pacifico sono il frutto delle analisi che hanno riguardato campioni prelevati nel corso della campagna con l’obiettivo comprendere come i coralli rispondono al riscaldamento globale e all'acidificazione delle acque marine. La ricerca è stata promossa e condotta dagli scienziati degli Istituti di scienze polari (Cnr-Isp) e di scienze marine (Cnr-Ismar) del Consiglio nazionale delle ricerche, che hanno analizzato una serie di esemplari di questi preziosi organismi.
Lo studio nel suo complesso è stato svolto su esemplari di coralli coloniali Porite e Diploatrea raccolti tra il 2016 e il 2018 nel quadro più ampio della spedizione scientifica coordinata da colleghi francesi del Centre National de la richerche scientifique (Cnrs) e monegaschi del Centre Scientifique de Monaco. La missione si è svolta a bordo della goletta Tara, l'imbarcazione messa a disposizione dalla Tara Ocean Foundation per monitorare lo stato di salute degli oceani e contribuire alla loro salvaguardia con la finalità di esplorare i meccanismi di calcificazione attivati da tali organismi per adattarsi meglio alle crescenti pressioni ambientali e climatiche che stanno mettendo a rischio la loro sopravvivenza.
In un certo senso, pur nell’emergenza che continua e si aggrava, si è potuto constatare come gli organismi naturali provino a contrastare i fattori che li minacciano ergendo difese chimiche e fisiche. I risultati - oggetto di diversi articoli scientifici, l'ultimo dei quali è pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment - hanno mostrato le evidenti capacità di alcune specie di corallo di modificare la composizione chimica del fluido calcificante, cioè il processo che permette la formazione dello scheletro carbonatico, si legge nelle informazioni diffuse, così attivando una "risposta" cruciale per contrastare le minacce ambientali: "Utilizzando carote prelevate dai subacquei, abbiamo esaminato l'impronta geochimica celata nello scheletro in aragonite dei coralli coloniali Porites e Diploastrea", osserva Paolo Montagna (Cnr-Isp).
"Questi coralli sono caratterizzati da notevole longevità, e sono molto diffusi nelle scogliere coralline tropicali alla cui architettura contribuiscono in maniera sostanziale: i nostri studi dimostrano che sono capaci di regolare in modo sistematico il pH e il carbonio inorganico disciolto del fluido calcificante, favorendo così il processo di calcificazione, direttamente minacciato dalla progressiva acidificazione degli oceani. In particolare”, aggiunge il ricercatore, “abbiamo scoperto che Porites presenta una maggiore resistenza al riscaldamento globale e all'acidificazione degli oceani rispetto a Diploastrea".
La spedizione ha, in pratica, offerto l'opportunità di studiare le modalità di calcificazione di alcuni dei più importanti coralli costruttori degli ambienti tropicali in un momento in cui il futuro delle scogliere coralline tropicali è allarmante: molteplici studi prevedono, infatti, un loro drastico declino già entro i prossimi vent'anni e la completa scomparsa entro la fine del secolo, se non verranno messe in atto adeguate azioni a livello globale per mitigare l'impatto climatico. Una sorte tragica se si pensa all’immenso tempo nel quale la natura ha permesso e protetto queste strutture nel corso dei millenni e che nel corso di pochi decenni potrebbero essere un pallido ricordo.
La battaglia della natura per la sua esistenza e il suo equilibrio costituisce dunque insieme alla comprensione dei fenomeni un impegno per l’intera umanità. Dal canto suo Marco Taviani, del Cnr-Ismar di Bologna sottolinea come sia noto che “il Porites è uno dei coralli più resistenti alle avversità ambientali, come testimoniato anche dal fatto che è stato uno dei pochissimi coralli tropicali a sopravvivere alle fasi iniziali della crisi di salinità miocenica, nel Messiniano, prima di soccombere come il resto della fauna marina mediterranea. Tuttavia, la capacità di certe specie di adattarsi nel corso delle ere a condizioni difficili non deve indurre a eccessivo ottimismo". "Sebbene la loro adattabilità ai cambiamenti climatici in atto possa apparire come un'ultima difesa per la sopravvivenza delle barriere coralline che da decine di milioni di anni caratterizzano la fascia tropicale, la maggior parte delle specie andrà incontro ad un collasso, innescando effetti a catena disastrosi sulla biodiversità del pianeta. È importante e urgente, quindi, aggiunge, individuare strategie per mitigare al massimo gli effetti negativi della crescente pressione antropica, prima che sia troppo tardi".
Lo studio di questi anni viene presentato nelle sue conclusioni a poche settimane dall'arrivo in Italia della goletta Tara, che nel corso della primavera esplorerà varie località del Mar Mediterraneo nell'ambito della spedizione "TREC – Traversing European Coastlines", con l'obiettivo di studiarne la biodiversità e gli effetti dei contaminanti sugli organismi marini. Va rammentato che le ricerche condotte nell’area dell’Oceano Pacifico saranno cruciali per capire cosa potrebbe accadere sia in senso negativo che positivo in una realtà come quella del Mediterraneo, mare interno per così dire caratterizzato da una pressione antropica eccezionale che sta mettendo a dura prova ogni capacità di resilienza naturale ed anche ogni tentativo di invertire le tendenze maggiormente impattanti e dannose delle attività umane!