Nella vicenda osservata in L’ultimo imperatore d’Oriente, c'è molto de Il Signore degli Anelli, il famoso romanzo di J.R.R. Tolkien uscito nel 1954/55. Forse sarebbe meglio dire viceversa. Nel senso che certi fatti e figure del romanzo sono talmente caratterizzati da far pensare a un'ispirazione diretta. Così l'assedio al Fosso di Helm ricorda quello di Costantinopoli, i numeri dei Turchi quelli delle forze di Mordor, la stessa geografia della mappa della Terra di Mezzo tra Minas Morgul, Osgiliath, Minas Tirith ricorda la distribuzione tra Adrianopoli, Costantinopoli e l’area della penisola anatolica dove si trova l’attuale capitale turca Ankara, mentre il tramonto dell’era degli Elfi a quella degli Uomini echeggia il cambiamento radicale che storicamente il mondo degli uomini visse alla metà del XV secolo con l’Assedio di Bisanzio.
Entrando nel dettaglio scopriamo che Gandalf, tra i protagonisti del romanzo, e Basilio Bessarione, tra i protagonisti del Quattrocento europeo, sono eccezionalmente simili. Somiglianza fisica, atteggiamento misterioso che suggerisce autorità, conoscenza profonda di lingue, tradizioni, storie e culture antiche, indefessi divoratori di libri, ebbri di quell'atteggiamento idealistico disposto alle più grandi fatiche pur di salvare il mondo!
Come Gandalf si oppone al Nemico, così Bessarione davvero si oppose con tutte le sue forze al cambiamento: nonostante la sua sterminata cultura e l’eccellente capacità di leggere l'animo umano gli riconfermassero che ogni tentativo d'invertire la corrente era e sarebbe stato vano.
La cosa incredibile è che un uomo di tale grandezza non venga neppure nominato nei curricula di studi occidentali, confinato alle sole facoltà di studi orientali.
Battezzato Basilio (non Giovanni come si credeva in precedenza) a Trebisonda, in un periodo imprecisato tra il 1399 e il 1408, cambiò il nome in Bessarione nel 1423 quando indossò per la vita l'abito nero. Il nome viene dal venerabile Bessarione, asceta egiziano del IV-V secolo che cercava di imitare il Cristo ignorando il più possibile le esigenze del corpo. Curioso come l’atteggiamento interiore del futuro cardinale sia rimasto quello di un vero asceta, mentre nella vita concreta dell’incarnazione abbia fatto di tutto per recuperare autorità e conoscenza da mettere al servizio del mondo.
Essenziali gli anni formativi 1430-1436 presso l'Accademia neoplatonica di Mistrà.
Trattasi di un esperimento di vita cenobitica, quindi comunitaria, nato per volontà di Giorgio Gemisto Pletone. Maestro assoluto per Bessarione, nella lettera che invierà ai di lui figli per celebrarne la morte lo definisce direttamente "il nostro comune padre". Ovviamente basta leggere i nomi per capire dove si va a parare. Pletone è un soprannome scelto da Gemisto perché è quasi come dire Platone, il leggendario filosofo, anima stessa del pensiero greco. Proprio lui, attraverso i suoi scritti ed insegnamenti, fu preso a modello per l'accademia di Gemisto, che aveva sede a Mistrà, l'antica Sparta.
Purtroppo poche memorie sono rimaste di quell'impresa, ma pare che nessun aspetto del sapere umano fosse trascurato. Astronomia, astrologia, fisica, alchimia, matematica, geometria, accanto ovviamente a geografia, musica, filosofia, retorica, teologia. L'ideale era dunque indagare quanto più possibile di questo essere così strano e contraddittorio chiamato "umano", capace di contemplare i misteri più ineffabili del cosmo seduto sulla tazza del cesso. Senz'altro era evidente a Pletone e discepoli che la nostra vita accade sempre dall'interno verso l'esterno, mai il contrario. Per questo era ed è importante recuperare il più ampio spettro di colori possibile riferibili all'interiorità, perché sia più semplice osservare il comportamento umano, frenando l'istinto di etichettare e giudicare che crea divisione e conflitto.
Logico che l'obiettivo di Pletone, intuendo dalle poche opere rimaste, fosse quello di ispirare l’umanità a superare i conflitti religiosi, sempre stupidi, sterili, inutili e frustranti, pozzi divoratori di quel fugace tempo ch'è la sostanza d'ogni vita umana. Per far questo si riferiva ad una "prisca filosofia", alla sapienza degli antichi, ponendo la comune origine di Pitagora e Platone in Zarathustra, favorendo un uso pratico della filosofia platonica nella realtà, adattandola alle esigenze della vita contemporanea all'epoca di riferimento. È la nascita del Neoplatonismo per come lo conosciamo, che ha ispirato le generazioni di giovani in mezzo al ’400 ad un recupero eccezionale delle lettere e dello studio, individuato come unica via per l'evoluzione dell'interiorità umana.
Bessarione è il discepolo di Pletone che ha lasciato una delle tracce più consistenti nella storia, proprio grazie agli insegnamenti ricevuti.
Resosi conto che gli organismi più potenti del suo tempo erano le chiese, si trovò a scalarne le gerarchie. Vescovo di Nicea dal 1437 nominato dall’Imperatore di Costantinopoli Giovanni VIII Paleologo, diventa uno dei protagonisti del concilio ecumenico per la riunificazione delle Chiese d’Oriente e Occidente: prima a Ferrara nel 1438 e definitivamente nel 1439 a Santa Maria Novella in Firenze: sarà lui a pronunciare il decreto di unione delle due chiese in greco il 6 luglio 1439 in un'affollatissima Santa Maria Novella. Onde avere l'autorità per un simile compito fu nominato Arcivescovo di Nicea già nel 1437 e, nel dicembre 1439 dopo il concilio, papa Eugenio IV Condulmer lo nominò Cardinale cattolico, titolare dei Santi XII Apostoli in Roma, dove tutt'ora si può trovare la sua lapide. Il titolo di Cardinale gli fu recapitato a Costantinopoli, secondo un'ipotesi di Ginzburg dall'aretino Giovanni Bacci.
In quell'occasione Bessarione ebbe un'illuminazione: Costantinopoli era già spacciata, perché i suoi abitanti, ciechi di fronte alla loro già disperata condizione, erano tornati a trasformare l'unione in un conflitto ideologico. Avrebbero confidato nella loro versione di Dio, ignorando che anche Lui non sopporta/supporta gli stupidi!
Dal 1440 il Cardinale si trasferisce in Italia, fondamentalmente per fare tre cose nei seguenti trentadue anni fino alla morte nel 1472:
- salvare la cultura greca trasportandola fisicamente in Italia;
- formare una generazione di intellettuali in grado di comprendere ed apprezzare quella cultura;
- tentare disperatamente di trovare alleati per Bisanzio, nonostante speranze praticamente nulle.
Ecco che in Italia si diffondono due cose: cattedre di greco e Accademie neoplatoniche. Anche se il quadro è tuttora in ricostruzione, il nome di Bessarione esce fuori spesso: l’Accademia romana nasce praticamente intorno a lui, perché dove c'è Bessarione c'è Platone, l'Accademia di Rimini pare una diretta emanazione del suo maestro Gemisto che proprio a Rimini è sepolto, l'Accademia di Firenze, nata dalla conoscenza diretta tra Cosimo il Vecchio de' Medici e Pletone, viene affidata a Marsilio Ficino che sicuramente è in contatto con Bessarione.
Nella concretezza della vita quotidiana, Bessarione continuerà a studiare per tutta la vita. Dopo la conquista turca di Istanbul, aiuterà gli intellettuali greci rimasti senza una casa, prenderà una piccola proprietà a Ravenna come appoggio durante i viaggi tra Roma e Venezia, commissionerà una serie di codici miniati di straordinaria ricchezza oggi esposti nella biblioteca malatestiana di Cesena, diventerà tutore degli ultimi eredi di Bisanzio ossia i figli di Tommaso Paleologo, morto a Roma nel 1465, fratello del defunto imperatore Costantino XI.
Patriarca Latino di Costantinopoli dal 1463 su nomina di Pio II, al concistoro per l’elezione del nuovo papa dopo la morte di Niccolò V nel 1455 riceveva 8 voti, diventando senza chiederlo un'alternativa credibile ai ridicoli giochini di potere dei Colonna e degli Orsini, arbitri del soglio pontificio. Ufficialmente pare che finalmente venisse scartato perché ancora “troppo orientale”: infatti portava la tradizionale barba lunga dei ministri ortodossi, bandita dalla chiesa cattolica.
In realtà Bessarione era diversamente troppo: troppo pulito, troppo acculturato, troppo sapiente, troppo generoso, troppo disinteressato al potere, troppo consapevole della morte, troppo amante degli altri e della loro evoluzione.
In quest’ultimo senso si capisce l’azione più importante, che rende la sua memoria ancora viva e vegeta. Conservata in una lettera datata 1468, 31 maggio, scritta a Bagni di Viterbo, il cardinale dona la sua biblioteca al doge Cristoforo Moro, con specifica richiesta di renderla consultabile al mondo. Nasce così la Biblioteca Marciana in Piazza San Marco a Venezia.
Morirà il 18 novembre 1472, non prima di aver richiesto l’appoggio del re di Francia Luigi XI per la fantomatica Crociata antiturca, mai realizzata, e aver amministrato i sacramenti a Guidubaldo, figlio di Federigo Duca d’Urbino. Presso la straordinaria biblioteca di quest’ultimo, oggi smantellata e assorbita dalla Vaticana, l’ultima parte dei codici bessarionei rimase in custodia fino al 1474, quando definitivamente entrò in Marciana.