Verso la fine degli anni 90 e l’inizio degli anni 2000 andavano molto di moda i cosiddetti “J Horror” ovvero gli horror giapponesi. L’apripista fu Ring del 1998, ma ve ne furono molti altri. In realtà la ghost story è un genere molto antico nel Paese dei samurai: in giapponese si chiama Kwaidan ed è stata popolarizzata in Occidente dall’opera di Lafcadio Hearn (1850-1904).
Hearn è stato un moderno Odisseo, in tutti i sensi, se si pensa che nacque a Leucade, l’isola vicina a Itaca, da padre irlandese e madre greca. A quarant’anni approdò in Giappone in qualità di giornalista e non tornò più indietro, diventando di fatto “figlio adottivo” di quella terra così lontana e particolare.
Erano gli anni del giapponismo, della riscoperta di quel Paese da parte dell’Occidente, degli impressionisti affascinati dalle stampe di Hokusai e Hiroshige e della Madama Butterfly. Ma Hearn rimase affascinato soprattutto dalla dimensione soprannaturale della cultura giapponese, dai suoi fantasmi, dai tengu, dagli yurei e dalla kitsune, la pericolosissima donna-volpe.
A Heran dobbiamo la riduzione più nota agli occidentali del kwaidan più famoso: la Lanterna delle Peonie o, in giapponese, Botandoro, che nella sua raccolta Ghastly Japan intitolerà Un karma passionale. Il racconto narra dell’amore mortale tra un samurai, Hagiwara Shinzaburo e il fantasma della sua amata O-Tsuyu. La vicenda si conclude con la morte atroce del samurai che non riesce a proteggersi dall’amore dello spettro, che, a tutti i costi, vuole consumare l’amplesso, e convince un servo a levare dalla porta i sutra buddisti che fungevano da protezione (un po’ come nella letteratura occidentale il crocifisso tiene lontano il conte Dracula).
Questo kwaidan è particolarmente significativo. Il fantasma ricorda le sirene dell’Odissea, il cui amore è mortale, e non pochi mitografi ritengono che le sirene siano in effetti spiriti della morte. E in Grecia come in Giappone, la morte pare essere femminile. Così come altri spiriti come la già citata donna-volpe e la Yuki Onna, la donna delle nevi, che uccide. Ma nel caso degli spiriti dei morti bisogna tener presente, come ha giustamente fatto Hearn nella scelta del titolo: Un karma passionale. Il karma è quello del samurai, non tanto quello del fantasma. Il samurai non aveva mantenuto la promessa fatta alla ragazza, quando questa era in vita. E quindi il samurai deve, in qualche maniera, scontare la sua colpa.
In questa maniera la ghost story orientale si distingue da quella occidentale. Il fantasma dei racconti occidentali non ha quasi mai motivi per fare quello che fa: semplicemente si manifesta e terrorizza chi si avvicina. Lo spettro della tradizione giapponese, lo yurei, è solitamente un fantasma che ha ancora qualche conto in sospeso col mondo. Mentre il fantasma occidentale spesso è semplicemtente fonte di spavento, quello nipponico è un essere pieno di rancore che non riesce a trovare la maniera di reincarnarsi sinché non ha estinto il debito.
Certo, non tutti i fantasmi sono spaventosi: in un altro racconto raccolto da Hearn si parla della ragazza del paravento: un uomo si innamora di una bellissima ragazza ritratta su un paravento. La donna è morta ma un prete buddista gli assicura che può richiamarla in vita promettendole di amarla per “sette esistenze” La ragazza esce dal paravento, stupita dall’amore tributatole da quel giovane e si reincarna per poterlo amare. In questo racconto l’amore provato per una donna morta non è pericoloso.
Anche in questo caso è una questione karmica: il ragazzo, a differenza del samurai, si comporta in maniera positiva verso la donna defunta e quindi il karma da negativo diventa positivo. Sta di fatto che il mondo del Sol Levante prende molto seriamente le storie di fantasmi, a differenza dello scettico Occidente. E ancora oggi, nell’ultramoderna e iper-tecnologica Tokyo, i giornali riportano in maniera seria storie di case infestate e simili.