Le origini della Tenuta di Villa Fassia si perdono tra i contratti di affitto di appezzamenti di terre già nel lontano Medioevo, in un territorio di antico popolamento. Il Toponimo Fassia, secondo gli studi del Prof. Ancillotti, probabilmente deriva da fasiu o farsio, termine che nell’antica lingua umbra sembra designasse il farro: il toponimo potrebbe, dunque indicare che la zona fosse destinata all’epoca alla coltivazione di questo cereale.

I primi documenti che attestano l’esistenza di questa area risalgono infatti al X secolo e in modo preciso ed esplicito Il toponimo de Fasio, compare per la prima volta in un atto notarile datato 1226 Un po’ più di chiarezza tra la documentazione la troviamo nel XV secolo, quando le terre in vocabolo Fassia di proprietà ecclesiastica passarono ai Conti Beni di Gubbio, che rimangono di loro proprietà per ben quattro secoli, senza interruzione. Oggi la tenuta costituisce un eccellente esempio di quel ampio processo di evoluzione e modernizzazione delle strutture fondiarie dopo i secoli della Mezzadria.

La villa padronale è annoverata nel piano urbanistico territoriale tra le strutture di particolare interesse storico-paesaggistico e rappresenta uno dei pochi esempi di grande residenza di campagna che ancora oggi svolge la sua funzione di centro direttivo dell’azienda agraria; mentre il giardino “all’italiana” prospiciente la Villa, è stato progettato dal Porcinai, il più grande architetto paesaggista italiano del Novecento. È molto difficile sapere con certezza quando la villa è stata costruita, a causa della mancanza dei documenti specifici, inoltre, da una notizia certa sappiamo che alcuni sono andati perduti. Ma il legame del territorio con la storia è fatto di tanti piccoli tasselli da ricostruire e mettere insieme attraverso una ricerca che diventa sempre affascinante e piena di nuove scoperte.

Questo di Fassia è un territorio abbastanza vasto, nel quale sacro e quotidiano si mescolano alle vicende politiche e amministrative del comune di Gubbio.

Il toponimo de Fasio, compare per la prima volta in un atto notarile, datato 15 luglio 1226, riguardo l’uso delle acque correnti del fiume Saonda: il notaio parla di un molino situato “in Sabunda, in pontibus Fasie”. Giovanni, dà a Alfredo priore della Cattedrale a modo di permuta, l’acqua che esce dal suo molino posto nella Saonda dai ponti di Fassia in modo che il priore possa condurla al molino della canonica, Giovanni riceve in cambio dal priore in affitto un terreno posto vicino ai ponti di Fassia.

Un molino per altro è visibile nelle mappe catastali del Bartoli del 1760, e non è molto distante dal podere Fassi. Nella zona fino a circa trent’anni fa esistevano due molini, uno posto nel ponte che attraversa la Saonda, l’altro poco più a nord, posto in un affluente di cui però non esiste più traccia. Con molta probabilità, l’area indicata con il vocabolo Fassia era molto più grande di quella odierna: a nord il limite era segnato dal fiume Saonda, ad est e a sud, probabilmente dal torrente Aquina; oggi il toponimo indica precisamente il luogo dove è situata la villa.

Le terre in vocabolo Fassia nel basso medioevo appartenevano all’Abbazia di san Bartolo di Petrorio di Gubbio, sotto la cui amministrazione ricade anche l’ospedale di san Paterniano di Fassia, che sembra fosse situato dove oggi sorge la villa.

Entro questo territorio, vi era un altro ospedale, quello di S. Maria Maddalena di Fassia, un lebbrosario, ubicato nel fianco sinistro della chiesetta, appartenente al monastero dei SS. Mariano e Giacomo. Le prime notizie conosciute risalgono al 9 ottobre 1318 in cui si parla di un hospitalis de Fasio, mentre l’ultima risale al 1419 dove non si ha più Fasio, ma Fassie. Gli ospedali nell’epoca medievale non avevano tanto la funzione di curare i malati, ma piuttosto rispondevano alla massima evangelica: aiuta il prossimo tuo. Erano degli ospizi che offrivano soprattutto ricoveri e vitto ai forestieri ma anche ai poveri, i derelitti del luogo, ai vecchi ed anche ai bambini abbandonati; queste comunità vivevano di lasciti ed elemosine, di utili provenienti da appezzamenti di terre. Gli Hospitales erano soggetti a confraternite, canoniche, monasteri, arti e corporazioni e la loro autonomia era fortemente tutelata, spesso ad antichi privilegi.

Riferimenti al vocabolo Fassia e ai due ospedali si rinvengono in vari documenti conservati nell’Archivio Vescovile di Gubbio. Nel 1315 il Vescovo Francesco, della città di Gubbio, cede a Piero di Sabatino della Villa di San Vittorino un appezzamento di terreno “in plano eugubii” in vocabolo “de Fasio” in cambio di un altro “in colle de Fasio”.

La documentazione in archivio prosegue e racconta la vita quotidiana: una conferma di affitto di terreni confinanti con i beni dell’Ospedale di San Paterniano di Fassia. Nel 1323, 16 maggio, l’Abbate riferma a Muzzio del signor Conte Gabrielli un pezzo di terra nella villa di S. Giustino, vocabolo Fassia, confinante con i beni dell’ospedale di S.M. Maddalena di Fassia e i beni dell’ospedale di S. Paterniano di Casalino, con un laudario di 40 soldi ravennati. Importante ed interessante notare il termine “Casalino” poiché indicava ancora qualche anno fa nelle nostre campagne una costruzione in una radura circondata dalla boscaglia. In un’altra pergamena datata 3 novembre 1328 troviamo la locazione di una vigna da parte del rettore dell’ospedale di S.M. Maddalena de Fasio.

In un atto notarile, datato 11 gennaio 1357 si trova una quietanza e si fa specifico riferimento alle terre di Fassia di proprietà del Vescovado; in questo documento vi si può vedere una forma contrattuale, già più evoluta delle precedenti forme di affitto, che poi nelle successive evoluzioni portò al formarsi e allo stabilizzarsi della mezzadria. Un successivo documento riguarda la riconferma in enfiteusi di due appezzamenti di terra data dal sindaco in vocabolo Fassia. Qui, come in altri documenti, il confine nord delle terre di Fassia è segnato dal fiume Saonda.

Già nel 1384 il libero comune di Gubbio, oppresso dalle carestie e dalle discordie interne, si mise nelle mani dei Duchi di Montefeltro, i quali portarono un nuovo equilibrio alla vita della cittadina, richiamando innanzitutto dall’esilio alcune importanti famiglie Ghibelline. Tra queste vi era la famiglia Beni, che nel XV secolo prese in enfiteusi le terre di Fassia, appartenenti al Vescovado. I Duchi di Montefeltro mantennero in vita l’antico statuto comunale del 1338 ma apportarono anche delle importanti novità per il territorio, tra le quali inserirono anche la regolamentazione della caccia e la formazione di una particolare riserva personale del Duca, costituita dalle selve di Fassia, all’interno della quale era bandita la caccia. Tra le colline, non molto lontano, esiste ancora oggi la sua antica dimora di campagna.

Nel secolo XVI il vescovo era ancora proprietario di un podere nel vocabolo S. Lorenzo di Cantalupo di Fassia: il cardinale Fregoso, vescovo di Gubbio, il 15 aprile 1530 rinnovò la concessione in enfiteusi fino alla terza generazione al conte Beni che ne restarono proprietari per ben quattro secoli. Dopo la morte del conte Ubaldo (che appunto rappresentava la terza generazione), avvenuta il 7 novembre 1595, il podere torna di proprietà del Vescovo; il 14 dicembre dello stesso anno, l’enfiteusi viene ancora rinnovata al conte Beni. La famiglia Beni in questo periodo risulta quindi proprietaria delle terre in vocabolo Fassia. All’epoca era una delle famiglie più potenti, e quindi ricche, della città di Gubbio: addirittura tra il 1574 e il 1631 alcuni suoi membri ricoprivano la carica di gonfaloniere più di venti volte, un riconoscimento prestigioso.

Ancora nel 1842, la famiglia Beni risulta essere la legittima proprietaria e cerca, tramite vie legali, di risolvere un contezioso sorto con il vescovado che rivendicava il pagamento omesso dell’affitto delle terre.

(…) Monsignor Francesco Billi in allora Vescovo di Gubbio, dopo ottenute la facoltà necessarie dalla Santa memoria di Martino V accordassi in enfiteusi o senza generazione mascolina al Conte Luca Beni di questa città, un tenimento di terra soddiva, selvata, prativa, in poca parte lavorativa in vocabolo Fassia, situata in questo territorio, nella quale esisteva un Casalino, che l’enfiteuta si obbligò “ in domum erigere “ come pure si obbligò di piantare una vigna, per l’estensione almeno di una mina “ de bonu tribu palmitum (…) Narrano parimenti, che nell’anno 1530 , e così novantaquattro anni, dopo tale concessione deve essere seguita la prima rinnova fatta dal Cardinale Fregoso allora Vescovo di Gubbio.

Sotto il 14 dicembre 1595 a rogito di Bernardino Candi Cancelliere Vescovile seguì un'altra riferma a terza generazione fatta dal Cardinale Savelli Vescovo di Gubbio, al conte Muzio Beni. si parlava di un podere in vocabolo Fassia “cum Palvetio et domibus in eo exsistentibus. Il 6 luglio 1738 a rogito del notaro Cancelliere Vescovile Carlo Leandro Bonfatti si vede altra riferma a terza generazione, fatta da Monsignor Cavalli, al conte Giulio. Sussiste ancora la terza generazione di detta nobile famiglia contemplata in quest’ultima rinnova, alla circostanza però che gli attuali enfiteuti erano stati per vari anni in ritardo al pagamento del canone e l’ultimo vescovo di Gubbio, Monsignor Massi, di onorevole memoria, minacciò la caducità se si continuasse nella mora di canoni, che reclamava amichevolmente.

In nessuno dei documenti fino ad ora analizzato si è potuto trovare un riferimento specifico alla costruzione della villa; qui viene citata l’esistenza sulle terre di un Casalino, e precisa che i proprietari hanno l’obbligo di costruire una casa: Domum erigere. L’importanza del documento sta anche nel presentare un caso di smembramento della proprietà ecclesiastica: dalla concessione in enfiteusi, le terre passarono con facilità nelle mani di grandi proprietari privati.

La forma di conduzione delle grandi proprietà terriere in età moderna è stata la mezzadria. Le prime notizie sulla Villa a Fassia derivano da una visita pastorale effettuata nel 1736 dal vescovo Giacomo dei Conti Beni (su licenza speciale del Vescovo di Gubbio, Sosteneo Maria Cavali). In essa viene indicato un Oratorio beni, edificato da poco e dedicato alla Madonna, costruito vicino ai propri beni, quindi probabilmente vicino alla residenza di campagna dei conti. Al 1793 risale una lettera del vescovo di Carpentras, al vescovo di Gubbio per chiedere la benedizione di “una piccola chiesina sotto il titolo del Santo Presepe” fatta costruire “nei propri possedimenti situati nella villa di S. Giustino, territorio di questa città, nel sito denominato Fassia”:

Illustrissimo e reverendissimo signore, il conte Giuseppe Beni patrizio eugubino e dalla città di Carpentrasso in Francia odierno vescovo, ossequiente le rappresenta avere a proprie spese ultimata la fabbrica di una piccola chiesina sotto il titolo del Santissimo Presepe, nei propri beni situati nella villa di S. Giustino, territorio di questa città, nel sito denominato Fassia.

Il vescovo, dato il permesso di benedire la cappella, conferisce la facoltà allo stesso vescovo Giuseppe, “al fine che vi si possa celebrare il sacrificio della messa. Dalla cancelleria vescovile oggi 10 luglio 1793”. La chiesina fu benedetta successivamente il 16 luglio 1795, subito dopo vi celebrò la messa il reverendo signore Don Giovanni Loreti. La chiesina viene in parte anche descritta all'interno: l’altare è unico e vi è un dipinto su tavola che rappresenta il Presepe di Nostro Signore Gesù Cristo, dal quale la cappella prende il nome.

O. Lucarelli nella sua descrizione di Gubbio antica parlando del Palazzo Beni situato nel quartiere di S. Croce della città di Gubbio, fa un elenco dei dipinti su tela posseduti dalla famiglia, nelle quali vengono indicati più presepi dipinti da autori diversi: Presepe del Bassano, Presepe di Luca Lonchi, Presepe di Gherardo delle Notti. Notizie successive sono documentabili da alcune visite pastorali effettuate ancora dal Vescovo Sannibale Innocenzo riguardanti la Cappella di villa Fassia.

Nella visita del giugno del 1856, riferisce in particolare che la cappella del Conte Giuseppe Beni nel suo podere in vocabolo Fassia accanto al suo palazzo di campagna è stata costruita elegantissima; nella visita pastorale del 1863 si mette in evidenzia lo stato di degradazione della cappella: “si rinnovi la sotto tovaglia dell’altare, si restauri la cartagloria grande, il crocifisso, il gradino dell’altare davanti la pradella, si rimettino i vetri mancanti alla finestra e si restauri il pavimento della sacrestia, tutto da fare entro tre mesi”. Da quest’ultimo documento in particolare si trae la notizia che la cappella era passata di proprietà ad Antonio Ciuci, che aveva comperato tutti i beni spettanti al Conte Girolamo Beni.

Invece, le prime indicazioni precise che riguardano la proprietà terriera e la villa situata nel vocabolo Fassia si ricavano dai Catasti storici, conservati nel comune: Ghelliano e Gregoriano.

Il podere Falsia, fa parte della villa di S. Giustino, nella particella 27 vengono indicati il Palazzo con impianto simile a quello attuale, un corpo centrale a pianta quadrata che si affaccia sulla pianura sottostante, ed un secondo edificio posto nella parte antistante dove anche oggi è ospitata una Cappella privata, e poco distanti due corpi detti “case di proprio uso”:

le terre in vocabolo Fassia confina a levante con la strada maestra e con le monache di San benedetto, a tramontana con il sig. Bentivogli, eredi Rappachi ed il fosso, a ponente con le proprietà dell’ospedale di Gubbio PP. Di S. Maria e Carfonani di Gubbio, il fiume Aquina, le monache di San benedetto e beni propri del podere di Ponte della Pietra e resta mediato dalla strada. proprietà del conte luca Beni nella particella 27. Nel Catasto Gregoriano, risalente al 1857, le proprietà terriere sono intestate a Beni Girolamo ed Ubaldo (fu Lorenzo di Gubbio).

Nel 1866 il complesso residenziale e parte delle proprietà terriere, vengono venduti a Damiani Gioacchino; con la sua morte, nel 1869, la proprietà passa a Pizzichelli Assunta fu Ubaldo. Tutte le particelle in vocabolo Fassia sono sempre vendute come corpo unico comprendenti la casa di villeggiatura e l’oratorio privato. Nel 1900, marzo 28, il complesso viene comperato da Ricci Antonio-Giacomo di Genova. Nel 1910 la villa viene venduta all’Istituto dei Fondi Rustici di Roma, dal quale nel 1919 passa a Ruspoli Virginia di Cerveteri e Donna Errichetta Castiglia in Spalazzi Antonio.

Nel 1941, la villa e il podere di Fassia vengono acquistati dalla Società Anonima Bonifiche Incremento Agricolo con sede a Firenze; fino che nel 1942 diviene proprietario Messina Ignazio, il quale acquista la proprietà per il legname pregiato di Rovere e Roverelle, da impiegare per la costruzione di navi nel proprio cantiere navale di Genova, vengono così depauperati i boschi di Fassia senza dare nessun impulso all’agricoltura, lasciandola in una situazione di abbandono e arretratezza.

Nel 1943, il 16 dicembre, la tenuta viene acquistata da Senatore Borletti e sua moglie Nella Cosulich, importanti imprenditori milanesi, con attività in diversi rami: dalla cantieristica navale, alla componentistica di precisione. Nella Villa, residenza di campagna passarono numerose personalità dell’epoca, ospiti e partecipi ad eventi, feste, e battute di caccia, da personalità di spicco del mondo politico, ad artisti, musicisti, attori e poeti. Troviamo Enrico Mattei; Arturo Toscanini; Emanuela Castelbarco; De Sabata; Arturo Frondizi, allora presidente dell’Argentina; Don Carlo Gnocchi che nell’occasione ha celebrato il matrimonio tra Elena Mancini Griffoli (Figlia di Nella Cosulich) e Carlo Felice Musini, dai quali discendono gli attuali proprietari, senza interruzione di continuità.

È in questi anni che viene modificato il giardino su di un disegno di Pietro Porcinai, uno dei più autorevoli architetti paesaggisti italiani del Novecento: il giardino ricorda lo stile dei parchi ottocenteschi; ha un’estensione di circa un ettaro ed è caratterizzato dal non avere fiori, ma piante ad alto fusto e sempreverdi. Vi si trovano essenze esotiche ed essenze autoctone; vi crescono circa otto specie di pini. La posizione dei cespugli di bosso e la realizzazione di scalette e terrazzini, creano una prospettiva che si apre verso la facciata principale della villa.

Il complesso aziendale di Villa Fassia, oggi di ben 480 ettari, era formato da 24 colonie, o poderi, condotte a mezzadria tipo toscano per la maggior parte riunite in un solo corpo nel centro del quale sorge la villa padronale con annessa fattoria, cantina moderna, varie dipendenze ed annessi. Solo dopo la guerra, vennero eseguite numerose opere di sistemazione fondiaria per aumentare le rese produttive della tenuta; e fu migliorata anche la situazione sociale delle famiglie coloniche.

La famiglia Borletti nel 1958 fece costruire un asilo d’infanzia per agevolare le precarie condizioni economiche e sociali della popolazione locale. L’edificio fu progettato dall’architetto Marco Zanuso di Milano, realizzato con i più moderni sistemi di costruzione del periodo; per le sue caratteristiche, venne iscritto all’albo dei monumenti nazionali. Con la morte di Senatore Borletti, avvenuta nel 1973, per sua volontà la scuola fu regalata al comune di Gubbio: la scuola Materna Comunale dr. Senatore Borletti, che è ancora oggi operante.

In quasi tutti i poderi, vennero impiantati di alberi da frutto, vigneti e oliveti; subito dopo l’acquisto della tenuta viene iniziata la coltivazione del tabacco Padano e di Bright su circa 20 ettari di terreni e vennero costruiti alcuni essiccatoi. Negli anni Cinquanta furono costruiti dei bacini di raccolta idrica, alimentati dalle numerose sorgenti che si trovano a monte, per poter fronteggiare le carenze idriche durante la stagione estiva, elemento nuovo del paesaggio: la tenuta di Fassia fu in anticipo sui tempi in un territorio ancora oggi a forte vocazione agricola. Le acque del primo bacino alimenteranno per caduta naturale gli altri due laghi che si trovano a quote più basse; le acque di scolo fluiscono nel torrente Saonda direttamente dal laghetto denominato “di Fassia”, che con il tempo sono anche diventati un’attrazione.

Il settore vitivinicolo venne interessato da una profonda conversione volta a migliorare le colture e la qualità del prodotto, in linea con il mercato nazionale che iniziava ad orientarsi verso prodotti di qualità; viene addirittura chiamato un tecnico specialista e rinomato, dalla Francia. Sul finire degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta, vengono impiantati dei vigneti specializzati, Negli anni ’60 venne modernizzata la cantina con vasche in cemento, botti in legno pregiato ed una pigiadiraspatrice completa di motorizzazione elettrica. Nel 1979 viene ottenuta l’IGT, per i vini della Tenuta: il Fassia rosso, con uve Sangiovese, Ciliegiolo, e Gamay; il Fassia.

La vasta azienda agraria di Fassia è costituita ancora oggi da un unico accorpamento di terreni, in conduzione biologica. È riuscita non solo a sopravvivere agli eventi che hanno trasformato il settore agricolo, ma addirittura continua ad essere un gioiello soprattutto di storia.

Bibliografia

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