Nei precedenti articoli sull'intelligenza artificiale ho accennato al mio interesse per il modo in cui culture diverse possono coesistere sullo stesso territorio, interagendo, collaborando tra loro e scambiandosi parte del loro patrimonio, senza dimenticare le possibili tensioni latenti che, nonostante centinaia e persino migliaia di anni di convivenza, continuano a persistere.

Questo sarà il tema dei miei prossimi articoli e voglio iniziare con la bellissima esperienza che ho avuto di recente a George Town, sull’isola di Penang in Malesia, una città dove lo scambio culturale è la quotidianità da diversi secoli; un’isola che ospita malesi di origine cinese, indiana, thailandese e indonesiana che convivono in uno spazio relativamente piccolo, ma in rapida espansione tanto che a volte con "Penang" si fa riferimento alla città di George Town, dato che sta ricoprendo l'intera isola.

Affronterò questo argomento con l’aiuto di alcuni residenti che, per motivi che capirete, hanno chiesto di rimanere nell’anonimato e di due artisti che condividevano uno spazio per far riflettere i visitatori.

La prima si chiama Sumay Cheah, un'artista malese, laureata presso il Sekolah Menengah Kebangsaan Convent Green Lane - un faro di eccellenza educativa in Malesia - laureata presso l’Università di Taylor- una delle università private più prestigiose al mondo – e l’Università di Tecnologia di Sydney. È co-fondatrice e direttrice creativa di “OtherHalf Studio” in Malesia e Singapore - che si concentra sulla creazione di esperienze attraverso la narrazione visiva-creativa e l'arte immersiva - e ideatrice del progetto "OH! Tenang", che invita i visitatori in un mondo sereno in mezzo al trambusto della città, fondendo elementi naturali e culturali attraverso esperienze visive, suoni e profumi. Oltre all'arte, “OH! Tenang” ospita programmi e workshop comunitari, intrecciando cultura e quiete con lo scopo di promuovere l'apprezzamento per la natura e il patrimonio culturale.

Il secondo artista è Joël Lim Du Bois, semiologo e consulente di marchi di origine belga-malese, con lauree in lingua, letteratura e cultura europea a Oxford e Cambridge. I suoi progetti includono “Ban Ban Kia”, un'iniziativa in cui racconta le storie di Penang attraverso le insegne artigianali che stanno ormai scomparendo. Mentre ero a Penang, Joël ha co-ospitato un'installazione, una conferenza e una passeggiata per le strade di George Town con OtherHalf Studio, presentando il suo progetto sulla valorizzazione delle insegne storiche di questa città.

Joël, stai richiamando l'attenzione sulle vecchie insegne dei negozi a George Town. Perché questa scelta?

Joël: Per rispondere ti devo raccontare una parte della mia vita.

Mia madre è di Penang, mio padre è belga, di Bruxelles, io sono nato e cresciuto a Londra e non ho mai vissuto qui a George Town, ma ci tornavamo a trovare la famiglia quasi ogni anno dagli anni '80. Quindi, l'ho vista cambiare e crescere. Dopo aver vissuto in diversi posti nel mondo come Singapore, Francia, Germania e Brasile, ho deciso di tornare a "casa", a Penang. E il motivo principale è perché è il posto in cui mi sento più radicato e, una volta che mi sono sistemato a Penang, ho cercato di riscoprire queste mie radici.

Lavorando come consulente di comunicazione visiva per marchi commerciali sono sempre stato molto attratto dall'aspetto visivo delle cose, dall'architettura, dal design, dalla comunicazione visiva e verbale. Da qui nasce il mio interesse per le insegne di Penang; penso siano molto belle e, essendo fatte a mano, sono diverse le une dalle altre. Quando mi sono stabilito qui, ho notato che ce n'erano meno di prima, sostituite da quelle prodotte industrialmente e, con il passare degli anni e soprattutto dopo il COVID, ho visto che andavano scomparendo.

Così, sei anni fa, ho iniziato un progetto per mostrare, attraverso la fotografia, alcune di queste insegne che fanno parte dell’antico patrimonio di design di Penang; l’ho fatto sia per me stesso che per preservarlo e documentarlo. Poi l'anno scorso, con un mio amico tipografo, Tan Sueh Li, che è anche appassionato di insegne per negozi, abbiamo organizzato delle passeggiate lungo le strade di George Town per far conoscere queste realtà artigianali sia alla popolazione di Penang che ai turisti. A queste passeggiate hanno fatto seguito alcune conferenze e una mostra.

Venendo alla tua domanda, perché i cartelli dei negozi? In parte, è un legame emotivo e istintivo con essi. Amo il fatto che siano, in un certo senso, l'intersezione di diverse forme d’arte, creatività ed espressione, perché sono sia visive che verbali e trovo questa combinazione molto interessante perché sono progettate per piacere e attirare l'attenzione dei passanti. Molti non se ne rendono conto, ma sono realizzate artigianalmente da persone con una vasta gamma di competenze, dalla calligrafia alla scrittura; alcune sono vere e proprie opere d'arte. Se non vogliamo chiamarli artisti, sono sicuramente abili artigiani orientati verso il lato creativo, espressivo, ma anche pratico. Come si fa a rendere la cornice della giusta dimensione? Come la si trasporta da qui a lì? Come la si appende? Allo stesso tempo devono essere anche funzionali e commerciali: sono pensate per aziende e negozi, quindi per persone che hanno bisogno di trarne un profitto.

Cominciarono ad apparire per la prima volta alla fine del 1800, quando Penang era sostenuta dall'attività dei suoi porti e stava cominciando a prosperare, diventando uno dei principali centri commerciali del mondo. Quindi è indubbio che i cartelli incarnino anche un aspetto commerciale. Mi piace, unisce temi diversi, come la parte artistica e quella funzionale-commerciale, e questo mi attrae perché anch'io sono un po' così, non so se sono più portato per l'emisfero destro o per quello sinistro. Probabilmente né l'uno né l'altro, ma qualcosa che unisce tutte queste cose diverse in modo armonioso e completo.

In passato le insegne esprimevano qualcosa che andava oltre la comunicazione verbale?

J: Direi di sì. Penso che le insegne commerciali riflettano la cultura del momento in cui vengono create e che un modo interessante di guardarle sia quello di poter raccontare storie su Penang attraverso di esse.

Se le guardi più a fondo puoi scoprire storie molto più profonde e interessanti su Penang, sulla sua storia, sul fatto che fosse una colonia britannica, sulle persone che vivevano qui, le mescolanze, gli immigrati. Puoi anche vedere come la città si è evoluta nel tempo.

Per fare un esempio, all'interno della mostra ti ho fatto vedere le insegne più antiche che ho trovato e sono scritte in cinese. Poi sono arrivati gli inglesi e Beach Street è diventato il cuore commerciale, l'area amministrativa con le banche coloniali britanniche e lì le insegne sono tutte scritte in inglese con un carattere vittoriano. Sono sempre dipinte a mano, ma usando tecniche vittoriane come l'ombra portata, le lettere dorate su uno sfondo nero e cose del genere, uno stile che si vede ancora oggi nel Regno Unito.

Poi ci sono queste insegne cinesi completamente diverse, anche se non sono scritte in hokkien o cantonese o in nessun’altra lingua cinese, ognuna con le proprie tradizioni, completamente diverse l'una dall'altra; realizzare con materiali diversi, disposte verticalmente anziché in orizzontale, intagliate piuttosto che dipinte. Per me, le insegne dei negozi a Penang emergono anche attraverso il matrimonio di queste diverse tradizioni che portano a insegne cinesi dipinte a mano e che iniziano ad avere ombre portate. Si cominciano a vedere cartelli in entrambe le lingue, cinese e inglese, a volte in tamil o jawi (scrittura che deriva dall’arabo), a testimonianza, ancora una volta, dell'intersezione culturale.

Sono riuscito a collezionare insegne dal 1880 in poi, quindi ci sono più di cento anni di storie da raccontare e, come puoi vedere, sono tutte diverse, con stili diversi, colori diversi, tecniche diverse, materiali diversi. E questo perché riflettono sempre il tempo in cui sono state realizzate. Gli artigiani cercano sempre di usare le ultime novità, quindi i cartelli di George Town degli anni '30 sono Art Deco, uno stile che ha lasciato un segno profondo nell'architettura locale. Allo stesso modo, i cartelli degli anni '50 hanno uno stile calligrafico ispirato al corsivo espressivo che si può vedere sui cartelli dei ristoranti americani di quell'epoca.

Per quanto riguarda te, Sumay, sono molto interessato a conoscere la cultura locale, che trovo piuttosto difficile da definire.

Sumay: Penso che la parola migliore per descrivere la nostra cultura sia rojak. Il rojak è una prelibatezza locale, che di solito è composta da un mix di frutta condita con pasta di gamberi. Poiché è un mix ci piace dire che siamo molto simili a questo piatto. Poiché siamo tutti composti da razze, culture e credenze diverse, questa salsa ci tiene tutti insieme come un tutt'uno che rende la nostra cultura così deliziosamente ricca.

Proprio come Joel è un mix di belga e cinese, io sono un mix di thailandese e cinese.

(segue con il prossimo articolo)