Salvatore Gullotta Di Mauro, siciliano di Giardini-Naxos (ME), laureato in Giurisprudenza e in Economia, Avvocato cassazionista, prefetto e Grand'Ufficiale della Repubblica, dal 1966 risiede in Sardegna stringendo con l'isola e con la sua gente un intenso legame culturale ed affettivo. È stato prefetto di Sassari e di Cagliari. Attualmente a riposo, vive a Cagliari mantenendo un vivo interesse per l'isola, per la sua storia istituzionale, per il suo particolare diritto arcaico e, soprattutto, per la sua speciale preistoria.

Nel 2001 ha pubblicato il romanzo Monti di Pietra, e successivamente diversi libri di saggistica Terre e Genti di Sardegna nella letteratura geografico-politica dell'Ottocento, pubblicato nel 2005; Caratteri istituzionali della Sardegna arcaica, pubblicato nel 2014; Il mistero dei primi sardi, pubblicato nel 2017; Caro professore, le ho portato un uovo, scritto con Giuseppe Dettori e pubblicato nel 2019; L'isola degli dèi e di uomini fortunati, pubblicato nel 2021. Nel 2020 ha pubblicato il romanzo Sui monti di Barbagia.

In riviste specializzate ha pubblicato diversi studi sulle istituzioni giuridiche, politiche e dell'economia agro pastorale sarda tra cui: Le compagnie dei barracelli come forze d'ordine; Il sistema comunitario della vidazzone nell'economia agro pastorale della Sardegna antica; L'apparato di difesa delle comunità agro pastorali della Sardegna antica.

E noi lo abbiamo intervistato in merito ad una interessante teoria che ci svela nella sua ultima opera: L'isola degli dèi e di uomini fortunati.

Da un comune di circa novemila anime, Giardini-Naxos, della città metropolitana di Messina, in Sicilia, lei nel lontano 1966 è partito per un’altra isola, la Sardegna, cosa l’ha spinta?

Ero giovanissimo. A farmi partire alla volta della Sardegna fu, nel lontano 1966, lo Stato. Avevo vinto il concorso per la carriera nel corpo prefettizio e la mia destinazione quale vincitore di quel concorso fu una sede del centro dell'isola, che raggiunsi dopo una vera odissea tra treno, nave e trenino a scartamento ridotto nell'ultimo tratto. Quindi, giunsi in Sardegna per esigenze di lavoro e per una determinazione altrui ma, debbo dire, vi rimasi per mia chiara volontà maturata dopo qualche anno.

Ha incominciato a interessarsi, poi, di Storia del diritto arcaico e ad approfondire lo studio delle istituzioni politiche, economiche e amministrative sia della Sardegna arcaica sia di quella moderna, quale percorso di studi e di ricerca lo ha condotto in questa precisa direzione e per di più relativamente ad un’Isola che non è quella dove è nato, ma piuttosto dove è stato accolto e adottato?

Mi viene difficile confessare il mio ammaliamento per questa isola di cui, prima di giungervi, conoscevo soltanto l'esistenza e che mi apparve subito, al primo contatto, oltre che ricca delle fin troppo evidenti bellezze naturali allora ancora intatte, di caratteri esclusivi e diversi da quelli di ogni altra parte del mondo. Fui ammaliato da una strana e misteriosa aria di arcaicità che sembrava richiedere, come tuttora richiede, di essere indagata e svelata. La mia formazione culturale (sono laureato in Giurisprudenza e in Economia), nonché ragioni ed esigenze connesse al lavoro, ma soprattutto il mio istinto di cercatore di verità, mi spinsero subito alla ricerca dell’origine del complesso normativo ed istituzionale distintivo dell'isola, in particolare dell'organizzazione istituzionale, giuridica e sociale del villaggio che appariva la forma più importante dell'organizzazione territoriale e quella depositaria delle più risalenti tradizioni.

Da qui l'interessamento per la preistoria e per l'origine delle genti che hanno popolato l’isola da millenni.

Queste domande mi servono per sfatare il Mito che sia un NON sardo ad aver elaborato una teoria così favorevole al campanilismo di noi sardi, ossia che tutti gli uomini sarebbero discendenti da un primo Adam Kadmon creato nella nostra Isola, in estrema sintesi possiamo spiegare meglio questa teoria?

Gli scritti antichi ed il metodo indiziario, in particolare gli scritti dei Sumeri, mi hanno consentito di giungere a quella che lei chiama “teoria” e che, in realtà, sembra avere tutti i connotati di una verità rimasta dietro le quinte della storia per oblio o per deliberata volontà o anche per colpevole determinazione di mettere in un angolo del sapere quanto fattoci pervenire da uomini antichi, che si son presa la briga di scriverla la verità sulle pietre e sulle tavolette d'argilla con l'unico scopo lodevole di farla conoscere ai posteri. Senza questi uomini non sapremmo ancora veramente nulla delle nostre origini.

La loro è una vera premura di popolo avanzato nella conoscenza scientifica e di alta civiltà, quindi è quasi un dovere di comunicare ai posteri le loro conoscenze, in particolare la convivenza con quegli uomini in carne ed ossa da loro chiamati “dèi” per via delle loro straordinarie capacità tecnologiche e scientifiche, ma che essi conoscevano come uomini in carne ed ossa e per ciò da essi mai venerati come divinità ma piuttosto come antenati e/o benefattori.

Dalla lettura del suo lavoro emerge, che lei conosce l’opera di Zecharia Sitchin, cosa ritiene sia assolutamente sostenibile degli studi dello scrittore azero e cosa invece secondo la sua visione presenta inesattezze e necessita di ulteriori approfondimenti?

Zecharia Sitchin si rivela eccessivamente sicuro delle sue teorie che spinge talvolta oltre i limiti suggeriti dalla moderazione, come quando afferma, senza che vi sia riscontro negli scritti, l'origine degli dèi da un pianeta da lui chiamato Nibiru. Mentre trascura argomenti ben più importanti, come sono quelli che riguardano il luogo della creazione dell’uomo, le stesse vicende di uno in particolare degli dei (Enki) e le sue relazioni con gli uomini, nonché la loro presenza in Occidente, in un’isola in particolare.

Potrebbe spiegare meglio all’uomo della strada chi fossero gli dèi Enlil ed Enki e da dove provenissero?

La narrazione che i Sumeri hanno impresso sulle tavolette d'argilla ben 4.000-3.000 anni a.C. mette in evidenza che sulla Terra, in tempi lontani (300.000-150.000 anni fa), fosse presente una molteplicità di individui in carne ed ossa, uomini o simil-uomini dalle capacità scientifiche e tecnologiche eccezionali, tanto da chiamarli “dèi”. Entità, queste, da tenere distinte da quell’Entità soprannaturale, il Dio con la lettera maiuscola, con tutte le questioni riguardanti la creazione dell’Universo e il suo rapporto con le varie forme di vita esistenti, sulle quali, al momento, ben poco o nulla si può dire. Che si tratti di una verità precisa è dimostrato anche dal fatto che persino gli antichi compilatori dell'Antico Testamento, che dedicarono la Bibbia a un unico Dio, (Enlil), attribuendogli le opere buone ed apprezzate di Enki, ritennero necessario ammettere la presenza sulla Terra, in tempi antichissimi, di tali diverse entità.

Tale affermazione si trova, infatti, nella Genesi, nella parte dell'inizio del sesto capitolo, che ha fatto inorridire traduttori e teologi di ogni tempo. In questo brano si afferma che a quel tempo “I figli degli dèi videro le figlie dell'uomo e le trovarono belle” (cioè compatibili); “e presero per mogli quelle che piacquero loro più di tutte”.

I Sumeri sostenevano che questi signori, simil uomini, venivano dal cielo ed erano presenti sulla Terra da prima che ci fosse l’uomo. Anzi lo crearono facendo cose strabilianti ricordate da tutti i popoli. Ma non aggiungono altro al riguardo. Anche la Bibbia afferma la stessa cosa così come il cristianesimo. Inoltre, essi illustravano questo complesso di dèi come legati tra di loro da una sorta di stretta gerarchia, sotto il dominio di una dinastia, una sorta di famiglia divina strettamente legata, ma anche aspramente divisa. Una corte dominante composta da dodici “grandi Dèi” posti al vertice del gruppo.

A dominare sugli altri, figurano tre grandi dèi: Anu, Enlil, Enki. In tutta la narrazione un dato risulta evidente: l'organizzazione di questi dèi si rivela con la struttura vera e propria di un immenso impero che si estendeva nei cieli e comprendeva la Terra con leggi e regole tassative imposte a tutti gli dèi a prescindere dalla posizione gerarchica di ognuno di loro, soprattutto in materia di successioni e di rapporti interpersonali. Anu, che nella mitologia greca è il dio Crono, è il capo della dinastia, il grande padre degli dèi e il loro imperatore. Benché egli avesse la sua dimora nei cieli, quando era necessario veniva sulla Terra in specie di visite di Stato, accompagnato dalla sua sposa. Di queste visite di Stato sono ben descritti i rituali cerimoniali. E cioè la colazione mattutina, i pasti serali e il ritiro dopo il pasto; il cerimoniale della partenza e le formule di commiato, le strette di mano (“si afferrano le mani”) con gli altri dèi.

Al momento della partenza, i Grandi Dèi venivano condotti al luogo della partenza (“alla nave di Anu”) su portantine simili a un trono, portate a spalla da funzionari del tempio. L'altra importante divinità, la seconda più potente, era Enlil, il prototipo e il progenitore dei successivi dèi che sarebbero stati al vertice degli altri pantheon del mondo antico e figlio maggiore di Anu. Egli appare come il capo interessato alle vicende militari e al dominio dei territori. Enlil è il dio della Bibbia che a lui fa convergere le azioni, anche le più nobili e favorevoli al genere umano del fratello Enki, nel proposito di affermare il monoteismo.

I Sumeri adoravano Enlil mossi sia dalla gratitudine, sia dalla paura. Egli pretendeva assoluta ubbidienza ed era suo il “vento” che soffiava impetuoso cancellando le città che si erano rese colpevoli. Fu proprio lui che, al tempo del Diluvio, cercò di distruggere la stirpe umana. Il terzo dio della ristretta cerchia di dèi ha il nome di Enki. Era la divinità della sapienza, dei mestieri, della saggezza e della creazione dell'uomo, il corrispondente del dio Poseidone col quale i greci chiamavano il dio del mare e delle acque.

Le antiche genti di Sardegna riconoscono Forco, Phorcus, che altri non è che la corrispondente meglio nota divinità marina di Poseidone dei Greci, che, a sua volta, altri non è che Enki dei Sumeri, l'originario dio dell'Oceano e delle isole del Mar Tirreno, re di Corsica e di Sardegna, padre di tante divinità legate al mare. In Sardegna alcuni nuraghi e molte località sacre portano ancora il suo nome demonizzato in “Orco” (Sa Dom'e s'Orcu di Sarroch, Nuraghe s'Orcu, etc.).

Sumeri, Egizi, Greci presentano le stesse divinità con nomi differenti?

Sì. Le divinità sembrano sempre le stesse e sono sempre quelle sumere, passate con diversi nomi in Egitto, in Grecia, in India e in tutte le altre parti della Terra.

Nella sua teoria che vede il dio creatore coincidente con il dio scienziato Enki, ossia uno degli Elohim, ci sono contraddizioni rispetto alla Bibbia o si tratta solo di mezze verità?

La Bibbia, nella Genesi, riporta con qualche imprecisione e con minori dettagli le stesse verità dei Sumeri. La verità della Bibbia è una mezza verità, soprattutto quando riconduce tutto a Enlil per il proposito di affermare il monoteismo.

Il mondo cristiano è preparato ad accettare che l’uomo non si sia evoluto dalla scimmia ma sia stato ibridato con un’alta tecnologia di manipolazione del DNA a partire da un ominide?

Come ben si sa ormai, l'uomo moderno è evoluto a tal punto da essere pronto ad accettare la verità su tanti aspetti della sua storia, anche di quella più profonda nel tempo, anche se scomoda e in contraddizione con la sua formazione culturale e religiosa tradizionale. Se non lo fa, non lo fa per altri motivi, comprese una certa pigrizia intellettuale e la grande mole di pregiudizi di cui è intriso. D'altra parte, l'evoluzione dell'uomo dalla scimmia era una affermazione che non reggeva già in origine. Infatti, quando Darwin propose l’evoluzione come spiegazione della vita sulla Terra, il capitolo che si occupa delle origini dell’uomo si è scontrato con due obiezioni insormontabili.

La prima fu quella dei “credenti” che sostenevano la sacralità dell’affermazione biblica in base alla quale l’uomo è stato creato da Dio e non dall’evoluzione naturale. La seconda fu quella dei “puristi scientifici” che denunciavano la incapacità di spiegare come circa 300.000 anni fa, in un lento processo evolutivo che richiede naturalmente decine di milioni di anni, l’uomo sia passato dalla sera alla mattina dalla condizione di ominide che ha appena imparato a camminare a quella di uomo pensante (homo sapiens e successivamente sapiens sapiens), la condizione nostra. Il problema è noto sotto l’espressione del cosiddetto “anello mancante”.

Inoltre, anche oggi, se dovessimo porre a un esperto l’interrogativo: “quando è apparso il primo uomo sulla Terra e il primo uomo in Europa in particolare?” non avremmo una sola risposta e tutte, comunque, sarebbero piuttosto vaghe e incerte, anche quella che pone, con più prontezza, la nascita dell’uomo in Africa. I Sumeri, invece, sorprendentemente, la risposta la sapevano e ben 4000-3000 anni fa l’hanno trasmessa ai posteri con grande precisione e certezza.

Data per scontata la prima parte del Mito di creazione che sarebbe avvenuta ad opera del dio Enki, quali elementi sono stati necessari per arrivare ad individuare il luogo della creazione come un’Isola?

Ad indicare il luogo della creazione sono i Sumeri con una affermazione precisa che non può giustificare dubbi di alcun genere. Si tratta infatti di una precisa informazione. Essi affermano che i loro dèi, come dire quegli uomini che erano presenti sulla Terra quando ancora non c'era l'uomo (300.000- 150.000 anni a.C.), provenivano da un'isola. Un'isola che sarebbe stata il luogo della loro prima dimora.

Di un’isola misteriosa posta nel Mare Occidentale o Mare Superiore, che per gli antichi era il Mare Mediterraneo, prima degli uomini di cultura che hanno fatto grande la Grecia, nelle bettole dei porti del Mediterraneo parlavano i marinai micenei e greci. Ne parlavano precisando che si trattava di un’isola sconosciuta posta al tramonto del sole in un mare sconosciuto. Ne parlarono poi tutti gli acculturati che hanno fatto grande la Grecia, dandole nomi diversi (Atlantide, Scheria, ecc.). Ne parlarono pure gli Egizi con i geroglifici incisi sui muri dei loro templi. Tutti si riferivano, parlandone, alla stessa isola, l’isola degli dèi.

Quale aiuto ci fornisce Platone in particolare nell’individuazione di quest’Isola?

Platone ha fornito le coordinate della posizione dell’isola, alla quale egli ha dato anche il nome (Atlantide), riportando quanto avevano riferito i sacerdoti egizi. Secondo questa informazione, l’isola risultava collocata al di là delle colonne d’Eracle, che secondo ipotesi recenti, nel tempo arcaico di cui si tratta, non sarebbero state ancora nello stretto di Gibilterra, bensì tra la Sicilia e la Tunisia o nello stretto di Messina.

La mitica Atlantide e la mitica Tartesso, si trovano nello stesso luogo secondo le antiche fonti?

Atlantide e Tartesso sono la stessa località, cioè la stessa isola, l’isola degli dèi. Anche di Tartesso si parlava molto nell’antichità, e sempre come isola. Non per caso in Sardegna, e non in altre località, si sono rivenuti diversi reperti: la stele di Nora; il Coccio di Orani e l’inserzione dell’Altare di Zeddiani.

C’è una parte molto importante del libro che individua gli indizi materiali in Sardegna che avvalorano la tesi che la Sardegna possa essere l’Atlantide di Platone, la Scherìa di Omero, l’isola bella del bell’Occidente, può farci qualche cenno?

Gli indizi che indicano la collocazione dell’isola sono innumerevoli e tutti chiari e convergenti. Ci sono, innanzitutto, i numerosi toponimi di dèi e di divinità diffusi su tutto il territorio di Sardegna che fanno immediatamente pensare che la misteriosa isola sacra d’Occidente, dimora originaria di dèi, luogo di origine degli dèi primordiali e delle dinastie sacre, sia proprio la Sardegna.

Tutte le fonti antiche e la gente di Sardegna riconoscono Forco, Phorcus, che altri non è che la corrispondente divinità marina di Poseidone dei Greci, che a sua volta altri non è che Enki dei Sumeri, come già detto, dio dell’Oceano e delle isole del Mar Tirreno, re di Corsica e di Sardegna, padre di Medusa, delle Esperidi, delle Gorgoni, delle Sirene, oltre che padre di tante altre divinità legate al mare. In Sardegna alcuni nuraghi e molte località sacre portano ancora il suo nome demonizzato in “Orco” (Sa Dom’e s’Orcu di Sarroch, Nuraghe s’Orcu, etc.).

Perseo per uccidere Medusa deve raggiungere il Giardino delle Esperidi che sono Ninfe del Tramonto, dell’Occidente, dove ci sono le isole dei Beati. E Medusa nella leggenda locale era una bella principessa che aveva la sua dimora in Sardegna dove ancora esistono i ruderi del suo castello. Correttamente, pertanto, è stato detto che la Sardegna è realmente l’unica tra tutte le isole del Mediterraneo che colpisce per la diffusa presenza sul suo territorio di numerosi nomi e toponimi che fanno emergere nella memoria miti e divinità della più profonda antichità. E ci si deve pure chiedere come mai solamente in Sardegna si conservino questi numerosi relitti di nomi e di toponimi che richiamano i miti e le divinità dell’antichità.

E c’è anche la particolare antichità dell’uomo sardo affermata dalla scienza. In particolare dagli studi di Mario Anges, che mettono in evidenza che l’evoluzione della fauna e i reperti litici indicano che la prima presenza umana in Sardegna risale a circa 300.000 anni a.C. E c’è anche la scoperta nel 1915 dell’archeologo Antonio Taramelli, coadiuvato da Edoardo Benetti, di esemplari dalle dimensioni straordinarie che richiamano le tombe dei giganti esistenti in Sardegna in numero notevole e chissà a quali epoche risalenti. Ci sono pure le statue Menhir e i pozzi sacri. Insomma, un notevole numero di siti archeologici e di monumenti (in tutto ben 15 mila) che, dislocati su tutto il territorio, lo contraddistinguono per una evidente unicità, facendo dell’intera isola un vero museo a cielo aperto che richiama un passato veramente remoto.

Quali sono, invece, le peculiarità genetiche dei sardi che potrebbero farlo distinguere da qualsiasi altro gruppo umano abitante la Terra?

La longevità dei Sardi, quanto meno di quelli della ristretta area d’Ogliastra, è sicuramente una peculiarità genetica distintiva dei Sardi, che non è irragionevole ritenere possa essere eredità di quel “dio” progenitore chiamato Enki.

Quali elementi simbolici sono stati conservati nella tradizione artigianale degli elaborati dolci preparati per feste e rituali?

Sono gli stessi che tuttora sono presenti nelle tradizioni e nella cultura della Sardegna e che vengono ripetuti inconsciamente nelle decorazioni delle cassapanche, dei tappeti, delle ceramiche, dei costumi tradizionali, dei pani, dell’oreficeria, etc. Tutti decori che riconducono a tempi in cui si producevano certo non per fini alimentari ma per l’appagamento di un gusto estetico, di una esigenza dell’anima, proprio di chi ha raggiunto un livello di vita agiata, di una vita sottratta comunque alle limitazioni della miseria e degli stenti.

Il simbolo più ricorrente è la spirale, presente anche sulle statue – menhir e all’interno delle domus de Janas, tradizionalmente legata al concetto della procreazione, cioè al concetto di nascita e di rinascita ricorrente sin dagli albori delle civiltà. Altro significativo simbolo ricorrente è il triangolo che simboleggia la magia del numero tre, il suo scindersi e ricomporsi nella divinità. Nella simbologia cristiana il triangolo posto sulla testa di Dio rappresenta la bellezza, l’ordine, l’armonia.

La figura del triangolo si confonde con la figura del grembo della Dea Donatrice della vita e con la V da essa derivata, e rappresenta quindi il più antico e conosciuto simbolo proveniente dal Paleolitico incarnato nelle numerose statuine rinvenute in grotte e sepolcri del Paleolitico e del Neolitico, tra i quali i più antichi quelli a triangolo in selce con abbozzati i seni e la forma del grembo della Dea Madre. Forma triangolare hanno anche i pozzi sacri. Si tratta insomma di un simbolo del “femminile”.

Altro simbolo è il corno che in Sardegna può essere associato al dio Kronos, non tanto per la radice KRN, ma perché, col nome sumero di Anu, dio del cielo più elevato presente in Occidente, particolarmente in Sardegna, dove si ritiene egli abbia instaurato una vera “età d’oro” che avrebbe assicurato benessere, pace, e sicurezza ai fortunati abitanti. Infine, c’è anche la colomba a rappresentare qualcosa di veramente antico, una figura che compare anche negli affreschi della grotta di Lascaux, accanto all’uomo morto.

Non si tratta di semplici elementi decorativi, casuali o di semplice fantasia. Si tratta di figure e di simboli che, come quelle incise su pietra e riportate sui tessuti, nelle ceramiche ed in altre creazioni artistiche, vengono dal passato remoto a rivelare i moti dell’anima della donna sarda e i sogni del passato rimasto nella sua memoria, un passato felice in cui si era liberi dal bisogno impellente della sopravvivenza e dell’esistenza, proprio in quest’isola di Sardegna, di un’età d’oro nelle profondità della sua storia.

Cosa si intende per mitica “Età dell’oro?

I Sumeri dicevano che “Tutto ciò che appare bello lo abbiamo fatto per grazia degli dèi”, intendendo dire che le civiltà dell'uomo sparse sulla Terra erano prodotto di quegli dèi. L'affermazione è tanto precisa che non si vede come possa essere messa in dubbio. Dalle fonti citate sembrerebbe proprio che sulla Terra, nella più profonda antichità, ci sia stata una “età d’oro”, che riporta al tempo della prima convivenza con gli dèi, di cui fa cenno anche la Bibbia in Genesi riportando al tempo di Matusalemme e degli altri patriarchi, cioè al tempo della convivenza dell’uomo ancora innocente con Dio.

È il tempo della convivenza con gli dèi, in particolare col dio chiamato Enki, quando gli uomini si consideravano fratelli, vivevano felici, in pace, senza paure, godendo di un benessere diffuso, in piena armonia. Il tempo di una civiltà edificata proprio su quest’isola di Sardegna posta nel “bell’Occidente”, “al tramonto del sole”, “in mezzo ai flutti profondi”. In un’isola che per ciò, solo essa tra le tante isole del Mediterraneo, venne chiamata “isola dei Beati”, “isola origine degli dèi”, “isola dimora di dèi e di uomini fortunati”, “isola sacra” proprio perché riservata agli dèi e, in particolare, alla stirpe originata da quel grande dio - Enki/Poseidone/Nettuno, etc. - padre/antenato, creatore dell’uomo e della stirpe di uomini fortunati da lui originata, nonché creatore della prima civiltà in assoluto sulla Terra, progenitrice di tutte le altre succedutesi nel tempo.