La letteratura degli Stati Uniti d’America, in particolare quella dell’Ottocento e degli inizi del Novecento, è una letteratura “della natura”. Ma una natura lontanissima dall’idea irenica e un po’ hippy che ne abbiamo oggi: è una “natura matrigna” per usare le parole di Giacomo Leopardi, nemica dell’uomo, minacciosa, malvagia. Sempre per fare un parallelo col grande di Recanati, una natura che richiama quella del Dialogo della Natura e di un Islandese nelle Operette morali. E non poteva che essere così in un Paese dove i pionieri dovevano lottare contro la natura per domarla e civilizzarla.
Nei romanzi di Jack London come Il Richiamo della foresta la Natura è anche l’“origine” e, pur nella sua durezza, non è vista in senso negativo, ma come qualcosa di autentico e “libero” contrapposto alle catene della civiltà. La cosa cambia se prendiamo il più grande capolavoro della letteratura americana, Moby Dick or The Whale, di Herman Melville, che sarà capostipite di una serie di “mostri della natura” dell’immaginario Made in Usa.
La storia è ben nota, è quella del capitano Achab che, mutilato da un enorme capodoglio bianco chiamato dai balenieri “Moby Dick”, si getta in una caccia forsennata e ossessiva che condurrà alla distruzione la sua nave, il Pequod, e alla morte i suoi marinai (eccetto il narratore Ishmael). Si sa anche che Moby Dick è ispirato ad un vero capodoglio albino soprannominato dai balenieri “Mocha Dick” perché viveva al largo dell’isola di Mocha, in Cile.
Ma Moby Dick non è una semplice balena bianca. È un simbolo della Natura. Melville descrive l’animale quasi come un mostro biblico, e non è un caso che usi spesso il termine “Leviatano” per definirlo. Ecco come ne parla il narratore Ishamel nel capitolo 41 del libro: “non c'è da meravigliarsi molto se qualche baleniere si dimostrava ancora più superstizioso, e affermava che Moby Dick non solo possedeva l'ubiquità ma era immortale (perché l'immortalità non è che ubiquità nel tempo); per quanto gli piantassero nei fianchi foreste di lance, se ne sarebbe andato sempre illeso (...). E ciò che rendeva la balena una creatura terribile non era tanto la sua grandezza eccezionale o quel colore impressionante, e nemmeno la sua mascella deforme, quanto la cattiveria intelligente e inaudita che stando a certi resoconti precisi essa aveva mostrato più e più volte nei suoi attacchi.”
Quindi, la Balena Bianca non è come tutte le altre: è un mostro soprannaturale, invincibile. E sembra prefigurare un altro notissimo mostro della letteratura statunitense: lo Cthulhu partorito dalla fervida fantasia del genio di Providence, H.P. Lovecraft.
Cthulhu non ha vere e proprie corrispondenze nel regno animale, a differenza di Moby Dick. È una specie di divinità pagana maligna. Ma la sua descrizione arriva comunque dalla biologia marina: ha la testa di un polpo (e anche in Moby Dick l’apparizione di un calamaro annunciatore di sventure terrorizza il pur razionale Starbuck), il suo colore è “cadaverico” e anche qui c’é un richiamo alla “bianchezza della balena” che può richiamare il “pallore dei morti”.
Nel racconto The Call of Cthulhu il mostro emerge dalla città sottomarina di R’liyeh, dove “attende sognando”. A vederlo sono dei marinai, come la ciurma del Pequod. Certo, è possibile scorgere un’eco della “Bestia che sale dal mare” dell’Apocalisse di Giovanni. E questo parallelo è applicabile anche al melvilliano capodoglio bianco.
Ma questo “soprannaturale” è in realtà molto “naturale”: sia Moby Dick che Cthulhu non sono altro che allegorie della Natura “matrigna” che viene a riprendersi il suo spazio cancellando gli esseri umani. Dalla grande apocalisse alla piccola apocalisse: il filone cinematografico, tipicamente americano, dei “mostri assassini” discende certo da Melville e da Lovecraft. Il capostipite di questo filone è sicuramente Lo Squalo, film che Steven Spielberg trasse dal dimenticabile racconto Jaws del giornalista Peter Benchley. L’atmosfera è meno grandiosa rispetto ai capolavori di Melville e Lovecraft: uno squalo terrorizza una spiaggia e bisogna dargli la caccia per non perdere la stagione estiva. Nessun richiamo biblico, nessuna apparente allegoria. Ma anche qui, pur in un contesto più banale, lo squalo è la natura che si riprende ciò che è suo.