Impossibile volgere lo sguardo all’Ottocento fiorentino, senza imbattersi nella “colonia” di Anglo-fiorentini che ne popolarono ville e palazzi, dando nuovo slancio alla vita culturale dell’epoca. Il bel viaggio alla loro scoperta, reso possibile dal volume di Paola Maresca: Gli Anglo-fiorentini nell’Ottocento a Firenze - Luoghi, passioni e segreti (edito da Angelo Pontecorboli), è il punto di partenza per la nostra intervista con l’autrice, la quale ci consente di ripercorrere le vite intrecciate di protagonisti e comprimari, in un excursus ricco di tracce da seguire ed approfondire.
Il suo volume può essere letto in modi diversi. E’ un piacevole romanzo dai tratti storici e biografici, ma agile come un’avvincente guida. Come si è mossa nelle ricerche e com’è approdata ai profili trattati?
Il volume ha una lunga storia: infatti alcuni anni fa studiando i giardini fiorentini mi ero imbattuta in alcuni di questi singolari personaggi, ne parlai con mio marito e lui, colpito dalle loro avvincenti vite, ebbe l’idea di scrivere un romanzo a due mani. Paolo, questo era il suo nome, ideò la trama, la cornice mentre io curai la parte storica approfondendo le ricerche sui singoli personaggi. Ne scrissi così una prima bozza. Successivamente, travolta dagli eventi famigliari, mio marito dopo una breve ma inesorabile malattia lasciò questa terra, il romanzo rimase dimenticato in un cassetto. Dopo circa sette anni lo ho rispolverato e in seguito lo mostrai al mio editore (Angelo Pontecorboli) e insieme pensammo di trasformarlo in saggio. Così è nato il libro che forse del romanzo ne mantiene alcune caratteristiche.
Impossibile analizzare le gesta degli Anglo-fiorentini nell’Ottocento, senza tener presente la forte fascinazione verso lo spiritismo. Da cosa pensa nascesse questa passione ed in quali sorprese, in merito, si è imbattuta, durante la stesura?
Dopo la parentesi dell’Illuminismo nell’800 mi sembra che rinasca questa curiosità verso il mondo spirituale e in particolare verso l’aldilà, del resto il tema della sopravvivenza dopo la morte ha affascinato da sempre l’umanità. Così, intrecciando lo spirito sperimentale proprio del secolo con la curiosità verso l’ignoto, nascono le prime investigazioni e ricerche in ambito spiritistico. Lo spirito che le caratterizza è direi quasi scientifico.
Lo spiritismo nasce dapprima in America ma troverà un terreno fertile proprio in Inghilterra, e forse non è a caso che proprio a Londra, nel 1747, siano pubblicate per la prima volta le opere di Emanuel Swedemborg, il grande veggente che aveva indagato con gli occhi della mente il mondo degli spiriti e delle entità angeliche. Lo spiritismo come pratica diffusa tra i personaggi descritti nel romanzo nasce a mio avviso più che da una curiosità da una necessità di ordine spirituale ne è testimonianza il fatto che questi personaggi dai risvolti non comuni sono in sostanza uomini e donne dagli animi sensibili ed elevati come lo sono in genere gli artisti, i letterati e i poeti, dediti ad ascoltare le pulsioni dell’anima ed a esprimerle attraverso l’arte. Il loro cercare un contatto con l’Aldilà si basa sulla consapevolezza dell’immortalità dell’anima e del suo percorso purificatorio che avviene, come sosteneva anche lo stesso Mazzini, attraverso una serie di vite terrene ovvero successive reincarnazioni.
La mia sorpresa è stata quella di scoprire che questo sottile filo rosso legava quasi tutti i personaggi che in ambito fiorentino gravitavano attorno ai Browning e ne costituiva quasi un passe-partout per entrare nella loro cerchia.
Elizabeth e Robert Browning sono, notoriamente, due personaggi cardine della Firenze dell’epoca. Cosa resta di loro in città, a così tanti anni di distanza dai fatti narrati? Penso, soprattutto, al Cimitero degli Inglesi e a Casa Guidi…
La Firenze dei Browning a mio avviso è sostanzialmente scomparsa come è scomparso l’antico centro storico, mentre alcuni dei luoghi da loro prediletti come il caffè Doney e la Farmacia Inglese, sono stati trasformati in esercizi commerciali, che ben poco conservano il ricordo del loro passato. Testimonianze che ancora ci parlano delle loro vite sono sicuramente Casa Guidi e, sulla collina di Bellosguardo, villa Brichieri-Colombi e la Torre di Montauto, la prima , la “reggia” di Isa Blagden, assiduamente frequentata dai Browning e dalla loro cerchia, e la seconda immortalata nel romanzo Il fauno di marmo di Nathaniel Hawthorne, che qui vi trascorse gran parte del suo soggiorno fiorentino.
C’è un itinerario, a lei particolarmente caro, che consiglierebbe ad un turista che voglia conoscere una Firenze diversa? Anche tenendo conto degli altri volumi da lei pubblicati.
Sicuramente la collina di Bellosguardo può costituire un itinerario diverso per il turista. Da qui infatti si gode un panorama della città insolito e affascinante, come suggerisce lo stesso nome: Bellosguardo. La città che si distende in una conca racchiusa tra le pendici delle dolci colline appare sovrastata dalla severa mole di Palazzo Pitti. Direi quasi che il panorama è ancora quello che godevano i Browning dalla terrazza di Villa Brichieri. Anche se le ville che ospitarono la colonia inglese non sono visitabili quello che ancora si percepisce è lo spirito dei luoghi che vi aleggia. Del resto, come ricorda la lapide che fa mostra di sé sulla piazza principale del piccolo borghetto, il luogo fu ambito soggiorno di grandi personalità per lo più straniere, poeti, artisti, musicisti e letterati che proprio qui vi trovarono ispirazione per le loro opere immortali.
Vorrei aggiungere un altro suggerimento: Firenze è conosciuta dai turisti e nel mondo per lo più come culla del Rinascimento, ma pochi sanno che è stata un vero e proprio centro di cultura ermetica che da qui si è diffusa in tutte le corti europee lasciando indelebili tracce nelle opere d’arte che arricchiscono la città. Pensiamo a Dante e alla consorteria iniziatica dei Fedeli d’Amore, alla quale lo stesso poeta apparteneva, e che ebbe continuità nell’accademia Platonica Fiorentina, fiore all’occhiello della dinastia medicea. I Medici patroni delle arti arricchirono la città di opere insigni. Il pensiero ermetico ed alchemico professato dai duchi e granduchi medicei fino alle soglie del 700 traspare in filigrana dalle opere d’arte da loro commissionate. Ne sono esempio Il giardino di Boboli, e gli appartamenti di Cosimo I de’ Medici a Palazzo Vecchio, tanto per citarne alcuni dove si nascondono rimandi a questa cultura ermetica.
In sostanza non si tratta di itinerari diversi da quelli usuali bensì di vedere questi monumenti, opere d’arte e giardini con occhi diversi non con quelli del turista frettoloso ma entrando nello spirito di coloro che li crearono ad eterna testimonianza di una tradizione sapienziale antichissima.
Posso chiederle a quali progetti futuri sta lavorando? Avranno ancora Firenze e/o l’arte dedicata ai giardini, come protagonisti?
Al momento non ho ancora progetti ben definiti, ma sicuramente la città di Firenze così come i giardini sono i temi che più mi affascinano e che vorrei approfondire.
Anch’io seguo nei miei studi un filo rosso che è quello dell’interpretazione simbolica di luoghi o monumenti e la città di Firenze con le sue opere d’arte, monumenti e giardini è ricchissima di testimonianze che si riallacciano ad una tradizione sapienziale portata avanti dai ricercatori della Verità. Anche questo mio ultimo mio scritto sugli Inglesi a Firenze in qualche modo si collega a questo filone, infatti la disposizione animica che caratterizza le vite e le opere di questi personaggi, accumuna tutti coloro che sono dediti alla ricerca di ciò che la mente non vede ma che lo spirito percepisce.