Concepita dalla mano della fumettista / soprano giapponese Ryoko Ykeda, “Lady Oscar”, è un Manga dal quale è stato estratto un Anime che racconta il corpo femminile nell’ambivalenza tra uomo e donna a livello caratteriale ed estetico.
Nasce nel 1972 ed arriva in Italia, come Anime, nel 1982, in 40 episodi trasmessi dalla televisione. Incentrata sulla vita di Maria Antonietta di Francia nel Manga, si trasforma a vantaggio di Lady Oscar nell’Anime.
Parlare di un cartoon per parlare di forma del corpo, e sue accezioni culturali, può essere interessante in funzione del fatto che gli aspetti grafici dei cartoni animati sono fruiti, nel mondo Occidentale, per lo più dall’infanzia e dal momento adolescenziale (vedi l’articolo sul “Il quarto sesso”) ed il soggetto esaminato porta in sé degli elementi molto discussi nel nostro tempo quali la sessualità e le sue manifestazioni. Oscar François de Jarjayes è di fatto una donna del XVIII secolo, con il canone anatomico di una top model degli anni ’90. Indossa le divise ed i costumi più sfavillanti dell’epoca di Luigi XVI, e le sue proporzioni certamente rappresentano un delta culturale che ispira emulazione ed ammirazione e illude lo spettatore di un suo ideale reso plausibile dall’impostazione estetica del progetto che ammicca ai nostri giorni più che alla filologica riproduzione storica.
Per un fanciullo che si appassiona a questa storia tutto diviene plausibile in funzione della bellezza eccessiva, e fuori canone, della protagonista e dei suoi compagni di avventure soggetti alla creatività orientale che si permea dell’estetica occidentale.
Una donna educata alla dura disciplina del soldato e cresciuta come un uomo è affascinante e persino emulabile nella testa della giovinezza più assoluta e non solo.
Le forme anatomiche impostate all’arte della guerra e alla forza fisica dalle scintillanti uniformi da ufficiale della protagonista, così come il suo corpo eroticamente rivelato nelle pulsioni connaturate al suo essere donna, vengono processate, agli onori del pensiero, come naturali in funzione di un ideale estetico. Non si discute se plausibile o meno perché ascrivibile alla fantasticheria…
Se diviene plausibile per l’immaginazione però le cose cambiano, perché di fatto l’immaginazione deriva dal reale e dalle proprie esperienze e l’ideale è una di esse.
Parlare di un cartoon con evidenti errori storiografici e parti romanzate all’insegna della fidelizzazione alla serialità è comunque pertinente al gioco che oggi si lega al marketing del tutto possibile purché si allarghi l’orizzonte del mercato.
Di fatto in “Lady Oscar” l’ecumenismo estetico dei grandi occhi e dei corpi slanciati rappresenta una visione Occidentale dell’ideale e una traccia di come esso esista anche in termini bidimensionali nell’ottica di un colonialismo formale di matrice occidentale che oggi viene in parte eroso dall’allargamento ad Oriente dei mercati.
Non è un problema il sesso attribuibile oltre quello che la natura ci concede ma è anch’esso legato al come lo si esprime, al ruolo e ai luoghi geografici e temporali.
Una rosa è una rosa anche se essa sia bianca o rossa. Una rosa non sarà mai un lillà Oscar.
(André Grandier, “Lady Oscar”)
Su questo ultimo aspetto il tempo si è affrancato dalle regole del Costume e vive libero nel flusso della “Moda” che rappresenta tutto il respiro sociale che arriva dall’anarchia verso la norma e che fa della forma una modalità identitaria ingravidante il fattore reale (immutabile).
L’anatomia di un Anime, sbarcato in Europa nel 1982, ha il carisma della storia del Vecchio Continente e delle sue conquiste e si permea dei suoi modelli estetici: la schiena di Lady Oscar è “Il Miraggio” scaturito dall’occhio di Herb Ritts, attraverso il dorso di Christy Turlington, per Gianni Versace, nel 1990.
I seni di Lady Oscar sono come scolpiti dall’omaggio di Claude Lalanne al torso della femminilità iconica di Veruschka, per Saint Laurent.
Le sue gambe lunghissime, che da sotto la divisa fasciante e l’alto ed affilato stivale, svettano e zigzagano duellanti sembrano figlie della immediatezza grafica della mano di Gianfranco Ferré o delle impudiche visioni dell’illustratore René Gruau, cantore di quel Monsieur Dior che fece dello stile Luigi XVI il suo trattato estetico.
La nuca di Oscar, apparsa solo in un memorabile ballo in veste di donna, possiede la postura che avrebbe galvanizzato il più imperturbabile Balenciaga.
I suoi biondi boccoli sembrano attraversare la teutonica apparenza di Claudia Schiffer ed i grandi e liquidi occhi contengono lo sguardo dardeggiante di una Linda Evangelista.
Questo Cartoon rappresenta un modello nella cui ambiguità risiede la verginale visione della giovinezza che tutto spinge all’ideale senza riserve. Dalla esperienza della fantasticheria entra nell’immaginazione dell’età adulta che deve conoscere e riconoscere che il suo limite è sempre l’ideale, ma che è pur sempre un modello attinto dal reale che con arte sa riprodursi come demone da esorcizzare.
Il corpo e la sua bellezza, pertanto, coesistono nel confronto costante e nella misura che ad essi il tempo ed il luogo, gli conferiscono.
Non discutere di essi è fuori dall’umano che parametra e usa, o abusa, con liceità offertagli dalla importanza che dona, da sempre, al nuovo o alla sua apparenza, per restare nella comprensione e gestione di ciò che non esiste se non come parametro alfanumerico: il tempo.
Ciò che è bellezza è anche oggettivazione di essa e si esprime sin dall’infanzia. Per ragioni altre l’uomo la manipola nel luogo dell’adulto per raccogliere un consenso che è fuori dalla sua natura istintuale. Così l’essere umano entra nella misura del vizio di forma che è il territorio della moda ed affini e coercitivamente ne viene soggiogato.
Tutto è lecito nella figliazione sociale del tempo e tutto è contestabile, o più ampiamente criticabile, nell’esperienza universale del giudizio.
Lady Oscar compie 50 anni ma di fatto il suo essere non è invecchiato di un solo istante perché vive della misura ideale del bello, fuori dal ruolo e dalla natura che la conforma intrinsecamente, grazie all’infanzia, oltre questo nostro “poli-etico” momento. La sua forza è una vita in uniforme senza uniformarsi al potere e alla reverenza verso il ruolo, come solo le personalità più avvincenti riescono ad esprimere.
Dalla sua uniforme alle uniformi della moda più di frontiera dell’universo del reale femminile il passaggio è breve perché molte di esse dal mondo di Marte hanno preso la forma. Uniforme è il tailleur giacca e pantalone di Chanel e Giorgio Armani, lo smoking ed il jumpsuit di Yves Saint Laurent, e tutto lo sportswear che si lega epidermicamente alla performatività fisica dell’eroe, da Lacoste a Patou.
Oscar, nel suo oscillare non solo formale, idealmente, è come David (Bowie), Charlie (Chaplin), Charlotte (Rampling), Grace (Jones), Marlene (Dietrich), Arturo (Brachetti), Mattew (Barney), Rodolfo (Valentino), Cecil (Beaton), Ludwig (II di Baviera), Rudolf (Nureyev), Tilda (Swinton), Greta (Garbo), e molti loro emuli che oggi costellano il nostro immaginario collettivo come su una scena del teatro Elisabettiano o più a Oriente, del teatro Nō senza cercare una definizione, ma in nome di un sentimento che non ha categorizzazione: il bello. Questa Lady porta il nome al maschile perché è il giocatore ideale di una partita dei generi che ad essi parla perché da essi non si prescinde.
Un ideale di sessualità artistica perché frutto dell’esperienza immaginativa che attraverso la fantasticheria si ancora al plausibile e ci fa sognare portandoci, come Caronte, nel territorio dell’anima oltre ogni confine. Vivere le forme senza quesito non è costruttivo: le forme tra loro si addizionano in modo dialettico con i modi della moda e del costume dai quali esse attingono.
Lady Oscar, per una certa generazione, ma non solo, rimane ancora oggi un soggetto traghettatore di una naturalezza di visioni, spinta dalla bellezza ideale, che archetipica ci soggioga sin dall’infanzia e ci interroga, inconsciamente, sul ruolo oltre natura.