Fermate tutte le guerre. Questi fuochi devono continuare fino a quando la pace e la giustizia saranno portate a tutti i popoli, così che la vita, lo spirito e la terra continuino.
(Isabel Coe, Anziana Wiradjuri)
A pochi passi dalla Trasfigurazione di Raffaello e dal San Gerolamo di Leonardo, il visitatore che entra nei Musei Vaticani ha la possibilità, di ammirare opere straordinarie dei popoli indigeni australiani. Si tratta del nuovo allestimento del Museo Anima Mundi, non è solo un Museo di opere d'arte è un museo dei popoli e per i popoli. Tutti i manufatti esposti sono ambasciatori della loro storia, attraverso un coraggioso processo in atto che mira a riconnettere tutte le espressioni culturali alle loro comunità di origine, qualificando il museo come luogo di formazione e dialogo intergenerazionale. Un luogo privilegiato per esplorare i temi della spiritualità, le connessioni, le continuità culturali e il rinnovamento. C’è bisogno di ristabilire un equilibrio ecologico e sociale, non solo per assicurare la nostra capacità di ripresa dopo la pandemia ma per la nostra stessa sopravvivenza come esseri umani.
Già nel 2009 ci fu il primo contatto tra il National Museum of Australia e il Museo Etnologico, Anima Mundi che ha portato alla mostra dal titolo Rituals of Life. La spiritualità e la cultura degli Aborigeni d’Australia attraverso la collezione dei Musei Vaticani. I due istituti hanno lavorato insieme per allestire la mostra che aprì esattamente il 15 ottobre del 2010. L’apertura ebbe luogo alla presenza di indigeni giunti da varie parti dell’Australia e di rappresentanti del governo australiano. In quella occasione parteciparono all’incontro Sharing Conservation organizzato dal Laboratorio Polimaterico dei Musei Vaticani per condividere gli approcci alla conservazione del patrimonio etnografico e polimaterico, nella consapevolezza che i musei e gli stessi laboratori di restauro devono svolgere un ruolo nell’educazione come strumenti di coesione sociale, ristabilendo le connessioni fra i popoli e gli oggetti fisicamente accessibili. Consultandoci con le comunità anche sulle scelte conservative, abbiamo iniziato a lavorare affinché la collezione possa essere, apprezzata come parte di un patrimonio culturale vivente.
Durante l’inaugurazione, danzatori aborigeni e isolani dello Stretto di Torres offrirono uno spettacolo al suono del didgeridoo davanti a migliaia di persone. Gli indigeni venuti a Roma da diverse parti dell’Australia dissero di essere orgogliosi di vedere rappresentata la propria cultura nel cuore della cristianità, quale testimonianza del riconoscimento delle tradizioni spirituali aborigene vive ancora oggi. “Ci piacerebbe che più persone della vostra cultura venissero a imparare la mia cultura”, disse Pedro Wonaeamirri, dei Tiwi.
Le opere della collezione emozionano e aprono una porta per esplorare diversi aspetti della cultura materiale e intangibile dell’Australia. Il professor Mick Dodson degli Yawuru, avvocato e magistrato, ha detto: “Per capire la nostra legge, la nostra cultura e il nostro rapporto con il mondo fisico e spirituale, è necessario iniziare dalla terra. Tutto ciò che riguarda la società aborigena è inestricabilmente intrecciato e connesso alla terra”. Dovremmo focalizzare l’attenzione in maniera costante sull’ascolto degli Aborigeni che hanno cercato di insegnare ad altri a vedere e ascoltare e sentire il proprio percorso verso la comprensione delle loro tradizioni.
Il Vaticano conserva una delle più antiche collezioni di pali commemorativi Pukumani, provenienti dalle isole di Melville e di Bathurst, nell’arcipelago delle Tiwi, risalenti all’inizio del XX secolo e donati al Vaticano per l’Esposizione del 1925. La cerimonia Pukumani è un rituale spirituale con una forza estetica legata all’esibizione di decorazioni corporali, insegne cerimoniali, cesti in corteccia dipinta e gli stessi pali commemorativi. I rituali Tiwi segnano, infatti le fasi della vita e della morte, celebrano la fertilità della terra e delle persone, inviano gli spiriti dei morti nel loro percorso dell’aldilà, assicurandone la continuità. Lo stile e il disegno di ciascun palo sono diversi dagli altri, ma tutti recano temi ricorrenti, come la forma a testa d’uccello o la forma ad anello. Ciascun palo è abilmente decorato con punti, linee e disegni geometrici dai colori giallo, rosso, nero, ocre e bianco. Questi elementi si combinano nel dare a ciascun palo la sua personalità e la sua storia, collegandolo all’identità spirituale dell’artista che lo ha modellato.
Nel 2012 la restauratrice Serenella Cici, ha condotto un importante restauro di dieci pali Pukumani a lei chiediamo di condividere la sua esperienza. “La loro importanza è dovuta non solo alla realizzazione artistica, sono tra quelli meglio conservati al mondo. Ogni esemplare è inciso secondo stili e motivi specifici e individuali, con temi ricorrenti quali forme a testa d’uccello, cerchi o aperture simili a finestre ma anche dal fatto che costituiscono una testimonianza del valore tangibile e intangibile del legame identitario con il territorio di appartenenza e del rapporto spirituale tra la vita e la morte. Ogni singolo palo è realizzato per essere donato al defunto durante la commemorazione. I disegni riprodotti sui pali sono legati al clan del defunto e ogni palo è unico poiché le forme e le decorazioni, che rappresentano donne, uomini e animali in caratteri stilizzati, sono differenti per ogni opera. Infatti, le decorazioni a motivi geometrici puntinati, cerchi e losanghe, rimandano a figure zoomorfe stilizzate, legate al mondo del Dreaming e del Dreamtime. Durante il suo restauro sono stati studiati i materiali utilizzati, tutti di origine naturale, facilmente deperibili, così come i pigmenti e i leganti, tra i più usati dei quali si trova il succo di orchidea, una delle specie di orchidea utilizzate appartiene al genere Dendrobium, impiegato per fissare il pigmento al supporto ligneo con aggiunta di acqua, mentre più recente è l’utilizzo di colla in sostituzione del succo di orchidea”.
Quali sono le specie lignee con le quali sono realizzati i pali Pukumani?
Sono tre le tipologie di legno maggiormente impiegate per la realizzazione dei pali, tra queste troviamo l’Eucalyptus longifolia, perché ha un tipo di legno più morbido rispetto alle altre specie. Il palo ligneo è sottoposto ad asciugatura, in seguito su tutta la sua superficie viene steso uno strato di colore nero, sul quale sono poi applicati gli altri colori: ocre gialle e rosse (ricavate dalle terre locali) e il bianco. I pali conservati nel Museo sono ricavati da un unico tronco intagliato che assume forme complesse. Nella parte bassa il tronco ha funzione di sostegno (veniva inserito nella sabbia), non è decorato e ha un diametro minore nella parte restante.
Prima del restauro le condizioni conservative dei pali erano mediocri la particolare tecnica esecutiva non avrebbe permesso la loro esposizione?
Il problema principale era la decoesione dei pigmenti: il fissativo utilizzato, probabilmente succo di orchidea, è stato in parte assorbito dalla struttura e il potere adesivo che aveva al momento dell’applicazione aveva perso la sua efficacia. La granulometria dei pigmenti utilizzati non è sottile, e questo dato ha probabilmente contribuito a rendere più disomogeneo il legame tra pigmento e legante, per esempio i puntini presenti sui pali sono a rilievo. Dopo la disinfestazione anossica, sono stati eseguiti alcuni prelievi per conoscere la natura del legante e dei pigmenti utilizzati. In corrispondenza delle parti inferiori dei pali, la fragilità dei pigmenti utilizzati non ha permesso di eseguire la spolveratura su tutta la superficie, ma solo sui pigmenti più stabili. Si sono utilizzati pennelli morbidi e un microaspirapolvere munito di microbocchette con applicazione di filtro. Solo in zone circoscritte è stato possibile eseguire una pulitura con spugna di caucciù a tampone.
Un bellissimo lavoro, da molti anni l’attività del Laboratorio di Restauro Polimaterico, insieme al Laboratorio di Diagnostica per la Conservazione ed il Restauro, è rivolta allo studio delle proprietà dei materiali naturali spesso presenti e compresenti nelle collezioni etnologiche e alla sperimentazione di nuove tecniche con materiali più adatti agli interventi di restauro compatibili?
Esattamente, nel caso dei pali, per la riadesione è stata testata una colla di origine animale purificata. La colla di origine animale Polypep P 9354 (SIGMA) è una colla purificata, un oligopeptide ottenuto da collagene porcino. È stata sperimentata per il consolidamento delle parti in legno decoese, in alcuni casi miscelata con polvere di legno. Oggi è possibile ammirarli in esposizione.