Se desideriamo assicurare la pace e la felicità di tutti abbiamo bisogno di coltivare un sano rispetto per la diversità dei nostri popoli e delle nostre culture, fondato sulla comprensione di questa fondamentale identità di tutti gli esseri umani.
(Dalai Lama)
I musei del mondo contemporaneo sono strumenti attivi per rispondere agli attuali mutamenti imposti dalla globalizzazione, soprattutto in tempo di lotta alla pandemia Covid-19. Nei Musei Vaticani il museo etnografico Anima Mundi manifesta straordinarie potenzialità grazie alla sua forte vocazione sociale condivisa con quanti si occupano della cura e della conservazione delle collezioni nel Laboratorio di Restauro Polimaterico.
Museo e laboratorio lavorano insieme; qualificandosi come luoghi aperti al dialogo riflettono il cambiamento del nostro modo di pensare il passato per migliorare la comprensione del presente. La loro filosofia è quella di essere il più possibile al servizio della società e del suo sviluppo, affermando il valore dell’interculturalità come interazione necessaria per dare vita a nuove espressioni culturali, mediante la conoscenza e il rispetto reciproco.
Grazie alle competenze maturate nel Laboratorio di Restauro Polimaterico che si prende cura delle collezioni del museo da più di venti anni, le restauratrici Martina Brunori, Barbara Cavallucci e Catherine Rivière, specializzate nella conservazione di diverse classi di materiali, organici e inorganici, hanno realizzato il restauro di una preziosa thangka sinotibetana che oggi condividono con noi. Un’opera rara, finemente dipinta che documenta l’estrema raffinatezza della cultura orientale, custode di molteplici significati simbolici e spirituali, realizzata con diversi materiali. Un manufatto complesso nella struttura e nell’iconografia, uno strumento di conoscenza e preghiera, straordinariamente efficace per la meditazione.
Le thangka sono grandi tele portatili raffiguranti soggetti religiosi, costituiscono un’espressione tipica del buddhismo tibetano e vengono generalmente collocate all’interno dei monasteri, sugli altari domestici o dispiegate all’aperto nel corso di particolari cerimonie. Sono costituite da un tema centrale, due sezioni laterali, una sezione superiore e una inferiore. La loro realizzazione è soggetta a rigide codificazioni dettate da manuali iconografici che contengono dettagliate descrizioni delle divinità da raffigurare in conformità con i testi sacri.
Il soggetto principale della thangka delle Collezioni Etnologiche è il bodhisattva Shadakshari Avalokitesvara (“Signore delle sei sillabe”, ovvero del mantra Om Mani Padme Hum) con quattro braccia, assiso in padmasana su trono a fiore di loto. Intorno a lui sono disposte numerose offerte, incensieri e alcuni strumenti rituali quali la campanella con l’impugnatura a forma di vajra e il triplice gioiello triratna. Alla sua destra sono raffigurati gli Otto Simboli buddhisti: la conchiglia, il fiore di loto, i pesci, l’ombrello, il nodo infinito, lo stendardo, il vaso e la ruota. Alla sua sinistra sono rappresentate tre figure con nimbi su fiori di loto e, in alto, quattro divinità.
In basso, al centro, una divinità terrifica tiene la ruota dello zodiaco sulla quale i dodici segni sono raffigurati con corpo umano e la testa degli animali corrispondenti al relativo segno. Al centro è presente una tavola per il computo astrologico suddivisa in nove riquadri colorati. I colori prevalenti sono quelli riconducibili alla pentade dei Buddha Cosmici: Vairochana, Akshobhya, Ratnasambhava, Amithaba, Amoghasiddhi. Ogni colore corrisponde a una direzione: il bianco al centro, il blu all’Est, il rosso all’Ovest, il verde al Nord e il giallo al Sud.
Il dipinto della thangka è realizzato a tempera su una tela e uno strato preparatorio molto sottili. Le quattro sezioni perimetrali, composte da strisce di tela di cotone blu scuro, sono cucite tra loro e lungo i bordi del dipinto con filato di cotone del medesimo colore. Due veli di seta color giallo oro sono fermati tramite imbastitura lungo la striscia di tessuto superiore. Sono presenti due bastoni lignei inseriti in tasche ricavate lungo i bordi superiore (bastone sottile) e inferiore (bastone di diametro maggiore), usati per la sospensione e per il successivo riavvolgimento.
Lo stato di conservazione dell’opera era mediocre. La tela dipinta, o “finestra”, presentava delle aree di tensione in cui erano visibili delle deformazioni sotto forma di piegature. Tale danno era causato dalla probabile sostituzione del supporto in tessuto originale con uno di dimensioni ridotte rispetto a quelle del dipinto. Sulla pellicola pittorica si riscontravano dei sollevamenti, delle cadute di colore, delle zone di decoesione, alcune deiezioni e delle gore. Sui veli di seta erano visibili importanti lacerazioni.
Prima dell’intervento di conservazione il manufatto è stato disinfestato con metodo anossico. In seguito a uno studio sulle proporzioni tra la finestra dipinta e il supporto tessile, condotto in collaborazione con il tibetologo dott. Filippo Lunardo, si è deciso di procedere allo smontaggio dei vari elementi per correggerne le dimensioni e in questo modo eliminare le tensioni. I singoli elementi sono stati scuciti e rimontati con un filato di cotone, dello stesso spessore del filato originale, precedentemente tinto con coloranti diretti. Le proporzioni tra i vari elementi della thangka sono state mantenute e il nuovo montaggio permette una migliore distribuzione delle tensioni.
Le zone di deformazione della tela dipinta sono state inumidite con tamponi di acqua deionizzata e le deformazioni sono state attenuate con l’applicazione di pesi calibrati. In seguito a una serie di prove per individuare il consolidante più idoneo per la pellicola pittorica, è stato scelto il JunFunori allo 0,5%, applicato a pennello con interposizione di carta giapponese, seguendo le campiture di colore. Le deiezioni sono state rimosse meccanicamente con bisturi. Al termine dell’intervento, l’opera è stata collocata in piano in una apposita cassettiera, in deposito climatizzato, insieme alle altre thangka della collezione Museo Etnologico Anima Mundi.
Grazie alle restauratrici che hanno realizzato questo prezioso lavoro di restauro, l’opera potrà tornare in mostra e tramandare i suoi valori simbolici e spirituali, le antiche tecniche tradizionali che rischiano di essere dimenticate a causa dell’esilio degli artisti ma, anche suscitare nei visitatori una narrazione nuova e dinamica, un incontro ravvicinato con espressioni artistiche che hanno molto da insegnarci nella contemporaneità. Dal 2006, questa tecnica pittorica è stata inserita nella lista del patrimonio culturale nazionale e ora anche attraverso gli artisti e le artiste della regione autonoma del Tibet, si potrà raggiugere l’obiettivo di proteggere il patrimonio culturale immateriale nazionale.