Ogni artista possiede un luogo intimo in cui crea, sperimenta, riflette. Un luogo in cui si accumulano lavori che seleziona per il pubblico, per le mostre, e altro che mantiene in un privato più o meno conosciuto. Questo è accaduto nella parabola artistica ed esistenziale di una grande artista come Silvana Weiller Romanin Jacur (1922-2022), veneziana di nascita ma padovana d’adozione, della quale si è inaugurata la retrospettiva con oltre 100 opere, visitabile fino al 2 marzo all’Agorà del Centro Culturale Altinate San Gaetano di Padova. Le opere inedite, oltre a quelle maggiormente conosciute, sono i lunghi rotoli di carta sui quali l’artista di fede ebraica ha raccontato la vita della Comunità israelitica tra Venezia e Padova, le ritualità, le feste, l’atmosfera.

L’esposizione, curata magistralmente da Nicola Galvan e Elisabetta Vanzelli, autori anche del catalogo che, accanto alle opere esposte documenta l’intera produzione grafica dell’artista, getta uno sguardo profondo sull’instancabile lavoro creativo dell’artista, che dipinse fino all’ultimo giorno. Tornando alle opere inedite di Weiller, ci soffermiamo sui lunghi rotoli che documentano la vita rituale e quotidiana della comunità israelitica veneziana e padovana. E l’impressione è quasi quella di trovarsi di fronte a fotogrammi cinematografici.

Sorta di “storyboard” notevolissimi, quasi chagalliani, che Weiller ha realizzato nel corso dei decenni, e che iniziano a esistere dalla fine degli anni’40; tra l’altro la vocazione artistica di Silvana Weiller è precocissima e data dai primi anni della giovinezza, quando si diverte a realizzare ritratti a matita che sono esposti anche nella retrospettiva a Padova.

Silvana Weiller, nasce a Venezia e si forma a Milano, è stata una fine artista e, insieme, una colta intellettuale. Fu l’indiscussa protagonista della vita culturale di Padova, città che divenne la sua dopo il matrimonio con Leo Romanin Jacur, autorevole esponente della locale Comunità Ebraica, da lei conosciuto in Svizzera dove entrambi erano rifugiati a seguito delle leggi razziali.

Cultura e cosmopolitismo appartengono a Silvana Weiller sin dall’infanzia. Folgorante e fondamentale fu per Weiller l’incontro a Venezia con la pittrice inglese Alis Levi nella cui casa ha modo di conoscere musicisti, letterati, pittori, da Maurice Ravel a Igor Stravinskij, Guido Cadorin, Filippo de Pisis, Eleonora Duse, Gabriele D’Annunzio. Per l’artista, la pittrice inglese diventa maieuta e riferimento, colei che - scrive Weiller - insegnò a "guardare", e come guardare sia importante per poter “vedere”.

Dopo le vicissitudini legate alle leggi razziali del 1938 che portano la famiglia Weiller prima in Svizzera e poi a peregrinare in Italia, finalmente dopo l’Armistizio a guerra finita e dopo il matrimonio, nel 1945 la famiglia Weiller rientra in Italia e Silvana si trasferisce a Padova dove i Romanin Jacur occupano un ruolo importante nelle vicende economiche e politiche della cittadinanza. Data al 1948 la sua prima mostra, nelle sale del Caffè Pedrocchi. Qui, stimolata dall’amico poeta Diego Valeri, espone una sequenza di bozzetti di scena. Sarà l’avvio di una attività sempre più intensa, con decine di mostre sempre più importanti, in sedi pubbliche e gallerie private.

Nello spazio dell’Agorà trova espressione il tema intimo e privato della cultura ebraica, che l’autrice rielabora attraverso formule narrative di grande originalità, caratterizzate da enormi rotoli di carta – alcuni lunghi fino a quattro metri – animati da episodi e personaggi di derivazione biblica.

Si tratta di lavori inediti, dal tono fiabesco e ironico, mai precedentemente esposti, se si considera il carattere familiare e domestico per il quale furono concepiti. Contestualmente, i ballatoi intorno all’Agorà danno voce a scenari di derivazione ambientale, con soggetti riconducibili a elementi naturali e urbani, tra cui – in primis – le innumerevoli vedute di Prato della Valle, abitato da alberi e palazzi che virano dal dettaglio naturalistico alla sintesi astratta.

Silvana Weiller nel suo percorso d’artista ha attraversato diversi momenti, dagli anni della ricerca figurativa a quelli di una pittura informale e materica sempre con la semplicità che la contraddistingueva: “è come respirare, è un fatto naturale, scrivo e dipingo”. Un fatto che però pur vissuto come una parte del proprio essere, non era semplice. In un’intervista spiegava: “La pittura diventa una conquista: è ingresso faticoso in un mondo diverso, il mondo della forma, là dove il contorno si precisa e si confonde giocando con elementi nuovi, là dove realizzare una forma comporta una catena di rapporti diversi, legati alla realtà, confusi con la realtà”. Nelle parole dell’artista ci sono il pudore e la forza di una creatività che non può permettersi un momento di sosta nel pensiero e nell’atto, e che ci porta a riscoprire le sue opere più celate. Sarà il modo per conoscerla e riconoscerla nella sua più intima e autentica ispirazione.