Da una parte il realismo di Jean-François Millet e dall’altra il surrealismo di Salvador Dalì. Due correnti artistiche lontane e ben distinte, ma che trovano il modo di coniugarsi nell’opera Il mito tragico dell’Angelus di Millet scritta da Salvador Dalì.
L'Angelus fu realizzato da Millet tra il 1858 e il 1859, opera simbolo del realismo, in cui (nonostante il titolo richiami un significato religioso) l’artista ritrae un momento di riposo della vita agreste, rimembrando l’infanzia trascorsa in Normandia.
Dalì vide per la prima volta una copia dell’opera nella sua scuola elementare e ne rimase talmente affascinato da farne un’ossessione negli anni a venire. Punto focale della teoria di Dalì è un dettaglio ben preciso: la cesta di verdure al centro del dipinto. Secondo il surrealista, infatti, la cesta di verdure su cui vegliano i contadini ha lo scopo di coprire la bara di un bambino.
Tra il 1932 e il 1935, Salvador Dalì scrisse l’opera Il mito tragico dell’Angelus di Millet in cui racconta:
Nel giugno 1932 si presenta d'improvviso al mio spirito, senza che alcun ricordo recente né associazione cosciente possa darne un'immediata spiegazione, l'immagine dell'Angelus di Millet. Tale immagine costituisce una rappresentazione visiva nettissima e a colori. È pressoché istantanea e non dà seguito ad altre immagini. Ne sono grandemente impressionato, grandemente turbato, poiché, nonostante che nella mia visione di tale immagine tutto "corrisponda" esattamente alle riproduzioni del quadro da me conosciute, essa "mi appare" nondimeno assolutamente modificata e carica di una tale intenzionalità latente che l''Angelus di Millet diventa "d'improvviso" per me l'opera pittorica più inquietante, più enigmatica, più densa, più ricca di pensieri inconsci che sia mai esistita.
Questa visione gli provocò uno stato di delirio e disagio e fu seguita da altri fenomeni deliranti che lo portarono ad esasperare la sua ossessione. Nell'analizzare i fenomeni deliranti Dalì ricollega gli episodi a eventi che hanno segnato la sua vita dall'infanzia all'età adulta, affrontando temi come hobby infantili, sessualità e rapporto con la madre.
L’opera di Millet, emblema del realismo, della semplicità e della purezza del mondo rurale, per Dalì assume una connotazione drammatica e macabra in cui la donna ritratta, non è altro che l’iconologia di una mantide religiosa incestuosa e cannibale. Dall’altra parte, l’uomo ritratto rappresenterebbe il figlio destinato a morire assalito dalla madre. L’analisi di Dalì ci regala sicuramente una lettura molto forte del dipinto, sintomo di un trauma infantile legato alla figura della madre e al suo rapporto con la sessualità.
A questa frustrazione psicoanalitica, si ricollega uno degli episodi di delirio raccontati nell’opera del pittore: l’immersione di un quadro in un cubo di latte. All’origine di questa fantasia ci sarebbero dei ricordi riconducibili a fatti realmente accaduti: un divieto della madre, rivolto all'artista quand'era bambino, di avvicinarsi a una pianta che emanava latte e, sempre nello stesso periodo, la raccomandazione di alcuni compagni di scuola di non strofinarsi il pene sulla pianta, perché l'organo sessuale si sarebbe ingrossato fino a causare la morte del suo possessore. Questo trauma infantile avrebbe condotto Dalì a provare terrore per l'atto sessuale in quanto portatore di morte, e a condurlo all'impotenza nell'età adulta, aggravata dal complesso di castrazione.
Ancora ossessionato da ciò che nascondeva in origine L’Angelus di Millet, Dalì, nel 1963, chiese al Louvre di analizzare il dipinto con i raggi X. Dall’analisi emerse la presenza di un parallelepipedo e per Dalì fu la prova schiacciante della veridicità della sua teoria, mentre per altri critici la figura geometrica testimoniava semplicemente l’esistenza di un disegno preparatorio.
L’ossessione dell’artista catalano per l’opera di Millet portò anche ad una intensa attività artistica ispirata a L’Angelus.
Nel 1933 Dalì dipinse Gala e l'Angelus di Millet precedente l'arrivo imminente degli anamorfosi conici, in cui sopra una porta d’ ingresso l’artista rappresenta una copia dell’opera del pittore francese. Nel 1934 in Atavismo del crepuscolo propone una rivisitazione più introspettiva dei contadini e pochi anni dopo ne rappresenterà una seconda versione in Reminescenza archeologica dell'Angelus di Millet. Trent’anni dopo, Dalì dipinse nuovamente i contadini di Millet nell’opera monumentale Stazione ferroviaria di Perpignan, anche quest’ultima frutto di un epifania dell’artista:
Si è scoperto che l'universo, essendo una delle cose più limitate di tutto ciò che esiste, nella sua struttura, osservando tutte le proporzioni, è esattamente come la stazione di Perpignan. Infatti, l'unica differenza è che al posto delle biglietterie dell'universo ci sarebbe la stessa misteriosa scultura, la cui copia scolpita nella pietra mi perseguita da diversi giorni.
L’Angelus di Millet cambiò per sempre la vita dell’artista catalano tanto da causarne: “una paura irragionevole, così lancinante che il ricordo di due sagome immobili mi ha accompagnato per molti anni, provocando la stessa sensazione di depressione e ansia”.