Troppo facile criticare l’arte contemporanea, che cosa pensate possa esprimere un mondo allo sbando? Un nuovo rinascimento? Ma no, al massimo “la tradizione del nuovo”, modo elegante (leggi: furbo) per accettare che nulla di quello che facciamo è destinato a durare. La cultura dell’”usa-e-getta”? Non sono certo che il primo termine indicato sia corretto però ci siamo capiti.
Cinquecento anni fa -strano ma vero- le cose non erano proprio così. Sono state allora concepite e realizzate opere straordinarie, ancora ammirate e studiate anche oggi. Nulla a che vedere con la fruizione televisiva, qui siamo in presenza di ARTE, non con la sola iniziale maiuscola ma con tutto magistrale.
Il Palladio, ad esempio, è l’architetto più acclamato della storia e dell’intero mondo, quanto meno di quello occidentale. Perfino il neoclassico, cioè il movimento che ritiene opportuno “ripetere” la bellezza del classico, non si riferisce più -da secoli- alle antichità greche ma alle opere di questo autore, che ovviamente quelle hanno rivisto, evidentemente superandole nell’opinione -poco importa se conscia o meno- di molti.
Pensiamo allo spigolo della Basilica palladiana a Vicenza, l’artificio con cui Palladio ha risolto l’adattamento del modulo ripetuto -non modificabile per non compromettere la bellezza- alle dimensioni del sito -immutabile per la presenza di altri edifici- dimostrando di essere il più grande. Se grandissimi studiosi hanno dedicato l’intera vita a comprenderne il pensiero, che dire di colui che l’ha generato? Geni i primi ma l’ultimo?
Se dall’architettura della metà dello scorso millennio passiamo alla pittura del periodo, cambia qualcosa? No di certo se da Palladio passiamo al Giorgione, altro genio infinito proveniente dallo stesso territorio. Al di là dell’incredibile tecnica della velatura, che rende queste opere leggendarie (tanto che ne raccontiamo anche qui cinquecento anni dopo), la composizione ha dello straordinario, anzi dell’incredibile. Anche cinque secoli dopo, in piena civiltà che si definisce dell’immagine!
Prendiamo la arcinota “pala”, tanto bella da aver influenzato molti artisti, soprattutto veneti vista la difficoltà nelle comunicazioni in quel lontano periodo. Le informazioni giunte fino a noi indicano come scopo della realizzazione la volontà del committente -Tuzio Costanzo, un condottiero della Repubblica Veneta- di ricordare il decesso del giovane figlio Matteo, avvenuta a Ravenna durante un combattimento per la Serenissima attorno al 1505.
Si tratta di un olio su tavola di pioppo, realizzato nei primi anni del Cinquecento, avente le dimensioni di circa due metri di altezza per uno e mezzo di larghezza, quindi a sviluppo verticale, conservato a Castelfranco Veneto (Treviso), nel Duomo. Queste le coordinate per arrivarci: 45.670936, 11.927346.
Non sono molto interessanti per noi fatti come la particolarità di una committenza privata, contrapposta a quella allora più diffusa, la pubblica e la religiosa, la presenza in loco di un’immagine scolpita del soggetto cui l’opera è dedicata, il fatto che il quadro venne rubato nel 1972 e ritrovato poco dopo e ancor meno se vi fu o meno il pagamento di un riscatto. Meglio riportare invece come nel 2006 è stato restaurato e riposizionato in Duomo, con un’illuminazione non comune, e come gli studiosi indichino la non originalità del volto del cavaliere in armatura, che sarebbe stato ridipinto del tutto, così come alla National Gallery di Londra è presente un’immagine del tutto analoga a questo viso.
Il soggetto che possiamo ammirare è la Madonna col bambino tra i santi Liberale e Francesco. Maria svetta su una sorta di trono su cui è seduta, è sicuramente la figura più importante, posta -infatti- nella parte superiore, ovviamente al centro della rappresentazione. Il bambino viene sorretto con un braccio ed è sereno, anzi addormentato, al contrario della madre, il cui sguardo è intensissimo. La seduta, che già abbiamo indicato come un vero e proprio trono, sovrasta un sarcofago di porfido su cui è steso lo stemma della famiglia Costanzo.
Maria però non è sola, sono presenti -come abbiamo anticipato- due ulteriori figure, maschili in questo caso. Si tratta di un paio di santi, disposti a un livello più basso: a sinistra vi è San Nicasio, a destra San Francesco, che secondo alcuni riprenderebbe l’immagine del santo dipinta da Giovanni Bellini nella Pala di San Giobbe.
Queste figure maschili sono entrambe in piedi ma differiscono tra loro in molti aspetti; uno è “vestito” con l’armatura metallica e, da buon soldato, porta il vessillo dell’ordine di appartenenza, quello di Malta, l’altro ha il saio, semplicemente il contrario, in tutto e per tutto -a parte il trovarsi lì per lo stesso motivo- del suo vicino.
Fondamentali sono anche in questo caso gli sguardi; mentre la Madonna guarda in basso, verso il sarcofago che contiene il defunto cui l’opera è dedicata, i due uomini puntano su noi osservatori del dipinto, coinvolgendoci in questa scena senza tempo.
Impossibile non guardare con la massima attenzione anche ciò che li circonda. In primis il basamento: i personaggi sacri poggiano i loro piedi su un pavimento decorato con piastrelle che formano un motivo a scacchiera. Dietro di loro è invece presente un parapetto che pare un telo srotolato e teso. Sullo sfondo, infine, è visibile un ampio paesaggio collinare in cui si riconoscono campagne, due piccole figure di soldati sulla destra e alcune rovine di un villaggio con fortezza a sinistra.
I due santi rappresentati ai lati della Vergine sono riconoscibili grazie agli attributi iconografici che indossano e che rendono ancor più ricco il testo trasformato in immagine. Il santo di sinistra è, infatti, San Nicasio, che viene identificato grazie all’insegna dei Cavalieri di Malta. A destra si trova, invece, San Francesco, che indossa il tipico saio che da lui prende il nome.
In tempi passati gli storici interpretarono la figura del Santo di sinistra come San Giorgio o San Liberale, il patrono della città di Treviso. Altri invece identificarono lo stesso come San Nicasio, forse perché venerato con Francesco in alcune città, come a Messina. Tuzio, infatti, il committente, era proprio della città siciliana. Suo fratello e un figlio erano inoltre Cavalieri appartenenti all’ordine dei Cavalieri di Malta. Gli storici però non sono ancora concordi con questa lettura storica dei personaggi.
Particolare è la posa di San Francesco, che porta la mano destra contro il petto e sembra invitare l’osservatore con un gesto dell’altra mano. Come in altri dipinti, i due santi sono rivolti verso il devoto e creano in questo modo un tramite tra loro -persone di questo mondo- ed il mondo soprannaturale, quello divino rappresentato dalla Madonna e dal Bambino. In perfetta analogia, anche l’architettura in primo piano e il paesaggio che fa da sfondo sono le rappresentazioni degli stessi due mondi: quello umano e quello celeste.
La composizione è perciò solo apparentemente semplice, come lo è l’ovvio che nasconde l’inaspettato. Giorgione, infatti, non rispettò la tradizione iconografica veneziana del tempo che “prescriveva” come dietro le figure della vergine e dei santi vi dovessero essere delle architetture a costituire lo sfondo. Le quattro figure presenti -la Madonna con il braccio il bambino al centro ed in alto, i due uomini/santi, un religioso ed un guerriero, in basso, a destra e a sinistra- sono disposte in modo da formare idealmente un triangolo. Che siano le due facce della società unite a supporto della divina maternità?
Il paesaggio in lontananza racconta a sua volta una storia, per forza di cose diversa. Alla forte presenza dei protagonisti in primo piano si contrappone, infatti -ma sarebbe più corretto parlare/scrivere di una sorta di accompagnamento e/o completamento- un paesaggio vasto, illuminato da una luce tetra, con probabile riferimento al doppio tramonto, quello solare e quello della vita, il tutto rafforzato dalla presenza di rovine e di soldati in fase di riposo. Senza alcun facile giochino, quelli cui -purtroppo- siamo abituati oggi (...), sembra esserci un chiaro riferimento alla tragica scomparsa in combattimento del figlio di colui che commissionò l’opera proprio per ricordarlo.
Si può per questo affermare di essere in presenza di un quadro basato sulla contrapposizione e sulla congiunzione: il guerriero ed il religioso, questi e la Madonna col bambino, l’interno e l’esterno. Queste rivalità finiscono per catturare lo sguardo fino a far sì che non riesca a staccarsi più dalla tela, completamente catturato da questo discorso estremamente complesso e altrettanto affascinante.
Anche il modo in cui l’opera è stata realizzata ha la sua straordinaria importanza. Giorgione viene considerato un maestro del “tonalismo”, modus operandi che -appunto- privilegiava la distinzione delle diverse zone e delle diverse figure presenti nel dipinto tramite uno specifico “tono”, evidentemente preferito al disegno, come avveniva in altre aree, quale la Toscana. Possiamo quindi riscontrare in sequenza il chiaro pavimento in primo piano cui fa seguito un insieme di sapore più scuro, e caratterizzato dalla presenza di ombre, prima assenti, per terminare con lo sfondo, quasi brillante, ricco di sfumature e toni quasi neutri.
Ri-guardiamo a questo punto con maggiore attenzione quello che possiamo vedere attorno alle figure. Siamo sicuramente in un interno, vista la pavimentazione, ma non ci sono le pareti e nemmeno la scala, necessaria per salire sul trono su cui è seduta la madonna, incredibilmente alto.
Si tratta pertanto di un edificio impossibile, con buona pace degli adepti della realtà virtuale. La domanda, infatti, rivolta a qualcuno di mente aperta (che quindi non cerca conferme alle proprie convinzioni ma ascolta, ragiona ed è aperto-disponibile ad acquisire il nuovo e pure il diverso) potrebbe essere: è più astratto quello che vediamo nella realtà virtuale, che non esiste per definizione -e che dovrebbe essere il futuro che avanza- o questo quadro, che ha rappresentato -cinquecento anni fa- in modo veritiero qualcosa che non può esistere?
Entrambi mostrano qualcosa che non c’è ma la realtà virtuale, con le solite dovute eccezioni, che non fanno che confermare la regola, “ripete” le modalità di fruizione della realtà, cui vuole assomigliare puntando all’indistinguibilità tra il vero e il suo virtuale, il quadro qui argomentato ha invece “deformato” le cose rappresentate, è visione allo stato puro, vera e propria narrazione di altissimo livello.
Vero che le tecnologie citate sono tanto recenti da non poter essere considerate mature, mentre le tecniche pittoriche già nel Cinquecento erano frutto di una storia plurisecolare. Per questo chi opera con i mezzi informatici citati è generalmente un tecnico, interessato più ad aspetti di quella che potremmo definire “rincorsa tecnologica” più che a quelli espressivi. Non è contestabile, infatti, come quando ci si è allontanati dalla semplice riproposizione del noto si è quasi sempre tentato di spingere la tecnologia più in avanti possibile, ottenendo risultati casuali o comunque caratterizzati dalla sola originalità, troppe volte fine a sé stessa, al massimo capace di stupire ma mai di raccontare qualcosa di non banale.
Un confronto di questo tipo sarebbe comunque ingeneroso, forse ci potrebbe essere partita con qualche quadro, anche di buona fattura, ma con la Pala no! È il prodotto di un genio, non c’è alcun dubbio. Ancora oggi ci interroghiamo sui misteri rappresentati, non uno ma tanti, sia dei singoli componenti che delle varie parti ma anche dell’insieme! Naturalmente, e fuor di retorica, ci chiediamo anche dove potrebbe essere arrivato Giorgione se fosse vissuto più a lungo: quali prodotti avrebbe potuto dare-donare la sua maturità alla nostra storia.
Personalmente ritengo la Pala del Giorgione semplicemente -e non credo immodestamente di sbagliare- il più bel quadro della storia dell’umanità. Vero che non posso conoscere tutta la produzione mondiale nell’intera storia dei singoli popoli, sfido però chiunque a trovare un’opera che si possa considerare migliore.
Sperando di avervi fatto venir voglia di verificare quanto scritto, chiudo suggerendo la visita. Il capolavoro si trova a Castelfranco Veneto, in provincia di Treviso, nella chiesa principale, in una cappella laterale a destra della navata principale. L’ingresso è gratuito ma possibile solo quando non vi sono funzioni religiose. L’illuminazione è sicuramente valida, molto migliore di quella che troviamo in casi analoghi.
Tutte le volte che posso, spesso facendo percorsi apparentemente illogici, se non altro per la lunghezza, torno a “trovare” questo capolavoro, come potrei non consigliarvi di farvi un regalo così bello e importante? Non sono geloso e ne condivido volentieri la profonda bellezza senza tempo.