Alle ore 20:17:40 del venti luglio 1969 l'astronauta Neil Armstrong fu il primo essere umano a mettere piede sulla Luna, la missione sulla Luna. Quel momento, accompagnato da straordinarie immagini televisive in diretta dallo spazio, non poteva lasciare indifferente, senza stuzzicarla, la fantasia di un pittore, grafico e pubblicitario come Pino Roveda. Nacque così una piccola serie di opere tra cui "Allunaggio, 1969" un olio su tela.

Un quadro ha molti compiti: la missione dell’opera d’arte è celebrare, trasmettere messaggi, significati, suscitare emozioni, far pensare chi la ammira, commissiona o colleziona. Potremmo disquisire se questi frutti vadano lasciati maturare nella fruizione diretta e spontanea oppure tramite giudizi altrui, finanche autorevoli nel caso di critici d'arte, un occhiale per interpretare la realtà. Una terza via idealmente dirimente sfrutta l'opportunità, oserei definirlo privilegio, di sentirsi commentare un dipinto dall’autore, nel suo atelier. Ed esattamente questo mi era capitato, quando Pino Roveda durante la preparazione del mio primo articolo del 2018 posizionò un quadro sul cavalletto per farmelo fotografare, in rapida sequenza assieme agli altri quadri, giusto il tempo di inquadrare e scattare.

Un quadro che, guarda caso, l'art director della rivista scelse proprio come immagine principale di testa a quell'articolo. Le poche ma incisive espressioni testuali, pronunciate dall'autore stesso e qui di seguito delegate al corsivo virgolettato, sanciscono una sorta di mandato, legittimano un lavoro di approfondimento e studio, stuzzicano anche la mia di immaginazione lasciando spazio a libere associazioni di idee che in questo articolo ricapitolo in modalità scritta. Il tutto sostenuto dalla consapevolezza che l’autore stesso non è ostacolo affinchè qualcosa di originale e di vero accada tramite la sua stessa opera.

Non ce l'aspettavamo da Pino Roveda questo sguardo profano verso il cielo, lui, avvezzo ai soggetti religiosi. E nemmeno una suggestione per Apollo 11 sparato da Cape Canaveral che più verticale e più verso l'alto non si può, lui che aveva firmato i quadri degli anni cinquanta con un logo e una sottolineatura orizzontale, lui così ben piantato per terra. Lui che rispetto al supporto cedevole della tela aveva già sperimentato quello duro e rigido della tavola da disegno nelle esercitazioni scolastiche a Brera e avrebbe prediletto quello della parete murale da affresco a partire dagli anni ’80.

Riaffiorano però alla mente altri dipinti come "Icaro", il suo desiderio negato di arruolarsi in aviazione durante la guerra nonché, rimanendo sulla terra o sul mare, le esperienze oltre confine nel campo di concentramento in Germania o varcando l'Atlantico verso il Venezuela. Persino mettere piede sulla Luna dava all’astronauta più stabilità rispetto al lancio del razzo e alle orbite che saranno state pure geostazionarie ma prive dell'appoggio gravitazionale che consideriamo irrinunciabile. E allora niente nasce per caso.

L'uomo è dunque andato sulla Luna, il fatto è accaduto realmente. L'uomo sapeva che cosa avrebbe incontrato: la Luna. La Luna non sapeva che cosa avrebbe incontrato: l'uomo. La Luna del quadro non viene astratta ma "raffigurata" appunto secondo i canoni del figurativo per giunta rinunciando ai bordi marcati, elemento ricorrente nella pittura, si potrebbe dire nella figura di Pino Roveda, un tratto caratteristico: solida impalcatura che trasmette sicurezza, ereditati qui dalla parte destra del quadro che è sì già astratta ma non ancora autonoma e dunque bisognosa di certezze. La consuetudine, quasi familiarità, di Pino Roveda con la ritrattistica giocano un ruolo nel far emergere l’aspetto umano, l’umanità. La simbologia è così forte, il cosmo assume le sembianze umane e ne acquista i connotati. Non c’è missile o tecnologia che tenga.

Se l'uomo sapeva che cosa avrebbe incontrato, la Luna no! Così si aprono ulteriori spazi di riflessione ma senza paura verso l’ignoto bensì con fiducia nel creato che rivela una sua religiosità e non è così profano come potrebbe sembrare. Questo quadro è semi-figurativo, entra in astrazione. Ecco l'uomo, l'astronauta, "la testa dell'astronauta", il suo casco. Essi sembrano invece concepiti, dipinti dalla Luna subendo di più il processo di stupore e astrazione proprio perché essa non sapeva. Sono immaginati, istintivi: sono sentimento. Sillogismo aristotelico suggerirebbe come chiave di lettura che, all’interno del quadro, il figurativo sia femmina e l'astratto sia maschio. Ma allora la Luna dopo essere stata dipinta con fattezze così umane è addirittura diventata pittore, alter ego dell’autore, meglio sarebbe pittrice avendola appena detta femmina. E lei ha dipinto l’astronauta e l’ha fatto usando i canoni dell’astrazione.

I puntini: in tale scenario è assai spontaneo, quasi semplicistico, identificarli con i pianeti del sistema solare ma l'autore, anche inconsciamente, potrebbe averli reinventati e reinterpretati come tratto autobiografico che riecheggia quei puntini dipinti dai divisionisti tra cui il pittore Beppe Zago che Pino Roveda vide all'opera da bambino nel cortile di fianco alla Chiesa Parrocchiale di San Vittore Olona dove la famiglia viveva. I puntini a sinistra sono bianchi, quelli di destra colorati. Il bianco nella fisica classica è la somma di tutti i colori ma è solo a destra che il colore si scompone, si declina e si contestualizza. Ancora i colori: il casco è cupo, l'astratto non ha ancora raggiunto la freschezza simil-impressionistica che ispirò Gianni Vianello a formulare quel quasi-neologismo di "impressionismo astratto" così calzante sullo stile di Pino Roveda. I cerchi sono invece le orbite dei pianeti. L'uomo è il mesocosmo, anello di congiunzione tra microcosmo e macrocosmo, qui tra la Terra e il Cielo.

Avamposto dell’agognato passaggio di testimone, il naso è compartecipato e compenetrato dai due personaggi protagonisti del quadro. Un trait d'union, tentazione anche sessuale, quasi outing perché il naso è il medesimo per i due ma il colore è appannaggio lunare ed è dunque quello il naso che penetra nell'altro e non viceversa. Il figurativo penetra l'astratto, il figurativo ancora preponderante fa diventare adesso la Luna maschio e l'astronauta femmina.

La bocca: veniamo al dunque. Semi-drammatico, la Luna è sorpresa, l'uomo sapeva dove andava. La Luna esprime stupore, forse sgomento tanto che nel bacio si congiungono ma non si sovrappongono e noi percepiamo quella bocca come accogliente ma non del tutto consenziente. Trasfigurata in pittura la violazione dell'illibatezza lunare neppure appare così scontata come attenderemmo se reinterpretata come invasione e penetrazione dell'astratto nel figurativo, un astratto di nuovo verginale verso disegno e figura femminile che danno (in questo momento) più sicurezza all'autore.

Quanto sopra dice che l’opera va osservata da vicino, persino con la lente d’ingrandimento, analizzando singole componenti e valorizzando ricchezza di particolari e di argomentazioni. Dice anche però che l’opera va vista da lontano, per non perderci la sintesi, il significato sublimante. Ci sentiamo affidato questo compito certi della serietà con cui Pino Roveda ha sempre ricercato il vero nel proprio lavoro e perciò consapevoli del travaglio interiore innescato dal distacco dal figurativo e dall'abbraccio dell’astratto nelle sue tanto amate sperimentazioni, il tutto rivissuto con questa tempistica personale rispetto all’astrattismo, oseremmo dire post litteram se ci è concessa liceità.

Allunaggio del 1969 è un quadro ragionato, indubbiamente e non banalmente quadro d'autore (non che la sua ritrattistica o gli altri generi fossero figli di un dio minore) collocabile in una fase critica nella maturazione artistica, confermata dall'essere, parole dell'autore stesso, assieme un po' figurativo e un po' astratto. Di questa criticità è leale espressione perché la querelle tra figurativo e astratto esordisce e subito sfuma sgonfiando ogni sterile contrapposizione di paradigmi. L’affinamento professionale del suo autore corre parallelo alla presa di coscienza che colore e luce hanno pari dignità di disegno e figura, che essi sono solo giustapposti, spunto e pretesto per calarsi dentro un contesto corrente stanando l’attualità che forse tale non è ma qualcosa di primordiale insito nel cuore dell’uomo, il compiersi dell’origine. Non una luce monocroma, i colori ci sono tutti, c’è la vita. L’autore in questo fuori e dentro letterario, divertissement, evita posizioni ben definite proprio perché la partita si gioca lì ma il bersaglio è altrove. Questa fase in effetti non si è mai conclusa.

Che cosa dice oggi questo quadro a distanza di mezzo secolo? Parla come un diario tanto che non è mai stato venduto, come un libro da leggere e rileggere, paradigma di una lunga vita dall’arte tenuta in vita, all’arte dedicata e da essa nutrita. Sublimando accadimenti apparentemente estemporanei sfiora risvolti più intimi. L'autore, padroneggiando lo strumento pittorico, riesce ad affrontare una tematica oggi cosí tanto attenzionata. Definibile fluid nel districarsi in modo biunivoco fra figurativo e astratto può darsi che lo sia stato, stavolta ante litteram, stavolta avanguardia, stavolta vero e proprio laboratorio, anche nell'avventurarsi nello scenario mutevole del rapporto tra uomo e donna, con delicatezza e sensibilità, talento e maestria, con una poetica che lo eleva a vero artista e comunicatore. Spunti di assoluto lirismo tanto più sorprendenti quando parametrati rispetto ad una condotta di vita eticamente e moralmente irreprensibile, molto famigliare, molto parrocchiale, con la barra sempre a dritta.

La missione è dunque compiuta. Allunaggio, dietro un pretesto celebrativo cela un messaggio, un significato, suscita emozioni, qualcosa di originale: è un quadro bello da guardare ma soprattutto è un quadro che fa pensare.