Il Movimento futurista ha investito ogni forma d’arte e di pensiero (Manifesto dei drammaturghi futuristi, Manifesto Tecnico La musica futurista, Manifesto della donna futurista…), sempre arroccato su un asse principale: smantellare il passato per costruire qualcosa di nuovo. Nell’ambito della pittura e della scultura, Boccioni è stato una delle figure più rappresentative del movimento, anche per la sua vita e la sua tragica morte, a soli 34 anni, per una caduta da cavallo. Tutta l’arte di Boccioni, esaltante la contemporaneità, è permeata dall’ideale che il passato deve essere messo in discussione, dal dinamismo grazie al quale portare “lo spettatore al centro del quadro” e dalla pittura che deve rendere l’opera, musica.
Il proposito di Boccioni era di trasportare i sentimenti sulla tela, componente estremamente innovativa. Conformemente al diktat esaltato nel Manifesto del futurismo (1910): “Ma noi non vogliamo più saperne, del passato, noi, giovani e forti futuristi!”1, fa piazza pulita di tutta la tradizione pittorica e scultorea, abbracciando il dinamismo in entrambe le forme d’arte.
Il cambiamento, l’innovazione, il desiderio di tuffarsi spasmodicamente nell’ignoto è perfettamente espresso nel Manifesto dei pittori futuristi (1910) dove si afferma: “[…] noi dobbiamo ispirarci ai tangibili miracoli della vita contemporanea, alla ferrea rete di velocità che avvolge la terra, ai transatlantici, alle Dreadnaught, ai voli meravigliosi che solcano i cieli, alle audacie tenebrose dei navigatori subacquei, alla lotta spasmodica per la conquista dell’ignoto”2.
Quello che i futuristi stilano nel Manifesto è un quasi Decalogo in otto punti in cui vengono esaltati al massimo grado la distruzione del “culto del passato, l’ossessione dell’antico, il pedantismo e il formalismo accademico”. E dove rivendicano la trasformazione repentina del tutto in un moto perpetuo. Ciò che dichiarano ne La pittura futurista Manifesto Tecnico (1910) non riguarda solo le arti figurative, ma anche le altre forme d’arte perché ci deve essere un’analogia, una comunione e comunicazione tra tutte.
Il movimento futurista, oltre che avanguardia artistica, fu anche un movimento politico (e come poter separare l’Arte dal contesto storico politico?) inneggiante al patriottismo, alla guerra, all’irredentismo e all’anticlericalismo. Tutte le avanguardie, e il futurismo in primis, si pongono come provocatorie e distruttrici del passato e dei suoi retaggi. Ma questa provocazione si esprime qui anche attraverso la violenza.
Il dipinto Rissa in galleria (1910) di Boccioni concentra tutto lo spirito violento del movimento, l’aggressività, “lo schiaffo, il pugno” (per usare le loro parole) nella descrizione di una folla rissosa dove l’epicentro della scena sono due donne che si azzuffano e il lancio di sassi contro i vetri del caffè da un’altra parte. La tela è particolarissima: le figure sono tutte appena abbozzate, alcune multicolori, altre ombre nere. Nessuna è definita, se non nei contorni.
Il futurismo, che annienta il passato, deve per forza rifarsi ad esso per demolirlo in ogni sua forma. Come costruire qualcosa di nuovo se non si ha il vecchio come modello e come punto di riferimento? E se è vero che l’immaginazione è senza fili, le parole in libertà, le forme e i colori non appartengono che all’Universo e sono al di fuori del tempo e dello spazio, è vero anche che in Boccioni -non solo con la poetica dei sentimenti e degli stati d’animo- alcuni motivi si aggrappano, sono fortemente ancorati alla tradizione, come la rappresentazione delle figure femminili.
L’Arte, in tutte le sue manifestazioni e di tutti i tempi e di tutti i luoghi, non può essere svincolata dalla biografia di chi la produce. Ed è il caso anche di Boccioni che ha rappresentato più volte la mamma, ricamatrice, intenta nelle sue attività quotidiane. Ne è un esempio: La madre con l’uncinetto (1907) in cui, in un impianto chiaroscurale, il focus della scena è la madre concentrata nel suo delicato lavoro. La particolarità di questo dipinto sta nella striatura molteplice che ricopre tutto ciò che circonda la donna: le pareti, il pavimento, la luce delle finestre e il tavolo da lavoro. Il tema della famiglia e, in particolare del rapporto con la madre e con la sorella, sarà in lui molto forte.
Il padre era commissario di Prefettura e ciò lo costringeva a vari spostamenti nel Regno. Nel 1897 il padre prende servizio alla Prefettura di Catania e si trasferirà qui col figlio, mentre la madre e la sorella resteranno a Padova. E così il tema della separazione e della lontananza sarà una costante della sua opera. Ma, come tutti, farà suo il dettame del “controdolore” (sorta di De l’essence du rire baudelairiano): il riso è dappertutto e, andando al di là delle cose, è necessario trovare il risibile e il deforme nella bellezza. La bellezza è ovunque.
Bellezza che viene vista anche nelle periferie, nei nuovi scenari urbani, com’è ben raffigurata - quasi come una fotografia - nella tela Officine a Porta Romana (1910) in cui Boccioni descrive ciò che vede dalla sua finestra, alle estreme diramazioni di Porta Romana a Milano: i lavori di sterramento (a cui assisteva quotidianamente) delle aiuole di piazza Trento. Questa è la dimostrazione di ciò che i futuristi sostengono strenuamente e cioè che l’Arte è dappertutto, il vero artista la trova dove gli altri vedono il nulla.
Arte che, con loro, si innova anche nei materiali e nella molteplicità di questi nelle sculture (legno, capelli, vetro…) e che contribuiscono a dare quel dinamismo tanto cercato. L’esempio più concreto del dinamismo boccioniano è probabilmente la scultura Forme uniche della continuità dello spazio (1913) per la quale lo stesso artista disse: “La mia costruzione architettonica a spirale crea [invece] davanti allo spettatore una continuità di forme che gli permette di seguire, attraverso la forma-forza che scaturisce dalla forma-reale, una nuova linea chiusa che determina il corpo nei suoi moti materiali”3.
Movimento d’avanguardia a cui inevitabilmente viene accostato il fascismo in molti punti, il futurismo ha saputo innovare in ogni campo, attraverso il ricorso ai simboli matematici o ai calligrammi (Il Palombaro di Palazzeschi) creando una fusione tra poesia, arti figurative e scienza. La matematica, così come le altre scienze, apportatrici di tecnologia e progresso sono oggetto di lode.
L’arte futurista è estremamente composita, così come lo sono le figure che l’hanno prodotta. Non fa eccezione Boccioni per il quale, nella vita e nell’Arte, è rimasto sempre qualcosa di irrisolto.
Note
1 Manifesti del Futurismo a cura di Viviana Birolli, Carte d’Artisti 104, Milano 2008, p. 15.
2 Manifesti del Futurismo a cura di Viviana Birolli, Carte d’Artisti 104, Milano 2008, p. 27.
3 Boccioni, Corriere della Sera, Rizzoli/Skira, Milano 2004, p. 136.