Fra il 1816 ed il 1819, Lord Byron fece di Venezia la sua nuova patria. Con gli esecutori inglesi alle calcagna e la moglie che chiede di dichiararlo pazzo, Byron trova nella Laguna un rifugio pronto a strizzare l’occhio ai suoi eccessi. Anima gemella decadente nella quale darsi ad ozi e scrittura, in egual misura.
Una città che lo inebria, in un connubio del quale rimangono svariate tracce epistolari recentemente raccolte ne L'amante scatenato. Lettere veneziane (1816-1819), edito da De Piante Editore e tradotto da Paola Tonussi, con una prefazione di Giuseppe Scaraffia.
La nuova raccolta ci svela un Byron sfrenato ed assetato di vita, pronto a rappresentarla sul palco veneziano e, grazie alla traduttrice Paola Tonussi, ci è possibile comprendere - ancora più a fondo - la straordinarietà di questo peculiare periodo byroniano.
Le lettere da te curate si riferiscono al periodo veneziano di Lord Byron (1816-19). Il volume è di particolare rilevanza, soprattutto se si pensa al Journal che, probabilmente, pensava di pubblicare.
In effetti un diario c’era e, a detta dello stesso Byron, arrivava fino a una certa epoca della sua vita. Purtroppo, si tratta di uno dei ‘crimini letterari’ più gravi della letteratura: il diario di Byron, questo misterioso Journal che lui pensa persino di pubblicare (ne dà notizia all’editore Murray in più luoghi dell’epistolario, anche da Venezia) dopo la sua morte viene distrutto.
La decisione che priva gli studiosi byroniani di un tesoro letterario – oltre che d’informazioni importanti sul poeta – è presa congiuntamente dallo stesso editore John Murray e dagli amici John Cam Hobhouse, Scrope Davies e Thomas Moore. Tutti loro ritengono infatti il Diario una fonte di scandalo, evidentemente per il contenuto che racconta liberamente, senza filtri, una vita vissuta a perdifiato. Quindi lo gettano alle fiamme.
Woland nel Maestro e Margherita non ha ragione: i manoscritti in realtà bruciano, eccome. Oggi, per noi, brucia anche il rammarico che a farlo sparire siano stati gli uomini che più hanno conosciuto e più sono stati vicini a Byron.
Quali sono stati gli interlocutori d’elezione delle missive veneziane?
Da Venezia Byron scrive molto, a molti, amici e conoscenti rimasti in Inghilterra: la città lo affascina, gli entra nel cuore e lui vuol parlarne. Si vuol parlare sempre di ciò che amiamo.
Una corrispondenza davvero copiosa che è un fiume in piena, ma la delizia di queste lettere sta anche nel fatto che, a seconda del destinatario, l’autore racconta cose diverse con angolazione e stile diversi, oppure racconta la stessa cosa ma cambiando i particolari.
Al suo editore le missive sono piuttosto formali, gli comunica cosa sta scrivendo, gli parla di una Venezia letteraria, ad esempio, la Venezia shakespeariana. Lo informa inoltre dei suoi progetti di scrittura e scambia molte missive parlando “d’affari”.
Agli amici John Hobhouse e Thomas Moore racconta invece della vita veneziana, delle feste e delle donne che incontra e con cui intreccia molteplici relazioni d’amore: Marianna, Margherita e molte altre - nomi che si sono perduti nella nebbia della laguna - finché incontra Teresa Gamba, “la mia ultima passione”. Dopo averla conosciuta, anche con Moore e Hobhouse le sue lettere saranno ‘piene’ di Teresa, dei loro reciproci spostamenti per vedersi, della villa sul Terraglio dove i due trascorrono molti mesi in villeggiatura.
C’è poi la sorellastra Augusta, quasi una sorta di suo alter ego femminile. Lei è l’unica con cui Byron si lascia andare davvero: cade per qualche istante il ruolo del viveur che assapora la vita veneziana con ogni respiro e s’intravede in controluce l’uomo con le sue malinconie e i dubbi, i rimpianti, il velo di timore per il futuro. Con, in più, la consapevolezza preziosa di potersi concedere un lusso: abbandonarsi alla sincerità. Quello che scrive ad Augusta è un altro Byron: meno eclatante, più privato e spontaneo.
Pensi che Byron abbia avuto un rapporto diverso con l’Italia, se paragonato ai suoi contemporanei? Penso a Percy e Mary Shelley, in particolare.
Byron ama molto l’Italia: Venezia la conosce bene ancora prima di arrivarci grazie alle fonti letterarie e ai sempre più popolari racconti di viaggio che ha letto a casa. Lo dice con chiarezza: “Venezia è sempre stata l’isola più verde della mia immaginazione” e aggiunge che Venezia, o il mito letterario di Venezia, non si è appannato al contatto con la vera Venezia, la città di campi, campielli e canali in cui è venuto a vivere.
Nella città lagunare Byron trova uno scenario meraviglioso che si addice alla perfezione alla sua personalità grandiosa, un fondale quasi irreale, com’è Venezia, sospesa tra acqua e cielo, un sogno ad occhi aperti in cui lui si perde, beatamente, per anni.
La città soddisfa in pieno la sua passione per il mistero e lo sfarzo: basti pensare che a un certo punto prende in affitto palazzo Mocenigo sul Canal Grande, dove ospita una vera e propria tribù animale oltre che una piccola comunità di domestici, a partire dal fedele maggiordomo e factotum Fletcher.
Lo attrae proprio l’essenza magica della città, queste quinte quasi teatrali e la poesia straziante e nostalgica delle sue pietre e dei suoi vetri, del vento di laguna che arriccia i canali e dei tramonti tiepoleschi dei suoi cieli: anche Byron, come dirà Brodskij dopo più di un secolo, insegue “l’infinito nell’ultimo lampione” veneziano.
Forse per gli Shelley il contatto e l’esperienza con l’Italia sono stati un poco diversi: in Julian e Maddalo Shelley – che racconta proprio di Byron e di sé al Lido - chiama l’Italia “paradiso degli esuli”.
E in Italia Percy e Mary arrivano come a una casa che li accoglie, hanno verso il nostro Paese un rapporto di profonda riconoscenza ma l’adesione estetica è meno folgorante che in Byron. Più meditata, più nostalgica, meno fastosa.
D’altronde, la stessa personalità di Shelley – così come quella di Mary - sono molto diverse dall’appassionato furore byroniano.
La libertà e Venezia sono elementi fortemente concatenati in queste missive. Al di là del risvolto erotico, cosa pensi abbia scaturito in Byron l’amore irresistibile per la Laguna?
Proprio questa libertà, di costumi e di idee: quando Byron arriva in laguna nel novembre 1816 Venezia è ancora uno dei centri culturali più importanti d’Europa, e vi si ritrovano artisti e intellettuali del mondo, l’atmosfera è cosmopolita.
Venezia è, da sempre, una sorta di magnete. La vita può essere molto dolce in una città cullata dalle onde della laguna, che si sveglia ogni giorno fasciata da foschie bianche o azzurri limpidissimi, dove la notte avvolge edifici e campi più profondamente che sulla terra ferma e l’acqua attutisce i rumori.
Nei palazzi si fanno incontri, si stringono amicizie. Il poeta trova un habitat ideale e infatti scrive moltissimo, Childe Harold, Beppo, una quantità sfrenata di missive, inizia Don Juan e altro.
E vive non fermandosi mai: passa da un amore a un altro. Va a cavalcare al Lido. S’immerge felice nel Carnevale, con le sue feste e i suoi eccessi. Ogni mattina prende lezioni d’italiano, vuol imparare anche il dialetto. Queste lettere sono una dovizia di racconti sulla sua vita veneziana, con episodi anche molto divertenti.
Dopo la biografia di Emily Brontë e l’epistolario di Byron, cosa ci riserverà la tua penna?
Dopo Brontë e Byron, che d’altronde sono strettamente legati perché Emily conosceva a memoria l’opera del grande Lord, sta uscendo per Ares, Milano, uno studio su un altro autore che amo molto e ho citato sopra: Josif Brosdkij. Un altro, l’ennesimo innamorato dell’Italia e di Venezia.