825 telegrammi, spesso di difficile lettura e senza punteggiatura…

Un telegramma è una cosa viva è il libro che, concretamente, chiude il cerchio aperto dieci anni fa con la pubblicazione di Come il mio mare io ti parlo, dedicato al complesso carteggio di Eleonora Duse e Gabriele d’Annunzio. Volumi al centro della nostra intervista con l’autrice, pronta a illustrarci le tante sfaccettature di un’attrice unica.

Dopo la pubblicazione di Come il mare io ti parlo (Bompiani 2014), qual è stata la genesi di Un telegramma è una cosa viva (Ianieri, 2024)?

Avevo già iniziato lo studio dei telegrammi quando mi trovavo al Vittoriale a lavorare sul carteggio d’Annunzio – Duse e li avevo inseriti all’interno del mio lavoro, cronologicamente, rapportandoli alle lettere.

Tuttavia, vagliando la prima bozza, Bompiani decise di non pubblicare i telegrammi, perché li considerava un apparato troppo pesante, tenendo anche conto di tutte le note ed i commenti che lo avrebbero accompagnato. Per questo motivo, ho dovuto toglierli e rivedere il tutto, affrontando un lavoro molto complesso.

Logicamente, però, dopo averli “assaporati”, mi premeva completare il mio studio, sentendo il dovere di pubblicarli e quest’anno, in occasione del centenario dusiano, mi è parso un momento particolarmente consono.

Nel riguardarli, però, mi sono accorta di spazi vuoti, date che non coincidevano o interi telegrammi mancanti, per questo motivo ho interpellato gli archivi del Vittoriale per avere la scansione dei telegrammi in toto, ritrovandomi con 825 messaggi, contro i circa 400 che avevo studiato in precedenza. Chiaramente, ho dovuto riprendere il mio lavoro da capo, partendo dal primo invio datato 17 gennaio 1896.

Il telegramma, infatti, è un metodo di comunicazione che Gabriele d’Annunzio ed Eleonora Duse non utilizzano immediatamente, ma dopo due anni dal loro primo incontro, perché è una forma più matura e snella di contatto.

In fase di stesura, cosa l’ha maggiormente sorpresa a proposito dei telegrammi, specialmente se comparati alle lettere?

Mi ha molto colpita constatare quanto i telegrammi siano sinonimo di un’esigenza, un bisogno concreto di Eleonora Duse di sentire la presenza di d’Annunzio, il suo cuore e i suoi sentimenti, con un’urgenza diversa rispetto a quanto potesse fare attraverso una lettera. In questi brevi messaggi, il desiderio di sentire l’altro si fa più urgente, rispetto alle missive in cui parla prettamente di sé.

Per restituire un testo organico, spesso ho cercato (e trovato) spiegazioni in altri carteggi, nei diari di Teresa Sormani, moglie di Luigi Rasi (factotum della compagnia teatrale dell’attrice) e nel materiale stampa, scritti che si sono rivelati molto utili per estrapolare materiale a proposito dei vari spettacoli.

In questo modo, possiamo rivivere le tournée attimo per attimo, utilizzando i telegrammi come chiarimenti, là dove le lettere tendono a condensare diversi momenti di vita; ecco perché il volume va visto come un insieme organico con l’altro libro e non si può leggere l’uno senza l’altro. Un lavoro che ci racconta minuto per minuto la vita di questa donna e i tanti errori di valutazione fatti, sia nei suoi confronti sia a proposito della relazione con d’Annunzio.

La sua lunga carriera attoriale è utile come mezzo per addentrarsi più in profondità nella vita della “Divina”?

Senza dubbio, è una grande occasione per leggere e immedesimarmi nell’animo di una persona e cercare di restituirla al pubblico. Io porto sulla scena tutto il carico di emozioni che il suo mondo mi ha trasmesso nel tempo e che ora possiedo. Bagaglio che è un valore aggiunto alla mia interpretazione e che mi aiuta nella preparazione attoriale.

La scrittura di Eleonora Duse è teatrale e fa capo alle leggi del suono e del respiro, evidenziando le difficoltà che questa donna aveva, rispetto alla parola scritta (inchiodata sulla carta), poiché un’attrice vive di oralità e deve entrare nel personaggio cercando sfumature e intenzioni dentro di sé e non è un processo facile. Io ho cercato di dare alle sue parole la forza dovuta, visto che lei le usava con precisione e cautela, tant’è che queste pagine sono da considerarsi come tavole di palcoscenico, dove lei inscena uno spettacolo per l’unica persona che vorrebbe al proprio cospetto: d’Annunzio.

Non a caso, le sue parole sono spesso isolate o tra virgolette, tra parentesi… proprio come nei copioni, alcune scritte più grandi, in modo da evidenziarle anche visivamente.

Il mio essere attrice, dopo aver interiorizzato i mondi dusiani, ha provocato una crescita. Non a caso gli attori di palcoscenico sono sempre in scena, a qualsiasi età, e più sono adulti e più sono intensi per via del maggiore bagaglio all’interno del quale possono scavare per trovare una determinata intenzione.

Cosa auspica venga fatto per onorare la figura della Duse, in futuro?

Ritengo si debba fare di più per questa donna e più la analizzo più me ne rendo conto.

Mi farebbe piacere continuare a parlarne al grande pubblico per farlo innamorare di una persona straordinaria che ha portato in alto il nostro nome nel mondo, poiché si dovrebbe sempre esserle riconoscenti per un teatro così onesto, puro e vero.

Bibliografia

  • Franca Minnucci, Come il mare io ti parlo. Gabriele d’Annunzio/Eleonora Duse. Lettere 1894 – 1923, Milano, Bompiani, 2014

  • Franca Minnucci, Un telegramma è una cosa viva. Telegrammi inediti della Duse a d’Annunzio (1896-1923), Pescara, Ianieri, 2024

  • Piero Nardi, Carteggio D'Annunzio-Duse: superstiti missive, lettere, cartoline, telegrammi, dediche (1898-1923), Firenze, Le Monnier, 1975

  • Maria Pia Pagani, I telegrammi di Eleonora Duse, Atti del Convegno Internazionale di Studi La forma breve (Torino, 7-9 aprile 2014), a cura di D. Borgogni, G. Caprettini e C. Vaglio Marengo, Torino, Accademia University Press, 2016, pp. 234-243

  • Valentina Valentini, Il poema visibile. Le prime messe in scena delle tragedie di Gabriele d'Annunzio, Roma, Bulzoni, 1993