Giano bifronte, che l'anno cominci scorrente silenzioso, solo tra i numi vedi dietro.

Così Ovidio invocava il dio romano di tutti gli inizi e il Capodanno è proprio l’inizio di un nuovo anno.

Fino a qualche secolo fa la data del Capodanno in Italia variava da città a città, in Sicilia fino al 1500 convivevano le date fiorentine del 25 marzo e del 25 dicembre, a Venezia era celebrato il 1 marzo, a Bari il 1 settembre poiché seguiva lo stile bizantino.

Nella Roma antica il Capodanno coincideva con il 1° gennaio, come testimonia Ovidio nei Fasti immaginando l’apparizione del dio bifronte Giano; infatti gennaio, dal latino Ianuarius, era dedicato a Ianus, il dio che guarda indietro e avanti, alla fine dell’anno trascorso e all’inizio del prossimo.

Ianus, nome formato da ya di derivazione indoeuropea e ianua che significa porta, era il dio che presiedeva agli inizi, alle soglie, al passaggio temporale tra la pace e la guerra, era considerato l’Iniziatore e veniva raffigurato con due volti, uno vecchio e barbuto, l’altro giovane.

Ovidio scrive, ancora nei Fasti, cosa disse il dio quando gli apparve:

Io solo custodisco il vasto universo e il diritto di volgerlo è tutto in mio potere.

Il giorno di Capodanno gli antichi Romani si riunivano per pranzare con gli amici, scambiandosi dei vasi con miele, datteri e fichi, accompagnandoli con dei ramoscelli di alloro chiamati strenae, quelle che oggi chiamiamo strenne, come augurio di fortuna e gioia nel periodo natalizio. Le strenae si chiamano così perché i rami di alloro venivano staccati in un boschetto consacrato a una dea di origine sabina, Strenia, apportatrice di fortuna e felicità.

Ancor oggi a Napoli si regalano fichi secchi avvolti nelle foglie di alloro.

I rami di alloro simboleggiano l’Albero Cosmico che dona al cosmo la sua energia per il rinnovamento dell'anno, così i Romani li offrivano ai loro cari come portafortuna.

La notte di Capodanno, a mezzanotte in punto, si odono ovunque incessanti scoppi di fuochi d’artificio, di tappi di spumante, usanze connesse al simbolismo solstiziale, alla rinascita del nuovo Sole-Anno.

Il tremendo baccano e il lancio dei mobili e stoviglie vecchie dalla finestra, ancor oggi in uso seppur limitato, sono simboli dell’espulsione di tutti gli aspetti negativi del vecchio anno, un modo per esorcizzare anche l’influsso malefico degli spiriti maligni.

Ma il primo dell’anno è anche il giorno delle pratiche divinatorie delle ‘dodici notti’ natalizie, almeno lo era fino a qualche decennio fa, poiché è il periodo della rinascita che contiene in sé il seme del futuro dell’anno nuovo.

Ovviamente durante il medioevo la Chiesa tentò di contrastare queste usanze sostituendole con altre feste ma non riuscì ad estirpare l’atmosfera sfrenata e orgiastica della notte di San Silvestro.

Il lungo pontificato di San Silvestro si svolse dal 314 al 335 e fu molto importante poiché seguì l'Editto di Milano con il quale l'Impero accettava la religione cristiana. Si suppose che Silvestro avesse battezzato Costantino ponendo così fine all’era pagana, aprendo la porta a quella cristiana, ma non ci sono fonti certe. Certo è che San Silvestro viene festeggiato il 31 dicembre con la funzione di un Giano cristiano e lo stesso Giano nel medioevo fu interpretato come un'anticipazione profetica del Cristo. Infatti nel Vangelo di Giovanni il Cristo dice:

Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo, entrerà e uscirà, e troverà pascolo. Una leggenda narra che San Silvestro liberò un paese del rietino da un drago che viveva in una caverna cui si accedeva attraverso 365 scalini, tanti quanti i giorni dell'anno. È facile dedurre che quel drago era il paganesimo e i 365 gradini l’anno consacrato da Silvestro al Signore.

La Chiesa quindi istituì, tra il 31 dicembre e il 1° gennaio, la Solennità della Madre di Dio e la Circoncisione di Gesù, sostituendo così sia Giano che Giunone, la Regina celeste dei Romani. Giunone, simboleggiata dalla luna nuova, era la sovrana delle Calende di ogni mese, lo stesso Giano veniva appellato Ianus Iunonius.

Nella tradizione ebraica la circoncisione è il sacramento che sancisce sia l'alleanza fra Dio e il suo popolo che la fedeltà del popolo a Dio, ma simboleggia anche l’entrata in una nuova fase della vita.

La circoncisione di Gesù, secondo Luca (2,21), avvenne 8 giorni dopo la nascita e durante la cerimonia venne imposto al Bambino il nome di Gesù - in ebraico Yeshua, dalla forma ridotta di Ye'hoshua - «Dio salva», com'era stato chiamato dall'angelo all'Annunciazione.

Nel cenone di Capodanno non possono mancare le lenticchie che propiziano l’abbondanza economica, ma si narra che gli ebrei usavano mangiarle quando erano in lutto, ricordando Esaù che per un piatto di lenticchie perse la primogenitura. Ancora anticamente le lenticchie ed anche le fave erano vietate nelle ricorrenze poiché erano collegate all’eterno ciclo di morte e rinascita, addirittura Artemidoro affermava che sognarle era presagio di lutto imminente.

Certo è che in quella notte magica ognuno di noi guarda indietro all’anno trascorso, alle vicissitudini, dolori e gioie, mentre con l’altro volto di Giano guarda al futuro, al campo delle infinite possibilità di cui poco ci è dato sapere ma che dipende dal nostro intento, dalle nostre scelte e dal modo in cui affrontiamo gli eventi. E allora si mettono in atto svariati riti scaramantici, indossare biancheria intima rossa o baciarsi sotto il vischio o ancora, come in Spagna, mangiare dodici chicchi d’uva così come sono i dodici rintocchi dell’orologio della Puerta del Sol di Madrid.

I botti, i fuochi, il baccano sono strumenti per scacciare il male, ma il vero e profondo esorcismo del male è riconoscerlo in se stessi, nella propria zona d’ombra. Esso è forte perché noi siamo deboli, lo siamo perché non lo conosciamo, non lo conosciamo perché abbiamo paura di scoprire noi stessi e per questo motivo il male agisce indisturbato nell’ombra. Conoscere se stessi è l’unica via per la liberazione ed è una via di amore totale. Con l’augurio di un buon anno concludo con una poesia di Jorge Luis Borges:

Né la minuzia simbolica
di sostituire un tre con un due
né quella metafora inutile
che convoca un attimo che muore e un altro che sorge
né il compimento di un processo astronomico
sconcertano e scavano
l’altopiano di questa notte
e ci obbligano ad attendere
i dodici e irreparabili rintocchi.
La causa vera
è il sospetto generale e confuso
dell’enigma del Tempo;
è lo stupore davanti al miracolo
che malgrado gli infiniti azzardi,
che malgrado siamo
le gocce del fiume di Eraclito,
perduri qualcosa in noi:
immobile.