L’uomo non è solamente individuo: è persona, cioè un centro di relazioni che si estendono fino ai limiti raggiungibili della sua anima. (…) Sebbene tutto sia relazionato con tutto, è altrettanto vero che ogni parte di questo tutto è differente, così come tutti gli uomini sono diversi tra loro. Ciascuno è una persona, cioè un nodo unico nella rete di relazioni che costituisce la realtà. Quando questo nodo spezza i fili che lo uniscono agli altri nodi, quando le tensioni si sono fatte così tese che non consentono più la libertà costitutiva dell’inter-in-dipendenza tra nodo e nodo e, in ultima istanza, con la realtà, ecco nascere l’individualismo, che perturba l’armonia e porta alla morte della persona, facendole perdere la sua identità che è solo relazionale.
(Raimon Panikkar, Pace e interculturalità. Una riflessione filosofica, Jaca Book, 2006, p. 11)
Spesso il concetto di interdipendenza viene considerato con un certo fastidio: si preferisce pensare e parlare di indipendenza, che mette in rilievo come ciascuno sia libero dall’altro, piuttosto che di interdipendenza, che sottolinea come ciascuno dipenda dall’altro nelle proprie decisioni e nelle proprie azioni.
Ultimamente, un nuovo termine che ricorre spesso in alternativa sia a indipendenza che a interdipendenza è “interindipendenza”, richiamandosi agli scritti di un grande pensatore e teologo, Raimon Panikkar, morto poco più di dieci anni fa.
Secondo Raimon Panikkar, tutta la realtà ha una struttura trinitaria nella quale ogni aspetto è relazionato intimamente: “L’intuizione principale è la seguente: l’intera realtà è costituita da una specie di Trinità che si tiene assieme attraverso reciproche relazioni”1. I concetti che egli introduce attraverso il suo pensiero sono quasi sempre espressi sotto forma di una triade armonica, a partire proprio dal cosmo, che egli definisce appunto come cosmoteandrico, costituito da Cosmos-Theos-Antropos, ovvero Cosmo, Dio, Uomo. Panikkar riconosce che una certa trinità è un’invariante umana e che in quasi tutte le tradizioni umane la realtà è una e, nello stesso tempo, trinitaria.
Raimon Panikkar ha cercato, potremmo dire in tutta la sua vita e in tutto il suo pensiero, di superare la gabbia del dualismo, rifiutando la dialettica tra gli opposti e la sintesi che potrebbe conseguirne. Rispetto ad una visione antagonista della realtà, che tende a semplificarla riducendola ai suoi opposti inconciliabili, egli propone la presenza di un terzo elemento che rende dinamica e trasformativa la relazione oppositiva, rimettendola – per così dire – in gioco.
Nella sua visione, Panikkar non ‘annacqua’ gli opposti: piuttosto li rafforza, dando valore alla diversità e alla unicità di ogni parte della realtà. Tuttavia, la presenza di un terzo elemento trasforma l’opposizione “o – o” in un processo circolare e costitutivo della realtà, divenendo un “e – e”. Il terzo aspetto della realtà che egli introduce in tutto il suo pensiero non rappresenta una sintesi degli opposti. È invece qualcosa che va oltre i due antagonismi rendendoli armonici, in una visione pluralistica del mondo che abitiamo. Sia il monismo – un’unica verità, un’unica realtà, un unico modo giusto di fare le cose, un’unica soluzione ottimale a un problema – sia il dualismo – con due forze contrapposte, l’uomo e la donna, il ricco e il povero, il buono e il cattivo – sono forzature di una realtà che continua invece a essere polimorfa, sfuggendo dalle nostre semplificazioni e razionalizzazioni che vorrebbero standardizzarla ed omogenizzarla. Certamente più facile da comprendere e da digerire, ma non sufficiente per avvicinarsi a una saggezza in grado di abbracciare la realtà nelle sue diverse forme. Come egli afferma, “a livello filosofico dobbiamo superare il monismo (potere mondiale, verità per tutti, soluzione unica…) e il dualismo (due campi, due blocchi, due mondi…) e aprirci alla visione trinitaria o a-dualista della realtà stessa”.2
L’introduzione di una terza dimensione della realtà la rende una “Totalità trinitaria”3: la relazione tra le tre dimensioni non è più dualistica, e la realtà mostra la sua natura cosmoteandrica, in cui tutto è relazionato con tutto non in una relazione gerarchica, ma reciprocamente costitutiva. Le tre dimensioni sono dimensioni relazionali che permettono alla realtà di costituirsi nel modo in cui la intendiamo.
Egli definisce le tre dimensioni della cosmoteandria come “inter-in-dipendenti” per sottolineare la compresenza di tre dimensioni di una stessa realtà. Ne sottolinea così l’aspetto costitutivo anziché causale: non è l’indipendenza e l’autonomia che ci definisce, così come non lo è la dipendenza e l’eteronomia. Piuttosto, è, contemporaneamente, l’essere con, l’essere in, e l’essere attraverso che ci costituisce e ci rende umani, attraverso questa triplice modalità relazionale.
Egli introduce così il neologismo “inter-in-dipendenza” per risolvere il dilemma oppositivo tra l’indipendenza e la dipendenza, così come introduce la parola “ontonomia” per superare la facile trappola della dicotomia tra l’autonomia e l’eteronomia, rifiutandole entrambe. Si tratta così di escludere sia l’indipendenza separata – l’autonomia - sia il predominio di alcuni elementi su altri – l’eteronomia - per pervenire ed una armoniosa integrazione delle diverse parti nel tutto, l’ontonomia appunto.
“L'ontonomia si fonda sul presupposto che l'universo è un tutto, che esiste una relazione interna e costitutiva tra tutte e ciascuna delle cose della realtà, che niente è scollegato”.4 L'ontonomia è il punto da cui emerge l'inter-in-dipendenza di ogni elemento con ogni altro, in una concezione che cerca, anche attraverso l’introduzione di nuove parole, di avvicinarci a una realtà che è costitutivamente multipla, plurale, non separata né separabile.
Non c’è pertanto prima l’indipendenza né la dipendenza, ma un circolo trinitario costituito da tre parole: inter-in-dipendenza, che non possono, e non devono, trasformarsi né in una duplice parola, inter-indipendenza, né in un’unica parola, interindipendenza. Un uso diverso del neologismo creato da Raimon Panikkar ne tradirebbe lo spirito da cui tale parola è emersa.
Se accettassimo infatti l’uso di questa nuova parola sotto la sua forma unica o duplice, renderemmo comunque il termine indipendenza il baricentro del nostro pensiero e del nostro essere nel mondo, e il prefisso ‘inter’ sottolineerebbe la necessità di riferirci agli altri per soddisfare il nostro bisogno di indipendenza, di autonomia, di libertà. Con un concetto di interindipendenza semplificante della relazione trinitaria, il rischio è che, ancora una volta, si sottolinei il concetto di indipendenza, autonomia e separazione di ciascun nodo dall’altro all’interno della rete di connessioni in cui si è, comunque, inseriti: all’occorrenza, si possono trovare dei momenti di contatto, e, perché no, di scambio. Purché i principi di separazione, di autonomia e di libertà individuale possano rimanere dominanti.
Ritornando così, ancora una volta, all’individuo – monade isolata e isolante - e dimenticando la persona, che è tale solo attraverso la relazione che la rende inter-in-dipendente, costituendola nell’essere con, nell’essere in, nell’essere attraverso l’altro.
Note
1 Raimon Panikkar, Opera Omnia VIII, Visione Trinitaria e Cosmoteandrica: Dio-Uomo-Cosmo, Jaca Book, p. 158.
2 Raimon Panikkar, Ecosofia: la nuova saggezza per una spiritualità della terra, Cittadella Editrice, 2001, p. 102.
3 Ibidem, p. 155.
4 Raimon Panikkar, Opera Omnia VIII, Visione Trinitaria e Cosmoteandrica: Dio-Uomo-Cosmo, Jaca Book, p. 388.