Assicurarsi un complice eccellente prima di lanciarsi nell’impresa. Patrizia Menichelli ha puntato su Rainer Maria Rilke:
Se la vostra vita quotidiana vi sembra povera, non l'accusate; accusate voi stesso che non siete assai poeta da evocarne la ricchezza; ché per un creatore non esiste povertà né luoghi poveri e indifferenti.
L’artista fiorentina, per molti anni impegnata a Barcellona con il Teatro de los Sentidos (compagnia fondata dall’antropologo e regista colombiano Enrique Vargas che investiga sul linguaggio e la poetica dei sensi) ci spera: “Se rieduchiamo l’arte del guardare e del riascoltare forse la nostra realtà si popola di poesia”.
E così, per qualche settimana, ha allestito a Firenze un progetto di teatro poetico intimo itinerante intitolato Rumori di passi sul Con-Fine d’acqua. Esperienze poetiche quotidiane al margine, scritto con Giovanna Pezzullo.
Ci siamo andati, una domenica mattina d’autunno celeste e ventosa, ma vi risparmiamo il racconto dell’avventura sul limitare: sarebbe dispettoso sciupare la sorpresa nel caso un giorno ci andaste voi.
Solo qualche cenno.
Si trascorre un’ora e mezzo con una decina di sconosciuti che, essendo lì, denotano una propensione alla scoperta e alla condivisione, di conseguenza dimostrano subito una certa apertura verso l’estraneo, non quell’arroccamento dell’iniziato che è infastidito da chi gli scippa l’esclusiva della raffinatezza.
Partenza dall’argine dell’Arno di Ponte della Vittoria, arrivo al Lungarno Americo Vespucci. Patrizia Menichelli è il lume, circondata da una specie di aura di velluto, tanto che il gasometro di via dell’Anconella non ti appare una costruzione ottocentesca, roba da archeologia industriale come avevi sempre creduto, ma una macchina del tempo per viaggiare dove ti va. Lungo il tragitto spuntano lettere sull’amore, carte da gioco, un diario piccolissimo sul quale appuntare pensieri per la durata di una canzone.
Ricorda la Menichelli, il cui velluto di sguardo e voce non addormenta la coscienza bensì ne sollecita il risveglio: “Al principio della ricerca, durante le prove, mi sono chiesta: chi sono io nel percorso? Ad affiorare subito è stata la parola dialogatrice. Per dialogare con i segreti del quotidiano, con l’altro, con il vuoto, con le parole perdute. Il dialogo ci mette in una situazione di intimità e di ascolto.
Come è nato Rumori di passi sul Con-Fine d’acqua. Esperienze poetiche quotidiane al margine? C’è stato un lampo generatore o un lento avvicinamento?
Prima di parlare con te ho preso un quadernino che mi ha accompagnato negli ultimi sette, otto mesi dedicati al progetto. Ho quaderni dedicati ai progetti così ne vedo lo sviluppo. Da tanto mi interrogavo su varie cose. Una era l’idea di riuscire a creare un’esperienza dove stavo da sola con il pubblico. Mi sembrava interessante da sperimentare perché in scena sono sempre stata parte di un gruppo di lavoro. Poi volevo fare un qualcosa dedicato alla città perché sull’abitare, sulle nuove visioni urbane, mi sono confrontata anche al Teatro de los Sentidos con il quale intorno al 2010 avevamo un progetto che si chiamava Abitantes. L’altra ragione è che, quando con Giovanna Pezzullo abbiamo capito qual era il tema, si è materializzata subito la spinta che c’era dietro: portare il teatro fuori dal teatro. In questo periodo di grandi ombre, di grande divisione sociale, io avevo bisogno di fare un atto, di uscire in strada per dire: guardate si può essere tutti vicini, tutti insieme nonostante la pandemia, nonostante i problemi.
Hai trovato risposta in noi?
Parecchia. I primi quindici minuti sono i più difficili per me perché devo riuscire a coinvolgere dieci persone, a conquistare la loro fiducia. Poi, a un certo punto, sento che c’è un abbandonarsi. Le persone si aprono completamente e me le potrei portare dietro anche più di un’ora e mezzo.
Però forse è giusto “calare il sipario”? Per alimentare la nostalgia che induce la riflessione…
Credo sia giusto, sì.
Proponi esperienze al margine. Negli ultimi anni, e non solo nei quasi due pandemici, la marginalità è più pronunciata?
Il presente ci sembra sempre più speciale, più complicato, persino migliore per alcuni aspetti, quindi è un po’ difficile distaccarsene. La pandemia ha reso solo più chiare le cose che c’erano già, e dico un’ovvietà. Mi rendo conto che in un cerchio di persone ho l’attitudine a osservare. Ho privilegiato lo stare al margine però mentre lo dico mi accorgo che c’è un’incongruenza, un paradosso, perché a me piace assumermi le mie responsabilità e perciò, improvvisamente, con la mia azione che esce allo scoperto, sono al centro: lo sto scoprendo meglio adesso, avendoci messo il focus. È un dialogo continuo fra il centro e il margine. Il confine non è netto.
Sei una guida, così hai chiamato il personaggio che interpreti. Durante la passeggiata-esperienza sei educativa, ma senza permetterti di insegnarci niente. Come fai?
Che bello, che grande complimento. Che domanda! Che risposta da dare, non so se… Innanzitutto è legato al fatto che nel mio approccio al teatro io creo esperienze da fare insieme, non momenti spettacolari o di rappresentazione di un testo. Questo approccio, frutto di tanti anni di ricerca con il Teatro de los Sentidos, prevede che l’attore-abitante si metta alla pari dello spettatore-viaggiatore e quindi anche io che propongo l’esperienza devo starci dentro, seppure con un occhio attento perché sto conducendo. La ricerca, inoltre, poggia sulla poetica del gioco e in un gioco, anche teatrale, si gioca tutti insieme. In qualche modo, il gioco è “educativo” perché ti fa contattare in maniera leggera o profonda tanti aspetti di te stessa, oppure provoca un capovolgimento della visione comune. Mi occupo di educazione da tantissimi anni e mi interessa molto, per mio piacere personale.
Vorresti riprendere questo progetto a Barcellona?
Ho curato i testi con Giovanna Pezzullo che mi ha aiutato anche con la regia. La spinta iniziale è stata mia, ma avevo bisogno di un occhio esterno. Anche lei viene del Teatro de los Sentidos, collaboriamo da tempo: questo linguaggio lo pratichiamo tuttora ed era una sfida per tutte e due fare una cosa diversa. Lei ha un’associazione a Barcellona e ci siamo dette che una seconda tappa poteva essere adattare il tema del confine a una città con la riva del mare e non con l’argine del fiume. Ma abbiamo richieste di informazione da altri territori italiani e mi fa molto piacere perché nelle mie intenzioni c’è quella di far viaggiare questo lavoro.
C’è chi aspetta Patrizia Menichelli a Roma, sulla sponda del Tevere.