"Faccia di porco" arrivò su da me alle dieci e quarantacinque di una piovosa sera di marzo. Aveva le lacrime che gli scorrevano sulle guance, mescolate ai rivoli di pioggia che ancora colavano dai capelli lucidi appiccicati al suo grosso cranio tondo.
Era disgustoso a vedersi da quando, dopo l'incidente occorsogli due anni prima, le ferite del primo intervento di plastica facciale si erano infettate ed i lembi di pelle gonfi avevano assunto una strana configurazione che ricordava il muso di un maiale.
Aveva perso anche molti denti e le parole gli sgusciavano dalla bocca con uno strano sfrigolio, una specie di rumore di frittura.
Era sempre stato un personaggio amabile, un carissimo compagnone, ora non più. Da qualche tempo soffriva di crisi depressive alternate a periodi di eccitazione che lo portavano a comportamenti esagerati, maniacali.
Questo era uno di quei momenti, non appena si fu seduto sul divano, inondandolo di acqua che colava dall'impermeabile, cominciò a scaraventarmi addosso una enorme quantità di parole fritte e rifritte che stentai a capire.
Mi fissava con gli occhi sbarrati e rossi, perennemente lacrimosi dal giorno dell'incidente, e gesticolava freneticamente in direzione della finestra. Diedi un'occhiata fuori, in giardino l'enorme lanterna dei vicini ondeggiava impazzita, c'era vento forte. Riportai lo sguardo su quell'uomo straziato che un giorno, molti anni prima, camuffato da Sant'Apollinare era entrato in Duomo con una moto da trial ed aveva scorrazzato in lungo e in largo per tutta la chiesa per circa dieci minuti.
Era carnevale allora e nessuno riuscì o volle acchiapparlo. Solo il parroco dopo i primi vani tentativi di fermarlo lanciandogli sulle ruote della moto un vecchio candelabro rimase a maledirlo da sopra un inginocchiatoio finché lui non scomparve da dove era venuto rombando più che mai.
Amante quasi fanatico degli scherzi, aveva subito suo malgrado quel terribile scherzo, quella maschera orrenda e grottesca che gli si era appiccicata addosso non appena gli vennero tolte le bende dal volto. Aveva ceduto, come era facile prevedere, e continuava a cedere, a sgretolarsi giorno dopo giorno sempre di più. Osservandolo lì sul divano, bagnato fradicio e orrendo, disperato, non provavo pietà ma stupore, era uno strano essere.
"Ucciderò un uomo!".
Quel suo ultimo grido straziante mi colpì improvviso. Mi riportò alla realtà, mi rituffò nella freddezza della situazione in cui mi trovavo: in casa, solo con un vecchio amico pazzo che si proclamava futuro omicida.
"Ucciderò un uomo!".
L'avrebbe fatto veramente? Lo costrinsi a fare una doccia calda e, asciugato che fu, gli feci indossare una mia tuta sportiva. Si risedette sul divano e rimase in silenzio a lungo prima di chiedermi una sigaretta.
"Non fumo". Gli risposi.
"Neanche io", disse, "ma sarà il mio ultimo desiderio prima dell'omicidio".
"Non dire assurdità! ti darò un calmante".
"Non mi darai proprio niente! tu!! sono io che decido cosa prendere e cosa dare!"
Trovai qualcosa in bagno nel cassetto dei medicinali e glielo portai con un bicchiere d'acqua che poggiai sul tavolo di fianco a lui.
Arrotolò una rivista che aveva preso mentre cercavo in bagno e me la lanciò in faccia con forza. Il colpo fu stranamente forte, inaspettato per essere stato portato da un giornale. Mi fu addosso con furia improvvisa e mi cacciò in bocca la pastiglia che gli avevo portato. Mi teneva le dita in bocca, poi davanti alla bocca per non farmela sputare. Non so come, riuscì a prendere il bicchiere con l'acqua e me la lasciò colare in bocca tra le sue dita, mi sentivo affogare.
Aveva ottenuto ciò che voleva, avevo preso io il calmante.
Era forte nonostante il suo aspetto malandato e la sorpresa per la sua reazione inaspettata mi aveva giocato. Mi tenne immobilizzato per qualche minuto guardandomi con quei suoi occhi porcini, lacrimosi. Lanciò un grido stridulo terribile ed ebbi la certezza che mi avrebbe ucciso, probabilmente colpendomi col sasso scolpito che tenevo accanto al tavolo, o forse con la piccola scultura in bronzo che avevo lasciato sul divano per lucidarla.
Mi morsicò un braccio che ero riuscito a muovere con un gesto disperato e provai un dolore lancinante. Lasciò la presa improvvisamente e corse via chiudendosi la porta alle spalle. In bagno mi cacciai due dita in gola e vomitai la pastiglia.
Corsi fuori anch'io, non poteva essere lontano dato che uscendo non aveva spinto il bottone per aprire la porta che dal giardinetto immette nel corridoio che giunge in strada. Il vetro della porta era rotto, come prevedevo.
Giunto in strada, una macchia scura sulla destra, a terra, richiamò la mia attenzione; niente da fare, era olio perduto da qualche auto, non sangue. Doveva aver rotto quel vetro con una cassetta o con la scopa che tenevo sempre in giardino.
Imboccai il vicolo quasi dirimpetto al portone di casa mia e lo percorsi tutto di corsa. In fondo, all'incrocio, un uomo faceva urinare il suo cane sulla ruota di un'auto.
"Ha visto un uomo in tuta sportiva blu correre da queste parti?".
"Qualcuno correva di là un attimo fa, non so se fosse in tuta".
Percorsi la strada indicata dall'uomo col cane e all'incrocio successivo sentii echeggiare in lontananza dei passi affrettati, qualcuno correva, il rumore era strano, come schiaffeggiato... era lui! Correva scalzo, aveva lasciato per strada le ciabatte che gli avevo prestato per stare comodo in casa.
Imboccai una strada lunghissima e stretta in cui il vento si incanalava scuotendo le lampade che gettavano coni di luce impazziti sui muri e sul selciato. Avevo già il cuore in gola, da molto non avevo avuto tempo per fare del moto. Sentivo la lingua gonfia e le tempie tese, come se volessero scoppiarmi, inoltre mi doleva la spalla sinistra dove mi aveva morsicato.
Continuai a correre, ero certo di averlo davanti a non più di duecento metri. La strada compiva una leggera curva a destra... "Eccolo là!".
In fondo alla strada vedevo le sue piante dei piedi chiare danzare ritmicamente sull'asfalto. Scomparvero sulla destra all'altezza di una vecchia porta che costituiva l'ingresso sud della città. Non era tardi, forse mezzanotte e un quarto ma la pioggia aveva chiuso tutti in casa. Correvo da solo, già stanco e quasi senza respiro. Giunto alla porta sostai un attimo per ascoltare, il fiato grosso mi impediva di sentire distintamente, ripresi a correre, ero disperato. Avrei retto ancora per poco correndo in quel modo ma lui quanto avrebbe resistito? Ed una volta trovatolo o raggiuntolo cosa avrei fatto?
Qualcosa luccicò alla mia sinistra tra due auto parcheggiate in un punto in cui la strada si allargava. Fui distratto per un attimo ed inciampai caracollando per alcuni metri con le braccia in avanti tentando di ripararmi. Caddi sul selciato umido e rialzandomi ansimante scorsi con orrore un corpo rosa, grassoccio, che strisciava sotto una delle auto.
Sbucò da sotto una faccia di porco sporca, lucida per il fango e l'acqua, provai il desiderio di fuggire ma rimasi ancora un attimo ad osservare quel volto che sembrava divenuto più animalesco, poi la paura ebbe il sopravvento, cominciai a scappare.
Da inseguitore ad inseguito, se non fossi stato terrorizzato avrei trovato la scena comica. La paura mi fece ritrovare energie nascoste e corsi, corsi a più non posso. Un brivido mi scosse e mi fece barcollare quando udii distintamente un grugnito dietro le mie spalle. Mi voltai un attimo spinto dalla curiosità e caddi nuovamente, quello che avevo visto mi aveva scioccato.
A terra, per un istante, ebbi il tempo di capire cosa poteva essere la paura, quella vera, terribile, agghiacciante. Non era più "faccia di porco" che mi inseguiva ma un porco vero, grasso, enorme, sporco e roseo, che correva sulle zampe posteriori con incredibile agilità.
Cercai di rialzarmi ma in un attimo mi fu addosso, un peso enorme mi stritolava, stavo soffocando, provavo disperatamente a respirare ma sentivo la mia cassa toracica compressa, schiacciata da quella massa di grasso, sentivo le sue setole graffiarmi il viso e le labbra, aperte nell'estremo tentativo di inalare un alito d'aria.
Vidi quel muso orrendo, sporco, che davanti ai miei occhi grugnì paurosamente mostrandomi i denti aguzzi e gialli... stava uccidendomi.
Mi risvegliai a poco a poco, immerso nel dolore che gradualmente diveniva più acuto mentre riacquistavo conoscenza. Distinsi attorno a me degli oggetti familiari, un ambiente conosciuto. Ero steso nel salotto vicino al divano, per terra rotolò un bicchiere vuoto non appena mi mossi. Ero sporco di sangue sulla spalla e sul braccio sinistro, camicia e maglione ne erano impregnati.
Ogni movimento mi causava dolore. Strisciai fino al bagno e dopo essermi tolto a fatica, piano piano per non sentire più male, il maglione e la camicia, mi versai dell'alcool sulla spalla. Si insinuò bruciando terribilmente nelle ferite profonde.
Mi sentivo molto instabile sulle gambe e la testa pareva ondeggiare a destra e a sinistra, come un pendolo. Dovevo essere ancora sotto l'effetto del sedativo che avevo ingoiato durante la colluttazione. Riapparivano gradualmente nella mia mente gli avvenimenti di cui ero stato testimone e attore partecipe.
Mi sentivo la bocca secca e scesi le scale diretto in cucina per versarmi un bicchiere d'acqua fresca. La porta della cucina non si apriva, sembrava bloccata da un peso all'interno, ero molto fiacco e dovetti spingere parecchio per aprirla di quel tanto che mi permise di infilare una mano dentro e accendere la luce.
Il rosso mi colpì immediatamente gli occhi. Vi era anche un odore strano, intenso. C'era del sangue per terra, una pozza enorme nel mezzo della cucina.
"Faccia di porco" era disteso bocconi in quel sangue che stava già imbrunendo. In una mano teneva ancora il grosso coltello da cucina con cui si era evidentemente sgozzato. Caddi in ginocchio senza più forza nelle gambe. Avevo voglia di dormire, di non pensare. Ebbi dei conati di vomito.
La sveglia sul mobile dai pomelli bianchi segnava le tre e mezza passate. Ero rimasto svenuto alcune ore. L'incubo che mi resi conto di avere vissuto in quelle poche ore di sonno innaturale non era peggiore della realtà che stava dietro la porta alle mie spalle.
"Faccia di porco" aveva mantenuto la sua promessa, aveva ucciso un uomo.