In questo periodo mi è insopportabile rimanere a casa. Appena posso ma anche quando non posso, esco. E se proprio piove forte adagio sul tavolo del terrazzo cellulare, iPad e magari acetone e smalto - non si sa mai, la cura delle mani può essere utile per riordinare le idee, una specie di ricarica della protesi estrema tra mente e scrittura, guardo gli alberi e scrivo. Soffro di una speciale claustrofobia che si manifesta solo nelle stanze di questo appartamento occupato da oggetti tra di loro in continua lotta per aggiudicarsi spazi più ampi e più idonei alle loro vocazioni.

Oltre ai cani anche gli oggetti si stanno umanizzando.

I libri non solo vogliono stare con i libri, ma vorrebbero abitare vicino ai loro consimili per forma, casa editrice, argomento e non condividere il loro luogo con scatoloni che ormai neanche io so più cosa contengono. Li ho messi tempo fa nelle librerie in alto poi un po’ più in basso e ora in mezzo. Anzi ho l’impressione che proprio gli oggetti abbiano una loro autonomia e si spostano a caso o per gioco o per disturbare, dove meglio credono. Oltre alle scatole, nelle librerie ci sono i cosiddetti soprammobili, di uso e forme incerte, regali natalizi messi lì “che poi domani li tolgo” invece lì stanno.

Ci sono poi anche tubetti di medicine usate e momentaneamente appoggiati sulla pila di libri, bombolette spray per zanzare, igienizzante sempre spray, come ricordo del periodo del Covid, da usare ancora, non si sa mai. Tra le altre cose appoggiate perché passavo di lì, vedo ambre solari di tutte le gradazioni, del tutto inutili, tanto il danno solare sulla mia pelle si è già compiuto più di trent’anni fa, e infine foto ovunque. Fotografie -dai tempi antichi agli ultimi anni- alcune incorniciate, altre in bilico, libere, destinate a sparire dentro ad un libro.

Un libro anonimo s/conosciuto che può rimanere chiuso e soprattutto nascosto per secoli e poi un bel giorno, quando meno te lo aspetti, riapparire e di solito, quando lo riapro fogli e fotografie planano sui miei piedi. L’unico libro che da tempo continua a rimanere ben nascosto è quello nel quale avevo inserito una certa somma di danaro. Mi ripeto che uno di questi giorni parto alla sua ricerca. Poi ho altro da fare. Quasi nulla, ma il tempo, quello delle ore ha messo in campo un’accelerazione che non riesco più a seguire, quindi alla fine della giornata, provata nella fatica del non fare nulla, mi viene anche lo sconforto di non avere combinato proprio niente, ma il libro, quello con una discreta somma -domani.

Sempre dentro casa, oltre a libri, a soprammobili, a medicine, a scatole e scatoloni un po’ ovunque, regnano sovrani su seggiole, divani, letti, i capi di abbigliamento. Non a caso si chiamano capi. Questi ultimi governano lo spazio e il tempo. In questo senso sono semidei. Se, come in questo periodo il tempo è mutevole: al mattino il caldo è estivo, nel pomeriggio sera se non piove, fa freddo, le stanze si trasformano in quelle bancarelle di abiti usati buoni per tutte le stagioni. E alla sera quando sfatta, li abbandono un po’ ovunque, mi ripeto che domani mattina poi, farò ordine nell’armadio. E qui si apre il grande dramma dei quattro armadi a muro. Non li apro nemmeno perché all’interno la montagna di abiti è cresciuta a dismisura, a tal punto estesa, per larghezze tali che preme fortemente per trovare una via di uscita che mi seppellirebbe viva. Cosa mi metto allora? Sono arrivata alla sintesi.

Nelle stagioni fredde pantaloni neri di pelle imbottiti, maglioni, piumini e piumoni anche questi neri, nelle stagioni primaverili e estive pantaloni di pelle senza imbottitura, maglie di cotone oppure vestito nero a balze. Però di pantaloni, di maglie, di giacche e di vestiti sempre uguali ne ho a decine. Tutti rigorosamente in nero. Sono in lutto perenne. Ma oltre alle librerie improprie, ai capi di abbigliamento vaganti, agli armadi troppo pieni, nelle stanze si aggira Manlio. Nella casa lui sta; lui sta seduto davanti alla televisione e quando non guarda la tv sta disteso sul letto seguendo con rigore e tenacia, tutti i giorni, gli stessi orari. Ecco, la sua è la visione perfetta di un giorno, una vita: ieri, oggi, domani sono un oggi perenne: colazione alle 8 esatte, di nuovo a letto fino alle 10 esatte poi ritiro in bagno per abluzioni e barba, alle 11 esatte giretto veloce al bar per un caffè e all’edicola per il quotidiano. Alle 11.30 inizio lettura del giornale nella mia stanza dove c’è il sole. Alle 12.30 di nuovo a letto in attesa del pranzo e così via.

Lo so, ne ho già scritto, raccontato a parenti, amiche e amici, ma ogni volta affronto il disordine della mia casa con uno sguardo differente. Oggi è questa strana claustrofobia che si manifesta solo dentro casa. Scriverne e parlarne forse è una terapia. La terapia più logica sarebbe quella di mettere ordine, magari facendomi aiutare, perché, da sola, non riesco a superare i sentieri ripidi e ingarbugliati di questo caos bel organizzato che mi perseguita. Qualche volta ho provato a mettere ordine e a togliere di mezzo libri e capi di abbigliamento, il giorno dopo per qualche ragione misteriosa mi erano indispensabili. E ancora oggi mi chiedo che fine avranno fatto le mie stupende gonne lunghe con specchietti anni ottanta. So solo che quella rossa l’ha acquistata Claudia in un mercatino di abiti usati. Avrei potuto compiere, con mia figlia Valentina, appassionata frequentatrice di bancarelle nelle quali trova tesori a 2 euro, operazioni creative.

Sì domani, certo.

Oggi non me la sento.

Oggi sono fuggita qui in studio.

Oggi scrivo, difronte a me sta attraversando velocemente il cielo una mandria di bisonti inseguiti da nuvole nere cariche di pioggia. Da qualche giorno a quest’ora la nuvola nera - sembra la stessa - copre il cielo della città poi il vento la trascina verso il mare. Ma lei ritorna a caccia di bisonti, appunto. Anche qui, non mi accontento della porta finestra che mi permette di vedere quel che accade, devo uscire, devo andare in terrazzo, ma non si tratta di claustrofobia. Devo fotografare tutto quello che accade lassù, in alto che più in alto di così ci vanno solo gli astronauti.

Ieri sera era la luna piena, oggi i bisonti che cavalcano il cielo e domani?