Sono protagonista indiscussa tra sentieri del male e tragitti di vittoria, in un’importanza mai relativa, ma chi mi ha tra le mani prende gloria o punizione. Kim Ye-Ji alle Olimpiadi di Parigi 2024 mi ha portata alla ribalta vincendo l’argento, fiera, con il suo cappellino che guarda il mondo all’incontrario.
Non ci troviamo in un mondo distopico, dove Kim, glaciale, sarebbe degna di Kill Bill: Volume 3 che Tarantino non ha intenzione di realizzare (ma se la conoscesse forse sì), e neanche in Hunger Games o in Matrix.
Lei è coreana ma è l’insieme di tutte le nazioni conquistate dal suo stile.
Racchiude quella rara imperturbabilità, ormai assente, sovrastata da lacrime e sorrisi a volte elargiti solo per far parlare di sé.
Dentro ha un effluvio di reazioni tenute a bada da chissà quali pensieri. Nell’impugnatura sento il suo calore, una partecipazione emozionale che nessuno può percepire se non io. Le sento arrestare la mano, poi mi carica, il campo visivo oscurato, prende la mira, mi disarma e attende. Lei ha gli occhi del mondo puntati addosso, io ho i suoi.
Poteva anche non vincere nessuna medaglia, per me aveva già vinto con il suo total black, cyber punk in contrasto con il grey dell'elefantino di sua figlia appeso al fianco.
Che cosa è il mondo se non una contraddizione costante?
Tra quattro anni sarò a Los Angeles. Ricorderò Parigi e le sue troppe parole e il suo troppo blaterare? Gli umani dicono che lo sport aiuta lo spirito e il corpo, ma solo se si osservano i protagonisti, tralasciando i protagonismi, aggiungo io.
Possibile che si debba sempre affondare la lama contro qualcuno? Perché c’è sempre la politica in mezzo come un’eterna lotta tra destra e sinistra, mentre l’unica vera eterna lotta dovrebbe essere quella del bene contro il male?
Nominate spesso De Coubertin alle Olimpiadi e il suo “L’importante è partecipare”, ma siete consapevoli di averlo disintegrato lasciando il posto a “L’importante è polemizzare” in una sterile sfilza di vocali e consonanti in fila per farsi ammirare?
Aprite un ring al posto di una tavola rotonda, perdendo ogni occasione per simulare una vita felice sfociando in una realtà povera di contenuti. Io sono solo un oggetto e forse vi sentite pure offesi dalle mie critiche. Ma non dovete offendervi, dovreste riflettere.
Cosa avrebbe da dire la palla del beach volley che fa capolino tra le donne musulmane della squadra egiziana, con una vittoria che va oltre la loro sconfitta sul campo o lo skateboard della ragazza sedicenne che sicuramente ha vibrato ad ogni salto, come se stesse toccando il cielo?
Tra un trampolino di lancio e un altro c’è un uncinetto tra le mani del tuffatore britannico che gestisce la pressione prima di una gara di tuffi.
Cosa racconterebbe la sciabola impugnata da Nada Hafez, insieme all’invisibile gioia del settimo mese di gravidanza esplosa dopo gli ottavi? Oppure il guantone di Imane Khelif dal sapore di polemica, lacrime e vittoria, ingiustizia, dignità e onore per ogni donna? Le racchetta di Sara e Jasmine urlano ancora felicità dopo cento anni di silenzio.
Che sapore ha una partecipazione alle olimpiadi?
Diverso per ognuno, ma il più tenero lo ricorderemo tutti, come spettatori, nell'espressione della ginnasta cinese Yaqin Zhou, medaglia d'argento, che sul podio osserva incuriosita Alice D’Amato e Manila Esposito mordere la medaglia.
E poco dopo, anche lei farà lo stesso.
Non sarebbe bello pensare che con il suo morso ha costruito un ponte invisibile tra Cina e Italia, abbattendo qualsiasi muro?
Buone riflessioni a tutti voi umani che noi oggetti non abbiamo un cuore.