Quando nel 1919 apparve il controverso libro La escatologia musulmana en la Divina Comedia del sacerdote e arabista spagnolo Miguel Asìn Palacios esplose la diatriba sull’influenza della cultura musulmana sul capolavoro dantesco. Asìn Palacios credeva che soprattutto l’opera del mistico andaluso Ibn Arabi, a sua volta rielaborazione della tradizione sul Viaggio Notturno nell’Aldilà di Maometto, avesse influenzato Dante. La più tarda scoperta del Libro della Scala di Maometto ha portato a concludere che in realtà il poeta fiorentino si sia ispirato direttamente alle tradizioni riguardanti il viaggio del Profeta.
Profeta che Dante tratta malissimo, sbattendolo in uno dei gironi più bui dell’inferno, quello dei seminatori di discordia, sventrato da un diavolo.
Quindi, quali sono i sentimenti di Dante, nipote del crociato Cacciaguida, verso l’Islam? E cosa conosceva della religione di Maometto?
I dantisti, commentando il canto di Maometto, solitamente dicono che Dante seguiva la tradizione medievale secondo la quale Maometto era un cardinale che, per ripicca per non essere diventato papa, si era inventato una nuova religione. Per questo lo avrebbe posto tra i seminatori di discordia. Eppure, ad una lettura più attenta, si capisce che Dante aveva una conoscenza dell’Islam superiore a quella dell’uomo medievale medio.
Innanizitutto vicino a Maometto c’è la figura del genero Ali, la cui ferita pare partire dal punto in cui termina quella del Profeta dell’Islam. Ali non era una figura molto nota in ambito medievale, quindi Dante fa capire di avere una conoscenza meno superficiale di quel che si creda di quel mondo.
In secondo luogo, dalla pretesa di Ali come unico vero successore (khalifa) del Profeta si originò la spaccatura tra gli sciiti, seguaci di Ali, e i sunniti, seguaci dei cosiddetti califfi rashidun o ben guidati. Dante, quindi, conosce gli scismi interni all’Islam quando i suoi contemporanei consideravano Maometto una specie di eretico. Anche il fatto di non aver posto Maometto tra gli eretici già fa comprendere come Dante avesse presente la differenza. Anche il fatto che Maometto si presenti col petto aperto da un colpo di spada fa presumere come Dante conoscesse la leggenda musulmana secondo la quale due angeli avrebbero aperto il petto di Maometto bambino per ripulirne il cuore dalla macchia nera del peccato. E anche il misterioso verso “Pape Satan, pape Satan aleppe” è, come sostiene il libico Abbud Abu Rashid che tradusse la Commedia in arabo, un’italianizzazione di “Bab-e Shaytan, bab-e Shaytan, alebbi” (Questa è la porta di Satana, questa è la porta di Satana, fermati). Quindi, con tutta probabilità, Dante conosceva anche la lingua araba.
Quindi Dante conosceva bene l’Islam, ne riprese persino alcuni stilemi, ma lo disprezzava. Anche qui, la cosa è più complessa: Dante, come ogni cristiano medievale, odiava l’Islam dal punto di vista religioso. Ma aveva una grande ammirazione per la filosofia araba.
Nel limbo mette tra gli “spiriti magni” le ombre di tre musulmani: i filosofi Avicenna e Averroé e il condottiero Saladino. Come Dante dice, le anime dei grandi pagani sono fuori dall’inferno solo perché nacquero prima del Cristianesimo e quindi non lo conobbero. Ma i tre musulmani conobbero il Cristianesimo e lo rifiutarono. Il Saladino addirittura combatté contro i cristiani e strappò loro Gerusalemme: sarebbero dovuti precipitare all’inferno.
Dante tuttavia li salva. In realtà la sensibilità di Dante non è così diversa da quella di tanti suoi contemporanei: il Saladino era ammirato come un sovrano saggio e un avversario cavalleresco: Giovanni Boccaccio dedicherà ben due novelle al “nobile saraceno”. Averroé fu un filosofo molto amato nel mondo cristiano. Anzi, paradossalmente l’influenza averroista fu più forte nel mondo cristiano che in quello islamico: grazie al commento di Averroé l’Occidente riscoprì Aristotele. Il grande amico di Dante, Guido Cavalcanti, fu un seguace delle teorie averroiste. Il Medioevo cristiano è stato tutto attraversato da questa strana contraddizione, per cui l’Islam è stato ferocemente combattuto dal punto di vista religioso, ma ammirato da quello filosofico e culturale.
Sant’Alberto Magno, il domenicano tedesco che fu mentore di San Tommaso d’Aquino e considerato tra i massimi pensatori del Medioevo, entrava in aula non con il severo abito dell’Ordine dei Predicatori ma abbigliato in foggia araba per mettere in evidenza la sua ammirazione per la filosofia degli “infedeli”.
Ma appunto perché l’ammirazione era soprattutto culturale, il lato religioso era poco noto, riservato all’apologetica (la traduzione del Corano di Pietro il Venerabile) e la maggioranza anche degli uomini colti ritenevano l’Islam una semplice eresia cristiana.
Dante era molto più avanti rispetto a molti suoi su questo punto: pur non amando l’Islam come religione, ne aveva una conoscenza precisa.