Saluterò di nuovo il sole,
e il torrente che mi scorreva in petto,
saluterò le nuvole dei miei lunghi pensieri
e la crescita dolorosa dei pioppi in giardino
che con me hanno percorso le aride stagioni.
Saluterò gli stormi di corvi
che a sera mi portavano in dono
l’odore dei campi notturni.
Saluterò mia madre, che viveva nello specchio,
immagine della mia vecchiaia.
E saluterò la terra, il suo desiderio ardente
di ripetermi e riempire di semi verdi
il suo ventre infiammato,
sì, la saluterò
la saluterò di nuovo.
Arrivo, arrivo, arrivo,
con i miei capelli come odori
che sgorgano dal sottosuolo
e gli occhi miei, l’esperienza densa del buio.
Con gli arbusti che ho strappato ai boschi oltre il muro.
Arrivo, arrivo, arrivo,
e la soglia trabocca d’amore
ed io ad attendere quelli che amano
e la ragazza che è ancora lì,
nella soglia traboccante d’amore, io
la saluterò di nuovo.(Forough Farokhzad)
I Will Greet the Sun Again (Saluterò di nuovo il sole) è una famosa poesia della poetessa iraniana Forugh Farrokhzad che enfatizza (“arrivo, arrivo, arrivo”) il fatto che in futuro, un giorno le donne saranno libere. La poesia era stata utilizzata da Shirin Neshat nel 1993 per la foto I Am Its Secret, e nel 2020 è diventata il titolo della più grande retrospettiva a lei dedicata. Curata da Ed Schad ed inaugurata ad Ottobre 2020 al The Broad di Los Angeles, la mostra è attualmente visitabile fino al 16 Maggio 2021 presso il Modern Art Museum di Fort Worth, Texas. Una mostra che ripercorre i 30 anni di carriera dell’artista, una ricerca artistica strettamente legata alla sua biografia, che tanto ha influenzato e continua ad influenzarci, che tanto ha emozionato e tanto continua ad emozionarci.
Poco prima che l’Iran diventasse una repubblica islamica a seguito della rivoluzione khomeinista, Shirin Neshat si trasferisce negli Stati Uniti per studiare arte. Siamo alla fine degli anni ’70. A causa della rivoluzione islamica e della guerra Iran-Iraq (1980-88) Shirin Neshat non riesce a tornare a casa trovandosi così a vivere per un lunghissimo periodo “dislocata” tra due culture, quella iraniana e quella americana.
Quando nel 1990 ritorna nel suo Paese di origine, non lo riconosce più, non è più quello dei suoi ricordi da bambina e da adolescente e questo shock la porta a riflettere sulle proprie radici culturali e sugli ideali che necessariamente devono animarci. È in questo contesto che nascono le sue prime opere tra le quali la famosissima serie fotografica Women of Allah (1993–97), un’opera dal grande impatto visivo ed emotivo, che riflette sull’incommensurabilità delle culture e sul loro incontro: come occidentali eravamo rapiti dalla bellezza delle immagini ma non comprendevamo quelle scritte che erano comprensibili solo ad un pubblico iraniano.
La serie ruota attorno a quattro elementi simbolici: il velo, le armi, il testo e lo sguardo. Contrariamente ad una visione che vuole che la donna che indossa il velo sia per questo remissiva, le donne protagoniste di questa serie guardano l’obiettivo sicure di sé. Il velo le trasforma in guerriere, in eroine. La confidenza con le armi fa riferimento all’arma come simbolo di potere maschile. Infine i testi di scrittrici iraniane contemporanee che non sono solo una decorazione ma contribuiscono al significato all’opera.
Ci sono poi i primi video realizzati: Turbulent (1998), Rapture (1999) e Passage (2001). Video di grande forza emotiva e simbolica. Turbulent indaga l’assenza di donne iraniane nel panorama musicale in una proiezione a due canali dove l’osservatore sta lì nel mezzo come fosse un testimone. Si tratta di un’opera concepita per opposti: uomo/donna, bianco/nero, pieno/vuoto, tradizionale/non tradizionale. L’uomo (uno straordinario Shoja Azari) canta un’appassionata canzone d’amore davanti ad una platea gremita, la donna (Sussan Deyhim) davanti ad una platea vuota canta con grande intensità emotiva, la sua è una performance contemporanea, unica, che sovverte la tradizione all’interno della quale si muove il canto dell’uomo.
Rapture continua l’analisi di genere nella cultura islamica. Anche qui l’osservatore deve collocarsi nel mezzo come testimone di un duello allegorico tra un gruppo di soli uomini, vestiti tutti con pantaloni neri e camicia bianca e un gruppo di donne coperte tutte dal chador, collocate all’interno di una fortezza che rappresenta lo spazio maschile e che effettuano un viaggio attraverso il deserto e poi su una barca che hanno realizzato loro stesse verso la libertà o forse verso la morte. Poco importa poiché anche qui l’attenzione è sul coraggio di andare oltre, di superare i limiti che troviamo davanti a noi.
Infine, Passage che vanta la collaborazione con il musicista Philip Glass e che è un vero e proprio poema visuale che riflette sulla perdita, sulla speranza, sulla rinascita.
Ci sono poi tre monumentali installazioni fotografiche. The Book of Kings (2012), influenzato dalla primavera araba del 2010-2011, prende il nome dall'antico libro Shahnameh (Il libro dei Re), un lungo poema di tragedie epiche scritto dal poeta persiano Ferdowsi tra il 977 e il 1010 d.C. Shahnameh racconta il passato mitico e storico del Grande Iran dalla creazione del mondo fino alla conquista islamica della Persia nel VII secolo. Un lavoro forte che ricorda la serie iconica Women of Allah concentrandosi sui temi della rivoluzione e sulla sfida della giovinezza. I giovani iraniani ed arabi ritratti da Neshat sono ritratti in bianco e nero e sul viso e corpo di questi ritroviamo testi ed illustrazioni tratti dallo Shahnameh e dalla poesia contemporanea di scrittori e prigionieri iraniani che illuminano o oscurano l’intensità emotiva ed in un certo senso collegano l'energia attuale dell'Iran contemporaneo con il suo passato mitico e storico.
The Home of My Eyes (2015) è un ciclo di ritratti realizzati tra il 2014 e il 2015 che raffigura donne, uomini e bambini residenti nell’Azerbaijan che ricorda all’artista il suo Paese di origine. I testi in questo caso sono tratti sia dalle risposte dei soggetti, che da poesie di Nizami Ganjavi, poeta iraniano del XII secolo che visse in quello che è oggi l'Azerbaijan.
Ed infine il nuovissimo Land of Dreams (2019), la prima opera che Shirin Neshat dedica alla cultura americana nella quale da tantissimo tempo è inserita.
Land of dreams è la storia di una fotografa iraniana che si allontana nel New Mexico, andando porta a porta a scattare ritratti di persone americane provenienti da diversi background etnici, economici e religiosi e raccogliendo i loro sogni. Sheila Vand, la brillante attrice iraniana, ha interpretato il ruolo principale qui nel video e nella prossima versione cinematografica di “Land of Dreams” insieme a Matt Dillon, William Moseley, Isabella Rossellini, Anna Gunn e molti altri meravigliosi attori.
(Shirin Neshat)
A proposito di questa imponente mostra Neshat ha affermato:
Andrea Karnes e io abbiamo dialogato per diversi anni sulla possibilità di portare il mio lavoro al Modern Art Museum di Fort Worth, uno dei migliori musei d'America, con un programma espositivo eccezionale e un'architettura iconica. Alla fine, un sogno diventa realtà e uno delle più grandi mostre dedicate alla mia carriera viaggerà in Texas, in una comunità che in gran parte non ha familiarità con la mia arte. Personalmente, i tempi di questa mostra non avrebbero potuto essere più rilevanti dopo un anno indimenticabile di crisi razziali, socio-politiche e sanitarie. In sostanza, tematicamente ogni lavoro che ho realizzato finora, dalla prima serie di Women of Allah (1993-1997), un corpus di opere che metteva in discussione la tirannia, la violenza e l'ingiustizia politica rispetto al mio paese natale, l'Iran, all'ultimo progetto multimediale Land of Dreams (2019), che esplora la mia esperienza di immigrata in America, offrirà il viaggio emotivo, storico e politico di un'artista nomade che ha trascorso gran parte della sua vita in esilio e che è perennemente in conflitto tra i valori orientali e occidentali e le sue identità iraniana e americana.
Una mostra indimenticabile dove il racconto dell’artista evidenzia tutte le divisioni che caratterizzano la nostra vita, la nostra cultura, la nostra storia. Una storia emozionante che non può lasciarci indifferenti.