Il lunedì, tuttavia, arrivando nella sua casa di calle de las Ventanas, trovò una lettera che galleggiava nell’acqua ristagnata dell’atrio e riconobbe subito sulla busta bagnata la calligrafia imperiosa che tanti cambiamenti di vita non erano riusciti a cambiare, e credette persino di cogliere il profumo notturno delle gardenie appassite, perché il cuore gli aveva ormai detto tutto fin dal primo spavento: era la lettera che aveva aspettato, senza un istante di tregua, per oltre mezzo secolo.
(Gabriel Garcia Marquez, L’amore ai tempi del colera)
Lettere non se ne scrivono più. Almeno quelle su delicata carta pergamenata. Lettere non se ne mandano più. Né tanto meno se ne ricevono.
Che nostalgia. Quelle belle, quelle con parole piene di sogni, di sentimenti non espressi chiaramente ma delineati come un’ombra disegnata su una carta velina.
Le lettere sono magiche, lasciano un segno indelebile nella mente che vola lontano, nelle righe tracciate da mani tremolanti per l’emozione. Quante lacrime in poche parole, quante speranze, quanti sogni, quanta tenerezza. Quanti sorrisi.
Scritte da mani più o meno esperte e sapienti, le lettere sono il messaggio degli angeli. Quelli che ci stanno accanto in silenzio, quelli che a volte chiacchierano troppo, quelli che non sembra ma ci sono. Quelli che chiami quando non vedi più luce. E che prima o poi arrivano. Qualcuno si fa aspettare un attimo di più. Non è pigro. Sta magari solo pensando. O sta scrivendo la tua lettera.
Lettere ritrovate, scritte, ricevute, inviate, timbrate, spiegazzate, scovate nei mercatini della Rive Gauche lungo la Senna, nei solai della nonna, nelle biblioteche e nelle cantine delle nostre case. Nascoste fra le pieghe dei libri.
Lettere stropicciate che mantengono tracce indelebili di lacrime e sorrisi.
Lettere dimenticate e abbandonate che una mano curiosa riscopre e fa rivivere. Quante storie in quelle righe, quante vite, quanti drammi e quanti sogni, quante belle e brutte notizie, quanti pensieri, quante confessioni, quante storie d’amore perse e ritrovate. Quante strade che si sono incrociate o separate. Quanta forza, allegria e malinconia. Quanta energia.
Molti di noi hanno conservato plichi infiniti di lettere, avvolti da nastrini colorati, rosa, bianchi o azzurri, stipati in scatole profumate dal sapore antico e dalle forme più svariate, spesso ovali o a forma di cuore, con delicati fiorellini dipinti sopra. Le legavi insieme con un nastrino di raso delicato, quasi a non voler far loro male.
Molti di noi le hanno trattenute per momenti migliori o anche peggiori, sicuri che vi avrebbero un giorno trovato risposte a tante domande, scartabellando e perdendosi ancora e sempre in quei preziosi contenitori di vita. Forma, dimensioni e capienza di quegli spazi sarebbero stati per sempre legati alla nostra storia, alla nostra continua evoluzione quotidiana. Lì dentro avremo conservato storie di gioia e di disperazione. Ricordi, immagini, scatti, fotogrammi, istanti, momenti, luci, ombre e passi-passaggi-passeggiate.
Spesso siamo andati ad aprire quelle scatole, in silenzio, timorosi di ritrovarci un passato andato e vissuto intensamente, un passato bello che non c’è più, preoccupati dal poter rileggere le parole di un innamorato che è svanito nel nulla, le promesse di un eterno futuro che non si è avverato, che allora era un per sempre magari finito solo poco dopo. Una promessa di futuro scritta con un’elegante penna stilografica, il cui inchiostro sbiadisce facilmente. Forse solo questo particolare avrebbe dovuto illuminarci, allora…
Quante volte ci siamo avventurati nello scartare quelle buste ingiallite come si fa con una caramella mai gustata prima, quando la carta sfavillante e luccicante invoglia a provarla ma non si sa proprio che gusto ci attenderà. A volte amaro, a volte dolce, a volte salaticcio e appiccicaticcio, spesso insignificante. La curiosità, però, è troppo forte… Che impertinenza!
Ricordo quando, a Parigi, mi avventuravo nei mercatini alla ricerca di antiche missive che potessero ispirare le mie pagine di romanzo. Una riga sbiadita e mal tratteggiata spesso mi faceva immaginare vite avventurose e storie d’amore rocambolesche e passionali. Sono meravigliose le lettere, contengono una vita, lasciano traccia dei pensieri di anime curiose e a volte smarrite. Riceverle è altrettanto sorprendente e avvolgente che scriverle e inviarle. Forse di più. Ricevere una lettera significa ricevere parte di un’anima che si dedica solo a te per qualche momento. Qualche attimo che magari è costato giorni e notti insonni, pomeriggi che sembravano infiniti ed eterni. Spazi intimi magari ritagliati in un giardino fiorito, sotto un tiepido sole.
Chi non ha scritto lettere d’amore? Chi non ne ha ricevuta almeno una nella vita? Rileggendole ci sembriamo ridicoli, almeno un po’, o forse, alla fine, sono ridicoli i ricordi che hanno ispirato quelle lettere, come eravamo, quello che è stato. Che, però, è stato e che ha fatto parte di noi. O forse, alla fine, è veramente ridicolo chi non è mai stato capace di scriverne. Chissà… Era bello scriverle, però, e io non smetterò certo di farlo… Era bello davvero…
Lettere. Le aspettavi, le scrivevi, le ricevevi, quasi le collezionavi con dedizione e cura. Ma io oggi ne ho una nuova per te, amore mio. Piccola, piccolina ma sincera.
Non avrà troppe parole, non le so davvero trovare ora, vita mia. Tutto fuori è scuro, cupo, triste, opaco, uggioso, monotono e anche tu stai perdendo un poco l’orientamento. Ma i grandi capitani, quando lo sono, e lo sono sempre stati, con la loro bussola dorata trovano sempre la via.
Le lettere hanno qualcosa di magico. La mia formula a lungo nascosta e tenuta segreta, segretissima, oggi è per te. Solo per te. Una lettera per te. Con la soluzione. Una soluzione, la sola. Che tu già conosci. Perché mi hai guardato negli occhi e mi hai preso semplicemente per mano.
La felicità, la felicità grazie a Gilberte, era una cosa a cui avevo costantemente pensato, una cosa tutta fatta di pensieri, era, come diceva Leonardo della pittura, cosa mentale. Un foglio di carta coperto di caratteri, il pensiero non lo assimila subito. Ma, appena ebbi terminato la lettera, la pensai, ed essa divenne un oggetto del mio fantasticare, divenne anch'essa cosa mentale; e l'amavo già tanto che ogni cinque minuti dovevo rileggerla, baciarla. Allora, conobbi la mia felicità. La vita è disseminata di questi miracoli, in cui le persone che amano possono sempre sperare.
(Marcel Proust)