La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplicemente l’assenza di malattia o infermità.
(Organizzazione Mondiale della Sanità, 1948)
La mia riflessione è di lunga data, ormai, ma la situazione attuale, fatta di confinamento fisico e culturale, inasprisce quell’insofferenza generata dal non poter varcare l’ingresso di un museo o di un teatro. Nei giardini e nei parchi resta ancora qualche spazio, ma sempre troppo ristretto.
La bellezza, l’arte e la cultura, in questo mondo arido dominato dalla finanza, dal successo a tutti i costi, dall’apparenza e dal danaro, vengono spesso considerate superflue, se non inutili. Un privilegio, un capriccio, un accessorio che a molti non interessa.
A parte che personalmente percepisco e noto la voglia di molti italiani di riscoprire la propria città con i suoi valori e monumenti (basti vedere la curiosità intorno alle aperture del FAI), molta letteratura scientifica, per non parlare di filosofi e scrittori, dimostra come l’esposizione all’arte sia in grado di influire positivamente sul benessere generale di ogni individuo.
La cultura è un bene comune primario come l’acqua; i teatri le biblioteche i cinema sono come tanti acquedotti.
(Claudio Abbado)
La Fondazione Bracco, ad esempio, nel 2011 e nel 2012, ha dedicato ampio spazio ed energia al Progetto Cultura e Salute, con l’obiettivo di valutare l'impatto della partecipazione culturale, nella sua accezione più ampia, sul benessere psicologico dell'individuo, in un’ottica complessiva secondo cui la cultura contribuisce al miglioramento della qualità della vita. Nel 2011, ha organizzato il convegno Stili di vita, salute e cultura: per un nuovo welfare e nel 2012, un secondo appuntamento su Il ruolo dell'Arte dell'Ambiente nella cura dei pazienti in ospedale. Tra le attività culturali più importanti e “potenti” la fruizione dell’arte nei musei si attestava ai primi posti sia per gli uomini che per le donne, superando cinema, teatro, concerti.
I più importanti e noti musei americani, da diversi anni, hanno messo in atto un programma di sostegno attraverso l’arte rivolto a tipologie particolari di pazienti, quali i disabili mentali. L’esposizione all’arte stimola la riflessione, è in grado di determinare modifiche neurochimiche, strutturali e neurofisiologiche nel cervello e incrementare la plasticità sinaptica specie nell’ippocampo, riduce lo stress (agendo sul suo ormone, il cortisolo), la depressione e l‘ansia.
Lo stesso vale per i medici, dove l’applicazione dell’Arte viene valutata come importante strumento per l’apprendimento e lo sviluppo di capacità quali l’osservazione, l’ascolto attivo, il pensiero critico, il problem solving e l’empatia, utili a migliorare la professione e il rapporto con il paziente. In proposito, consiglio la lettura del recente testo dell’esperta di didattica dell’arte Vincenza Ferrara, L’arte come strumento per la formazione in area medica e sanitaria, dove illustra quanto arte e medicina abbiano strette interrelazioni e legami da lungo tempo. Nel testo, presentando varie esperienze nel mondo, sono analizzate le capacità che l’osservazione di opere d’arte può sviluppare nei medici: da un insegnamento a non andare di fretta nelle diagnosi, fino alla capacità di prendersi il tempo necessario a osservare, a individuare particolari, ragionarci sopra con buona riflessione. Se poi l’osservazione (dell’arte, del malato) è fatta in gruppo, si può discutere confrontando opinioni e interpretazioni, così da sviluppare capacità di dialogo e accettazione di opinioni diverse dalle proprie, per giungere a un’interpretazione ponderata e condivisa. Interessante anche l’applicazione ai futuri medici del metodo delle Visual Thinking Strategies (VTS). A Milano, ad esempio, un bel progetto ha visto coinvolto l’Istituto Nazionale dei Tumori e Accademia di Brera: un gruppo di lavoro composto da medici e artisti specializzandi per consentire uno scambio di saperi artistici e scientifici, con l'obiettivo di aiutare i pazienti nel loro percorso, stimolandone energie creative e vitali.
L’arte aiuta medici e pazienti, in termini di riduzione di stress e burnout ma anche di prevenzione. Anche un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) del Novembre 2019, What is the evidence of the role of the arts in improving health and well-being?, dimostra scientificamente l’alleanza tra arte e salute. L'indagine, che ha preso in esame oltre 900 pubblicazioni afferenti all'ambito della medicina, della psicologia, dell'antropologia e delle neuroscienze, è suddivisa in due macro-aree di studio: la prima si concentra sul contributo che la cultura può avere nella prevenzione e nella promozione della salute, la seconda riguarda il ruolo che le arti possono avere nella gestione delle malattie all'interno dei percorsi di cura. Le arti, inoltre, possono avere un ruolo fondamentale nella coesione sociale e nel superamento delle disuguaglianze (tra i casi citati, El Sistema, creato in Venezuela nel 1975 dal musicista José Antonio Abreu, un programma di educazione musicale gratuita per i bambini in condizioni di povertà), nel supporto allo sviluppo del linguaggio e delle capacità cognitive fin dall’infanzia, nella promozione di stili di vita sani, nella tutela della salute mentale contro il declino precoce, nella cura delle patologie degenerative (citato il Dance Well – movement research for Parkinson, classi di danza per i Parkinsoniani, oggi presenti anche in Italia).
L’arte fa bene, dunque, cura corpo e anima, è vera iniezione di salute.
Tutto questo mi ritornava alla memoria mentre leggevo, con interesse, una bellissima proposta di Giovanna Melandri, Presidente della Fondazione MAXXI di Roma, sull’Espresso del 22 Novembre scorso, una fresca domenica romana. “La cultura fa bene, detraiamola dalle tasse”, questo il titolo del pezzo. Il messaggio è semplice e chiaro: la cultura deve essere la leva di una rinascita da questo periodo buio, un’occasione unica per riprogettare il futuro. La Melandri ricorda anche l’ardito inserimento, da parte di Franklin Delano Roosevelt, nel perimetro del New Deal, del Federal Art Project (1935-1943), la “più estesa operazione di welfare estetico-culturale mai tentata in una democrazia”. Un sostegno senza precedenti agli artisti in difficoltà a causa della Grande Depressione (peraltro ci si interroga oggi se quel modello sia, in qualche modo, replicabile…).
Nell’odierno contesto del Piano per la ripresa dell’Europa, continua la Melandri, il nostro governo potrebbe delineare una visione progettuale di lungo respiro per la cultura italiana, agendo soprattutto sulla domanda, sul contrasto alle nuove povertà culturali, educative e spirituali e sul bisogno di libertà e bellezza che rafforzi l’identità del paese. Vanno sostenuti i consumi culturali, superando la logica del bonus, per assicurare che la produzione culturale si riprenda e si sviluppi come investimento a lungo termine. La proposta è quindi la seguente: “una cura da considerare estensione strategica del welfare e che riconosca nel consumo di cultura un diritto primario”, … “curare l’Italia agendo anche sulla leva fiscale, rendendo deducibili, dalle imposte sui redditi delle persone fisiche, le spese di accesso ai luoghi dove si riceve, si produce e scambia cultura (cinema, teatri, auditorium, musei, istituzioni…)”. Proprio come facciamo per le spese farmaceutiche. Abbiamo di fronte uno dei più potenti farmaci antidepressivi, peraltro ben sperimentato, in grado di accedere l’immaginazione, di far sperare ancora, di rivitalizzare il desiderio, di responsabilizzare chi produce cultura, di creare un circolo virtuoso fra arricchimento e educazione, di far lavorare la mente, di far circolare pensiero positivo e creatività, di farci avere ancora il potere di scegliere.
La bellezza e la gioia di accedere alle forme artistiche ci sono state tolte in questo periodo di emergenza sanitaria, siamo stati privati della libertà di sfiorare un quadro con la mente, di poggiare l’anima sull’ala di una statua marmorea, dell’emozione di rivedere in uno scatto fotografico un paesaggio solo intravvisto, del vibrare su una nota cristallina di un leggero violino.
Abbiamo ora la possibilità di effettuare un salto acrobatico, un passaggio epocale che recupera antichi valori, perché “l’universo cultura è un ristoro senza scadenze”.
La bellezza salverà il mondo.
(Fëdor Michajlovič Dostoevskij)
La mente però non si ferma… Ricordo anche un altro evento. Vittorio Sgarbi, nel mese di Ottobre 2015, proponeva di "Riconoscere la Bellezza", inserendola nella Costituzione Italiana, riprendendo la proposta di legge Costituzionale d'iniziativa della deputata Serena Pellegrino di modifica all’articolo 1 della Costituzione in materia di riconoscimento della bellezza quale elemento costitutivo dell’identità nazionale. Il suggerimento riguardava direttamente l’articolo 1: “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Ad esso si dovrebbe aggiungere il seguente comma: “La Repubblica Italiana riconosce la bellezza quale elemento costitutivo dell’identità nazionale, la conserva, la tutela e la promuove in tutte le sue forme materiali e immateriali: storiche, artistiche, culturali, paesaggistiche e naturali”.
Perché l’Italia è una Repubblica fondata sulla bellezza.
Perché non riprendere la proposta, allora, per rinascere e spiccare il volo come una fenice e, oggi più che mai, legarsi anche ad un tema più ampio di salute pubblica, seguendo il prezioso suggerimento di Giovanna Melandri?
Lancio (lanciamo) la sfida.
L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni.
(Pablo Picasso)