Gli altri maestri devono fare come vogliono le
note, ma Josquin è il padrone delle note, che
hanno dovuto fare come vuole lui.(Martin Lutero di Josquin Desprez)
Se, smorzati gli applausi calorosi per la Missa Gaudeamus di Josquin Desprez (1450 circa-1521), il maestro Walter Testolin, direttore dell’ensemble De labyrintho, parla al pubblico e cita anche Raffaello Sanzio, cinquecento anni dopo la sua morte… Se quel ricordo non è ufficiale, ma affettuoso, tanto che l’uomo e pittor divino Raffaello par di averlo accanto nell’auditorium di Sant’Apollonia a Firenze, significa che FloReMus, il festival dell’Homme Armé dedicato al Rinascimento musicale fiorentino, ancora una volta ci ha dato la gioia di essere proiettati nei secoli antichi, senza lasciare il nostro. Sarebbe compiacente buttare il pubblico all’indietro, per lenire i crucci contemporanei, invece FloReMus spazza via le tentazioni da parrucconi mentre esalta nell’ascoltatore la consapevolezza della permanenza del passato nell’oggi, la capacità di sentirlo vibrare. Di concerto in concerto, fino alla chiusura esaltante con la Missa in Illo tempore, caleidoscopica polifonia di Claudio Monteverdi, eseguita da l’Homme Armé e La Pifarescha, diretti da Fabio Lombardo. Di conversazione in conversazione. Come quella dello storico Lorenzo Tanzini che, raccontando l’Essere stranieri nella Firenze del Rinascimento alla Biblioteca delle Oblate, richiama la sempiterna attualità della parola integrazione.
Non era semplice farsi accogliere nella città del giglio del XV secolo. Nemmeno se si era biondi e non si sbarcava a Lampedusa. C’erano tantissimi tedeschi, nell’accezione di allora, cioè anche fiamminghi, nativi dei Paesi Bassi, ungheresi. Il compositore Heinrich Isaac (1450-1517), con Desprez protagonista della scuola fiamminga e nato nel Brabante, infatti era soprannominato Arrigo il Tedesco. Allievo dell’organista Antonio Squarcialupi, divenne cittadino fiorentino grazie allo stretto legame con la famiglia Medici. Tanzini prova a capire e a farci capire quale poteva essere il clima intorno a un musicista forestiero a Firenze nel XV secolo. Con un racconto molto stimolante che, per sintesi giornalistica, nelle seguenti righe sarà tristemente accorciato.
“La condizione dello straniero è sempre problematica e nelle società pre-moderne lo era in maniera particolare - dice lo studioso. Fino all’antico regime, dobbiamo immaginarci una società fatta di corpi e non di individui dove si è riconosciuti non in quanto singoli ma in quanto membri di una corporazione, di un ordine, di una gerarchia ecclesiastica, di una famiglia. Lo straniero prova una forte, dolorosa minorità anche a livello giuridico e quello della cittadinanza è un privilegio di immenso valore concesso soltanto in determinate circostanze. Inoltre il concetto della cittadinanza non è monolitico “sono cittadino e ho tutti i diritti”: si può essere cittadini dal punto di vista dei tribunali (vado da un giudice di Firenze e mi ascolta), dal punto di vista fiscale, patrimoniale, politico (posso partecipare alle cariche), sociale (posso sposare una donna locale)”.
Una relazione speciale con una famiglia, come quella di Heinrich Isaac con i Medici, era un modo di inserirsi, superando l’handicap dell’estraneità, usato dagli artisti, ma non solo: Giorgio Benigno Salviati (a dispetto del nome, bosniaco di Srebrenica), un importante francescano, un teologo stimato che riflette e scrive sul tema della profezia negli anni di Savonarola, aveva fatto carriera nella Chiesa e negli ultimi due decenni del ‘400 entra nell’entourage dei Salviati.
“La Firenze del Quattrocento conosce una stagione particolarissima perché dal 1434 al 1443 è la sede del papato ed Eugenio IV abita nel palazzo papale a Santa Maria Novella - spiega Tanzini. La presenza del pontefice è cruciale non soltanto nel periodo del Concilio del 1439, ma in una fase piuttosto lunga, e questo decennio, che porta con sé un convogliare verso Firenze di genti lontane, soprattutto curiali e ambasciatori, lasciò una memoria molto profonda e una delle opere più note della seconda metà del XV secolo, il Corteo dei Magi di Benozzo Gozzoli a Palazzo Medici, riportava ancora un’eco di esotismo”.
L’episodio più clamoroso dell’epoca di Eugenio IV è l’arrivo degli ambasciatori della Chiesa copta di Etiopia, figure che sbalordiscono la città. Ma a Firenze approdano soprattutto greci perché la Chiesa di Roma spera di ottenere l’unione con la chiesa greca ortodossa. Viene in visita pure l’imperatore di Bisanzio, Giovanni VIII.
“Se dovessimo fare una tipologia degli stranieri che vivono a Firenze diremmo in primo luogo religiosi e uomini di cultura, maestri dell’università e i dottori in medicina, inclusi fra gli intellettuali. Invece non è molto presente la tipologia del soldato di ventura che ci potremmo aspettare guardando il monumento funebre di Paolo Uccello a Giovanni Acuto. L’affresco è quattrocentesco, ma è dedicato a un personaggio della generazione precedente, l’inglese John Hawkwood, rimasto senza lavoro per la temporanea pausa della Guerra dei Cent’anni e che fece fortuna un Italia: nel ‘400 la scena sarà dominata dai condottieri italiani. Un percorso esemplare, se la parola non fosse abusata, di integrazione, anche se a livelli molto alti, è quello di Giovanni Argiropulo da Costantinopoli che insegna retorica all’università di Firenze dal 1456 al ‘71 e nel ‘66 riceve la speciale onorificenza della cittadinanza a compendio dei suoi meriti intellettuali”.
E a livello medio-basso chi erano gli immigrati a Firenze? Gli specialisti spulciano nei documenti della Mercanzia per scoprire le vite dei non illustri. Senz’altro i casi di integrazione riuscita risalgono a prima del ‘400 perché la Firenze del Trecento è una città molto più grande di quella di un secolo dopo e con una vitalità economica maggiore: la Firenze di Giovanni Villani ha il doppio degli abitanti o più del doppio di quella di Cosimo il vecchio, abbattuta dalla peste nera.
“La Mercanzia, che è un organo di rappresentanza del mondo mercantile della Firenze dal Trecento in poi, così importante che il palazzo è costruito accanto a quello della Signoria, è un tribunale e nasce per ascoltare le querele dei mercanti stranieri contro i fiorentini perché ci si rendeva conto che per uno straniero era difficile farsi giustizia, ma moltissimi si rivolgevano alla Mercanzia anche per le vicende quotidiane, senza che ci fosse attinenza con il commercio - continua Tanzini. Dalle carte della Mercanzia troviamo un nucleo di stranieri che risiedono stabilmente in città e si collocano in alcuni ambienti: la tipografia - i primi stampatori in Italia erano tedeschi - la cartografia, una disciplina molto specializzata nella quale poi i fiorentini eccelleranno.
Più numerosi, però, sono i tedeschi in ambiti professionali inferiori, per esempio i sarti che abitano nella zona di San Lorenzo e hanno addirittura una corporazione, e nelle sfere ancora più basse: servitori, uomini di fatica, operai. Non c’era famiglia che non avesse un facchino, un vetturale, un cavallaio tedesco. Vespasiano da Bisticci, uno degli scrittori più interessanti, più vivaci, più appassionanti della Firenze rinascimentale riporta che Niccolò V ‘De’ famigli che aveva al suo servizio non aveva ignuno italiano: tutti erano o tedeschi o franciosi’ e quando gli fu chiesto della scelta, rispose che gli italiani ‘hanno l’animo troppo grande, e vorrebbono andare più alti: a ‘l francioso a il tedesco a ogni esercizio che tu lo metti […]istà contento. E sono fedelissimi’. Niccolò V coglieva l’elemento essenziale, penoso ma significativo: lo straniero non ha mezzi automatici di ascesa sociale, sa di avere una condizione di minorità sociale. L’italiano spera di crescere”.
Le meretrici sono quasi tutte avventizie: tedesche, fiamminghe, francesi, in misura minore slave e greche. Delle povere disgraziate, destinate a vivere di beneficenza a fine professione e senza opportunità di emanciparsi socialmente, abbiamo informazioni precise grazie all’Onestà, la magistratura incaricata di gestire la prostituzione, promossa dall’autorità pubblica perché ritenuta un antidoto alla diffusione dell’omosessualità che era estremamente frequente: ‘fiorentino’ era sinonimo di gay.
“Nella Firenze del ‘400 c’è poi una presenza non enorme, ma neanche trascurabile di schiavi. Donne, in larga parte, comprate dal patriziato per i lavori domestici, normalmente bianche, dette circasse o tartare perché vengono dalle colonie del Mar Nero possedute dai mercanti di schiavi che erano tutti genovesi e veneziani. Gli schiavi africani, nel Corteo dei Magi di Benozzo è ritratto una sorta di scudiero che ha tratti subsahariani, cominciano a giungere nella seconda metà del ‘400 e si compravano soprattutto a Lisbona, a Siviglia”.
Tanzini conclude con le relazioni politiche che, per vie tortuose, riconducono alla musica di Heinrich Isaac. Seguiamolo: “La Firenze del Trecento e del Quattrocento ha un motore finanziario che è il cosiddetto Monte, né più né meno i titoli di un gigantesco debito pubblico di milioni di fiorini che alimenta un mercato. Questo mercato è aperto anche a stranieri che, in certa misura, possono acquistare i titoli. Prelati, principi europei. Giovanni I del Portogallo ne possiede parecchie migliaia di fiorini e siccome sua figlia Isabella sposa Filippo il buono, la corte di Borgogna (all’epoca la regione di Digione e le Fiandre n.d.r.) indirettamente detiene una certa quota del debito pubblico fiorentino. Essere proprietari del debito fa diventare cointeressati alle sorti della città, instaura un legame di lettere di richieste, di proteste quando gli interessi non sono pagati. Carlo il temerario, duca di Borgogna, è un forte interlocutore di Firenze, un detentore piuttosto scontento di una parte del debito pubblico quindi con la Borgogna c’è un legame molto intenso, anche perché dalla regione francese arrivano tante suggestioni artistiche di ambito cavalleresco. Carlo il Temerario e un po’ tutti i duchi borgognoni che portano nomi fantastici, Filippo l’Ardito, Giovanni senza paura, sono gli emblemi dell’ideale cavalleresco nell’Europa quattrocentesca. Il tema è rilevante nella Firenze del ‘400, e forse non è un caso che qui si stabilisse Heinrich Isaac, fiammingo, ma suddito del duca di Borgogna, portatore di quella corte artisticamente, cavallerescamente e musicalmente d’eccellenza che fu la Borgogna del periodo”.
La quarta edizione di FloReMus, che il presidente e il direttore artistico dell’Homme Armé, Renato Baldassini e Fabio Lombardo, nel ringraziare chi li ha sostenuti (Regione Toscana, Fondazione CR di Firenze, MIBACT, Città metropolitana, Comune di Firenze, Estate Fiorentina, Polo Museale) definiscono “un luminoso miracolo culturale”, aveva un sottotitolo: … dopo il tempo sospeso.