La teoria della società ha bisogno di agenti che spieghino la coesione della struttura sociale. Tradizionalmente, questi agenti sono visti come insiemi di prescrizioni enunciate con un certo qual tono dittatoriale, generalmente nella forma: ‘Tu non…’. È chiaro che tutto ciò che ho detto stasera non solo contraddice, ma addirittura rifiuta simili concezioni. Le tre colonne su cui poggia la mia posizione, ossia l’autonomia, la responsabilità, la possibilità di scelta, sono rivolte nella direzione opposta.
Quale sarebbe allora la mia controproposta? Permettetemi di concludere la mia comunicazione con una proposizione che potrebbe benissimo servire da Imperativo Etico Costruttivista: ‘Agirò sempre in modo da accrescere il numero totale delle possibilità di scelta’.(Heinz von Foerster, Sistemi che osservano)
L’azione genera la realtà
Per essere etici, von Foerster indica una strada: per essere etici occorre agire in modo etico. E per agire in modo etico occorre che vi sia un’intenzione.
Nel libro Sistemi che osservano – una raccolta di diversi scritti che spaziano dai meccanismi della memoria alla comunicazione umana, dalla percezione all’entropia – von Foerster, studioso della cibernetica del secondo ordine, indica due imperativi: l’imperativo estetico e l’imperativo etico. Essi sono posti nell’ultima pagina del libro, senza una spiegazione che ne dettagli ulteriormente i contenuti; egli pare così affidare loro la conclusione di tutte le riflessioni espresse nel testo.
Entrambi gli imperativi pongono l’enfasi sull’azione come nucleo centrale del vivere umano. Il primo imperativo è quello estetico: “Se desideri vedere, impara ad agire”. Il secondo imperativo è quello etico: “Agisci sempre in modo da accrescere il numero delle possibilità di scelta”.
L’imperativo estetico ci dice che per vedere - e quindi comprendere - bisogna prima agire, ovvero prendere parte al mondo. L’imperativo etico ci dice che occorre agire con un’intenzione specifica.
L’imperativo etico non definisce ‘per chi’ è valido: include tutti, se stessi e gli altri. Non circoscrive l’azione: agire non significa necessariamente fare qualcosa. A volte può significare anche astenersi dal fare qualcosa o ridurre il nostro continuo essere indaffarati in qualcosa. Dell’azione fa parte anche la ‘non-azione’, per quanto ci possa apparire strano; entrambe possono avere degli effetti, tanto che, penalmente, la non-azione può essere un comportamento sanzionabile, come nel caso di omissione di soccorso. È necessario pertanto iscrivere l’azione in qualcosa di globale, che non riguardi unicamente il fare, ma che includa anche il non fare.
La consapevolezza dell’agire
Spesso le nostre azioni sono delle mere reazioni a qualcosa che è avvenuto, non riuscendo a trattenerci dal fare qualcosa che potrebbe, nel tempo, avere effetti indesiderati.
Ne consegue che, se abbiamo bisogno di agire per poter vedere – come afferma l’imperativo estetico – nel contempo, una volta vista, e quindi compresa, la realtà in cui siamo inseriti possiamo scegliere come agire, frapponendo una sospensione tra noi e la realtà stessa. Mente e mondo sorgono insieme nell’atto percettivo e motorio che si congiungono; tuttavia, una volta sorto il mondo, possiamo non reagire ad esso ma agire – o non agire – consapevolmente. Nella filosofia taoista si parla di wu-wei, traducibile come “consapevolezza di quando agire e quando non agire”, come uno degli aspetti più importanti per avvicinarsi alla Via del Tao.
Fare spazio dentro di sé tra ciò che si percepisce e l’azione che compiamo come conseguenza della nostra percezione. Come una sospensione, un respiro che si interpone tra ciò che percepiamo e il nostro comportamento. L’intenzione si inserisce proprio qui, nello spazio che ci concediamo nel nostro essere nel mondo. È il momento in cui possiamo decidere e compiere una scelta. Sembra tautologico, ma avere un’intenzione è già un modo per aumentare – in questo caso per sé stessi – le possibilità di scelta.
Scelte e possibilità
Accrescere il numero delle possibilità di scelta: la nostra attenzione va quindi posta sulle possibilità, non sulle scelte in quanto tali. Diverso sarebbe se l’imperativo etico riguardasse il numero delle scelte. In tal caso, questa asserzione potrebbe trasformarci in consumatori compulsivi: quando il numero delle scelte diventa elevato, rischiamo di non essere nemmeno in grado di scegliere. Come nei centri commerciali, dove l’offerta di oggetti è sterminata, la varietà quasi senza limite. La scelta così si mercifica: accrescere la quantità tra cui scegliere induce facilmente alla voracità del possesso e all’avidità, cuore pulsante del consumismo. Malattia che conosciamo molto bene e che consuma anche noi stessi. Può sembrare una contraddizione, ma il consumismo sfrenato, in cui prevale l’aumento delle scelte, può divenire una limitazione delle possibilità di scelta. È estremamente difficile scegliere di non essere consumisti.
È una distinzione importante da fare, per non cadere frettolosamente nell’idea che sia sufficiente aumentare l’offerta delle scelte per assolvere l’imperativo etico legato all’azione. La decisione è, per così dire, a un livello superiore: è inscritta nella nostra intenzione, nel discrimine che poniamo nel nostro agire.
Una doppia responsabilità personale
Cosa vuol dire accrescere le possibilità di scelta?
Occorre partire dal considerare che non vi sono cause esterne ai fenomeni: siamo sempre dentro agli eventi, siamo partecipi di quello che avviene, ne prendiamo parte. Ci sono solo condizionamenti reciproci, per quanto per noi sia difficile seguirne il percorso. Siamo partecipi nel creare la realtà nostra e degli altri.
Abbiamo detto che von Foerster è considerato un cibernetico ‘del secondo ordine’: mentre lo studio iniziale della cibernetica - chiamata anche cibernetica ‘del primo ordine’ - era incentrato sul controllo dei meccanismi di comunicazione e di autoregolazione delle macchine, la cibernetica sviluppata da von Foerster introduce l’osservatore nei sistemi che osserva. L’uomo non è più un osservatore esterno dei sistemi, ma diventa egli stesso un sistema che osserva gli altri sistemi di cui è parte, influenzandoli e rimanendone influenzato. Come nel disegno di Escher, in cui un uomo guarda un quadro in una galleria d’arte e diviene egli stesso parte del quadro: è un vortice di co-generazione di sé e di ciò che si osserva.
Se siamo parte della realtà che generiamo con le nostre azioni, non possiamo più chiamarci fuori: siamo noi che, con la nostra azione, facciamo emergere un mondo e, congiuntamente, sta a noi inserire un’intenzione nelle nostre azioni affinché siano etiche, divenendo di beneficio per altri esseri. Ci assumiamo così una doppia responsabilità personale in quello che facciamo. Non solo siamo partecipi e generatori di noi stessi e della realtà, ma siamo anche generatori delle possibilità di scelta per noi stessi e per gli altri.
Possibilità e libertà
Dare la possibilità di scegliere comporta il lasciare libero l’altro di poterlo fare, creando il contesto adeguato affinché questo possa avvenire. Per questa via passa la libertà, quella effettiva.
Ridurre le possibilità di scelta, viceversa, costringe l’altro a dover aderire a quanto da noi stabilito a priori. Per esempio, un comando riduce drasticamente le possibilità per chi lo subisce: può solo obbedire. Una dittatura riduce le possibilità di scelta delle persone; limitare la libertà significa limitare le possibilità di scelta. La disuguaglianza sociale riduce di fatto le possibilità di scelta per moltissime persone. Così l’ignoranza.
Anche per noi stessi vale come principio di libertà: decidere di accrescere le nostre possibilità di scelta comporta darci il permesso di poter fare qualcosa di diverso da quanto stabilito da altri per noi. Significa anche poter scegliere punti di vista diversi, in cui il nostro non è l’unico ad essere vero. Potremmo scegliere una storia diversa da raccontare a noi stessi sulla nostra vita, osservarla da un’altra angolatura, dandoci la libertà di cambiare, se lo desideriamo. Ci sono infiniti modi possibili di raccontarci la nostra vita, alcuni che ci chiudono le possibilità, altri che ce le aprono.
Una possibilità non significa qualcosa che si verifica davvero. È come una porta che attende di essere aperta, se lo desideriamo. È una potenzialità che può manifestarsi, ma che non è certo che avvenga. Non sta più solo a noi decidere per gli altri, né agli altri decidere per noi.
Noi non siamo cause di cambiamento per gli altri, ma inneschi per il loro cambiamento. Non determiniamo noi il cambiamento né le scelte che altri concretamente faranno, ma possiamo rappresentarne un elemento generativo affinché si manifestino. Sembra poco, e invece è tantissimo: una responsabilità che dobbiamo assumerci diventandone consapevoli.
Accrescere le possibilità di scelta significa comprendere, conoscere, scoprire. E anche sbagliare, ricominciare, riprovare. Tutte queste sono possibilità. Non scelte finali e definitive, ma possibilità. Per sé e per gli altri. E questo è l’agire in modo etico.