Il concetto di uno scritto di medicina «popolare» per destinazione e per contenuto può, giustamente, sorprendere, infatti, anche se è sempre esistita una medicina popolare, la sua estensione è generalmente affidata solo alla tradizione orale. La scrittura è attributo esclusivo delle opere di medicina, pubblicate quasi sempre in gran formato (in folio o in 4°), che non presentano niente di popolare. Scritte durante tutto il Medio Evo in latino, farcite di termini tecnici, destinate ad un uso esclusivo di una classe medica molto chiusa, che diffida della volgarizzazione e se ne riserva l'interpretazione, ecco i parametri di questa letteratura dotta. Del Regimen Sanitatis Salernitanum esistono tre versioni: quella a maggiore divulgazione con solo 365 versi, le altre, pubblicate alla metà dell’800 da Salvatore De Renzi nella Collectio salernitana, con 2130 e 3520 versi.
La versione abbreviata non ha una struttura determinata: nei primi versi, dopo l’introduzione, sembra iniziare un ordine cronologico, ma subito i versi portano alla parte centrale del poema; gli alimenti e le bevande e, soprattutto, il vino. Gli ultimi versi trattano dei quattro umori e delle complessioni, evidenziando una rudimentale struttura, per finire con un ampio spazio dedicato al salasso terapeutico. Questa versione è presente in quasi tutti i commentari e si caratterizza per la mancanza di una organizzazione medica coerente, forse non essenziale per il pubblico al quale è rivolto.
Le altre due versioni pubblicate da De Renzi, oltre ad essere più estese, sono meglio strutturate; tanto l’una quanto l’altra non seguono i canoni dei regimina sanitatis, e si possono considerare veri compendi medici. L’autore raggruppa i versi in dieci parti diverse: la prima è dedicata all’igiene – questa è in sostanza il regime di salute -; una seconda parte è dedicata alla materia medica, segue poi una terza, molto breve, dove si studia l’anatomia; poi una quarta parte che riguarda la fisiologica con abbondanti riferimenti astrologici; la quinta è l'eziologia, la sesta la semeiotica, la settima la patologia, l’ottava la terapeutica e la nona la nosologica. La decima, infine, è dedicata alle regole dell’arte medica.
I manoscritti che contengono il Regimen Sanitatis Salernitanum non sono anteriori al primo decennio del XIV secolo, mentre si conservano molte copie di opere manoscritte di maestri salernitani datate ai secoli XII e XIII.
Dal solco aperto da Costantino l’Africano, infatti, nasce nel XII secolo la pleiade medica salernitana: a Giovanni Afflacio si aggiungono, tra gli altri, Urso, Bartolomeo da Salerno, Giovanni e Matteo Plateario, Giovanni Ferrario, l’Arcimatteo, tutti testimoni di un’opera incessante di sperimentazioni terapeutiche, la cui funzione è di ben inquadrare le anamnesi, i confronti, le analisi dei sintomi. Il XII secolo è, anche, un periodo di grande apertura e di arricchimento per la Scuola salernitana, grazie alla produzione scientifica d’eccellenti maestri e alla presenza di valenti stranieri, punto di arrivo della sua grandezza, ma anche inizio del lento tramonto che dal XIII secolo farà brillare le Scuole di Montpellier, Chartres, Parigi, Oxford che progressivamente offuscheranno la fama della Schola.
Per Kristeller il Regimen Sanitatis Salernitanum «è divenuto una specie di questione omerica, e [...] sembrerebbe che non vi è [sic!] nessuna traccia palese del poema prima della metà del secolo XIII, che non aveva nessuna forma definitiva, dall’inizio, ma era costituito da un complesso disorganico di sentenze in versi composte in vari luoghi attraverso parecchi secoli, sentenze che furono gradualmente riunite in un unico poema».
Dalla prima strofa presente in qualche manoscritto, con il passare del tempo, altri versi vanno ad arricchire questo nucleo iniziale che raggiunge man mano una stesura molto complessa: un cammino di diversi secoli che ha aumentato la difficoltà di una possibile ricostruzione storica.
La popolarità di questo regime inizia con l’invenzione della stampa, ben oltre l’epoca d’oro della Scuola di Salerno, ma da quel momento si moltiplicano le edizioni e il successo editoriale si estende fino al XVIII secolo.
Se si considera che l'argomento prevalente degli incunaboli è religioso, è palese che le regole del Regimen Sanitatis Salernitanum fanno parte di quella minoranza di libri di carattere scientifico che ha trovato vasto consenso. La tiratura media di un incunabolo è di 500 copie e, proprio come gli editori odierni, i librai del Quattrocento non sono interessati a rischiare economicamente se non su testi facilmente e velocemente vendibili. L'opera di selezione sul materiale da stampare segue prima di tutto una logica economica e si compie tra gli scritti capaci di interessare il maggior numero di persone, quindi più conformi al gusto dell'epoca. I gusti, però, non mutano repentinamente, dunque, siamo in grado di ipotizzare che la scoperta della stampa ha come effetto, quasi immediato, la diffusione di testi che hanno già un considerevole successo in forma manoscritta. Non solo, ma la richiesta si basa anche su un altro fattore: è nelle grandi compilazioni medievali che si va a cercare l'enciclopedia di tutte le conoscenze così come nel campo delle scienze naturali si leggono e si rileggono ancora le opere del Duecento, tutti testi-compendi di facile consultazione che evitano di documentarsi sui singoli autori, da parte del pubblico non specialistico, al quale anche il Regimen è indirizzato.
I primi incunaboli hanno lo stesso aspetto dei manoscritti, il testo comincia sul recto del foglio e porta il titolo dell'opera e a volte il nome dell'autore, ma, fino all'inizio del Cinquecento, è necessario cercare alla fine del libro, nel colophon tutte le notizie dell'opera: il luogo di edizione, il nome del tipografo, spesso anche il nome dell'autore e il titolo, nonché la data. A questa tipologia appartengono quasi tutte le prime edizioni del Regimen.