«Sono grandi i discorsi di coloro i cui pensieri sono profondi. I greci avevano un vocabolo per ogni forma di amore. I classici mi hanno insegnato che noi siamo le parole che diciamo. Da qui inizia la nostra crescita». Essendo docente di latino e greco non potrebbe (forse) dire altrimenti, Cristina Dell’Acqua che, ogni giorno da 28 anni, è alle prese con studenti di liceo classico il cui pane quotidiano è (dovrebbe essere) esplorare il significato profondo delle parole. Questa professoressa dalla voce vellutata, l’eloquio non forbito ma elegante e puntuale, capace di colpire anche ascoltatori distratti, porge le sue riflessioni con il tono pacato di chi fa esercizio quotidiano di mediazioni costruttive. «Ai ragazzi del ginnasio non sottopongo subito le “dannate” traduzioni dal latino e dal greco. Li introduco ai classici antichi facendo loro leggere i testi in italiano, come una semplice storia. Se si accorgono della bellezza di certi autori, sarà poi più semplice condurli nell’esplorazione profonda delle parole passando dalla lingua originale, attività che richiede pazienza e tempo e all’epoca della fretta questo è un esercizio sorprendente».
L’avvicinarsi ai classici antichi, però, secondo Dell’Acqua non è questione che riguarda solo gli studenti in età di formazione, né è mera questione di traduzioni, che pure servono ad allenare la mente. Quello che propone la professoressa, che sul tema ha scritto l’intrigante libro Una Spa per l’anima, è più esteso e si rivolge, a ben guardare, quasi più agli adulti. «Tra i determinanti sociali della salute con impatto sul benessere, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità, n.d.r.) annovera la cultura in modo diretto e indiretto. Ergo: libri, teatro, cinema, musica, le arti, insomma, ci fanno stare meglio. Quindi anche i grandi classici che abbracciano tematiche universali. Per questo suggerisco a tutti di usufruire di autori greci e latini: per vivere meglio la vita di oggi». Già, ma chi con Seneca, Sofocle, Socrate, Marco Aurelio non ha mai avuto a che fare? «Lo caldeggio soprattutto a loro: abbandoniamo il timore reverenziale: per avvicinarsi alla bellezza degli antichi classici non serve leggerli in lingua originale. D’altra parte per godere delle pagine di Anna Karenina non dobbiamo imparare il russo! Per fortuna ci sono bravi traduttori che ci rendono accessibili quelle storie straordinarie, quindi perché non farlo anche con Seneca?». La lingua originale è il passo obbligato per chi – come gli studenti – sceglie di scandagliare l’estetica della parola, la profondità, l’etimologia. «Un viaggio meraviglioso certo, ma se quegli strumenti non si sono affinati non significa che ci si debba privare dei tesori racchiusi nelle tragedie e commedie greche» asserisce con passione Dell’Acqua e precisa che «se ce ne priviamo viviamo peggio, perché le pagine scritte da filosofi e pensatori dell’antica Grecia o dai Latini parlano alla nostra interiorità, ci raccontano – non mi stanco di ripeterlo - il senso universale dell’esistenza, nutrendo la nostra anima con sorsi di bellezza, prendendosi cura di noi».
Sta dicendo che i classici sono guide, manuali d’istruzione?
Nel libro racconto nove testi che amo e che affrontano temi per me fondamentali: Alcesti che parla d’amore, Prometeo che parla di coraggio, Quintiliano che parla di scuola. Analizzo attraverso le parole e un piccolo dizionario finale, i vocaboli che contano e che confortano, che possono aiutarci nella manutenzione dei nostri sentimenti, dalla rabbia all’amore. Diventando una specie di SPA per l’anima.
In che senso SPA per l’anima?
La SPA, acronimo di Salus Per Aquam, è il luogo dove i romani coltivavano il benessere interiore ed esteriore, grazie all’acqua che è la sorgente di tutto. Con i classici possiamo risalire alla fonte dei nostri pensieri perché essi ci pongono domande, mai risposte. E procurano stupore. Stupore è una parola bellissima: vuol dire stare fermo, ammutolirsi, quasi come se si fosse tramortiti. Gli scritti antichi non forniscono soluzioni, ma un metodo per affrontare le questioni fondamentali dell’esistenza. Il benessere interiore si costruisce soprattutto attraverso le domande. Le risposte cambiano secondo i momenti della vita.
Facciamo qualche esempio.
Quando sei fragile o ti alzi e fai fatica ad affrontare la giornata, nelle Lettere a Lucilio Seneca dice: “Sai come affronto i miei errori e provo a migliorarmi di giorno in giorno? Faccio l’esame di coscienza serale”. Suggerisce un prontuario, un esercizio, un metodo che ci aiuta a entrare nella profondità delle cose che facciamo ogni giorno, per non viverle in modo automatico. Dice che tutti ci troviamo a ripetere gli stessi errori, ma sapere che questo è universale ci fa sentire meno soli. Sofocle, in Antigone, ci spinge a riflettere su quello che si è per natura, cercando di rispondere alla domanda: “Che ci faccio io qui?” È la fusis, la parte di noi che non possiamo soffocare per sempre; la nostra natura si può cercare di modificarla, la vita può nasconderla, ma si resta quella cosa lì. Non è detto che emerga. Ci sono persone che vivono in maniera repressa, ma bisogna capire che la natura ce l’abbiamo e serve imparare a tirarla fuori. E il nostro corpo, quando è connesso con la nostra natura (anima?), la racconta.
Che cosa significa e come si fa, secondo i classici?
Vuol dire essere a proprio agio. In classe (così come in ufficio…), per esempio, sono i banchi a parlare: come un corpo li occupa, racconta molto. Quando stai costruendo un’armonia tra quello che stai diventando e quello che appari, l’armonia la traduci nel grado di benessere o disagio prima di tutto fisico. La nostra personalità si costruisce cosmeticamente nel senso greco, cioè mettendoci in ordine. Il verbo kosmeo significa mettere in ordine. I greci lo usavano per le leggi, anche: obbedire le leggi e sentirsi a posto come cittadino, come diceva Socrate. Ma vale anche per l’interiorità individuale: ci si costruisce mettendosi in ordine, pezzetto per pezzetto. Dandosi tempo. La nostra intimità è frutto di piccoli passi che, appunto, cosmeticamente, ci aiutano a sistemare la parte più profonda di noi, non l’ego. È l’anima che ci mette in condizione di far stare bene noi e chiunque ci stia intorno. Seneca, per esempio, che è il più moderno su questo tema, parlava di resilienza: ci esorta a costruire la propria resistenza alla vita suggerendo di meditare pochi minuti al giorno. Meditazione in latino è un frequentativo del verbo medicare, un atto di continua cura. Seneca quindi suggerisce di medicare i nostri errori, per trasformarci, per conseguire una metamorfosi. Metamorfosi significa cambiare forma, ma non essenza, anima. Vuol dire trasformarsi come le farfalle, imparare continuamente. E divenire. Occorre tempo per farlo.
Oggi però viviamo di e in fretta.
I greci avevano un tempo verbale che noi non possediamo: l’aoristo, che indica un’azione fuori dal tempo. Leggere i classici antichi ci offre l’opportunità di riscoprire quella dimensione, un modo di vedere il mondo attraverso il loro lessico. La lingua scavava nelle emozioni e noi abbiamo bisogno di scavare di nuovo. Per esempio: la bellezza si contemplava. L’etimologia di contemplazione contiene la parola tempio. Indica una sacralità, un modo di vedere la realtà gratuitamente, senza altro scopo che osservarla. La bellezza è guardare un tramonto per guardarlo, non per fotografarlo. Perché ci curi, ci faccia stare bene, bisogna dedicargli tempo. Come ai classici: basta una pagina al giorno, un esercizio quotidiano per costruirsi gli addominali della mente e ri-trovare l’anima. Perché la letteratura sa farci entrare nei panni altrui per arrivare a noi.